Musica

IRBIS37 è un'eccezione nella noia dell'indie italiano

Evitare i luoghi comuni funziona sempre, ma è ancora più importante quando si fa musica che mischia malinconia, amore, trap, indie e registrazioni in cameretta.
irbis37
Le fotografie compaiono per gentile concessione dell'ufficio stampa di IRBIS37 e sono di Tommaso Biagetti

Camminare da soli in una Milano soffocata dalla pioggia e dalla paura, con il respiro che manca e la luce che va e viene. Sono a casa e mi guardo allo specchio, non vedo nessuno se non un ragno che esce dalle coperte viola per salire sul cuscino, mi limito a guardarlo mentre sparisce tra il letto e il muro. Vado a dormire e mi manca il respiro, spengo la luce ma se ne accende un’altra.

Sono tutti simboli, nient'altro che flash immobili e sensazioni suscitati dall'ascolto di un disco, Un altro cielo di IRBIS37, che suona come quell’attimo sospeso dopo che hai riempito i polmoni di aria e aspetti il momento per fare la tua mossa o rimanere fermo. Una narrazione continua che diventa un dialogo vivo tra chi scrive e chi ascolta, e si trasforma in una promessa di parole pronunciate davanti a uno specchio.

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Irbis 37 Un altro cielo

La copertina di "Un altro cielo", cliccaci sopra per ascoltarla su Spotify

Un altro cielo è il primo album completo di IRBIS37, ma è in realtà il terzo lavoro e il secondo sotto Undamento, la giovane etichetta di Frah Quintale e Dutch Nazari che raccoglie chi suona l’indie delle cose quotidiane, il caffè bruciato e i cuori spezzati. Se l’EP Schicchere nasceva per mostrare al mondo che era possibile suonare trap ma mantenersi del tutto eclettici, tra pop e Tiziano Ferro, R&B e Pino Daniele, Un altro cielo si dimostra invece diverso e ripulito, come un sentiero ben tracciato in un campo infestato dall’erba alta.

“Il mio viso ha strappato i rovi la mattina / Oggi è fastidioso l’esser vita”: è l’incipit di “Rovi la mattina”, l’ultimo pezzo presente in Schicchere, un brano che passa veloce come un brusco risveglio, di quelli che lasciano il segno sul volto per il resto della giornata. Può sembrare strano io scelga un pezzo dell’album vecchio per parlare di quello nuovo, ma in 3 minuti scarsi qui si racchiude e anticipa il contenuto di Un altro cielo, il suo il dolore, la noia e la fatica di vivere. “Scotta questa cena ancora / Ci siam bruciati la lingua / Se avrai fame ce n’è ancora”, canta Martino Consigli, cioè IRBIS 37, con una chitarra nostalgica che ci accompagna verso la fine di una storia d’amore e di una canzone, che qui diventano quasi la stessa cosa, a testimonianza di quanto la scrittura e l'approccio dell'artista siano efficaci nella descrizione di certi stati d'animo.

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'Un altro cielo' è un sentiero ben tracciato in un campo infestato dall’erba alta.

Consigli scrive e canta, mentre dNoise e Logos.Lux lo affiancano nel progetto alternandosi tra produzione e scrittura, e insieme danno vita a un album che ha tutta la fisicità di un dolore nuovo, appena nato. Tanto che tutti gli elementi presenti nel disco scorrono alla massima intensità, le emozioni, i ragionamenti sull’amore, sulla fama e sulla droga sono portati al massimo dell’espressività possibile, “Che sono inopportuno, ma è il Negroni con il fumo”. E allora cantiamola ancora, “Mentre dormi”, e andiamo davvero a dormire perché non c’è più nient’altro da fare: “Oggi non so come pormi / Voglio una pistola per spararmi in mezzo agli occhi.”

In Un altro cielo IRBIS 37 prende l’immaginario indie classico—possiamo già parlare di un canone, riferendoci all’indie/it-pop? Credo proprio di sì: penso all’eredità musicale di Calcutta, Franco126 e tutti i capostipiti dell’indie mainstream—e gli dona un corpo e una fisicità inedita, e soprattutto una voce. Non si tratta d’immagini svuotate e stantie che puzzano di naftalina e armadi vecchi, ma di storie reali, e anche il dolore che ci arriva dritto in faccia e al cuore è reale e sentito, a prescindere dalla veridicità del racconto.

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Insieme a “Mentre dormi”, l’altro singolo che anticipa il disco è “Fame da lupi” e introduce il secondo tema principale, dopo l’amore e le sue conseguenze, parlando di fama, di puntare in alto e scommettere ogni cosa. In questa canzone, trap e reggaeton si fondono mentre tu non puoi fare a meno di lasciarti trascinare, “Ho una fame da lupi / Dai aria alla bocca, richiudila subito / Dimmi tu quanta paura incuti da solo, bro.”

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Quello che fa IRBIS37 in questo disco è impacchettare la malinconia e il dolore, la nostalgia e la strafottenza, il bello di poter salire in piedi sul balcone e urlare l’amore e le notti insonni: tutto inserito in una grande scatola in cui quello che appartiene al passato prende a pugni il presente e viceversa, perché non sta bene a nessuno che le cose non siano più come prima, è già tutto finito e non ho nemmeno fatto in tempo a crederci.

IRBIS37 impacchetta la malinconia e il dolore, la nostalgia e la strafottenza, il bello di poter salire in piedi sul balcone e urlare l’amore e le notti insonni.

Se in “Che furba” è lui che ha investito troppo in un amore e con una mano sul petto e l’altra al cielo (o nella mista…) canta “Ti ho regalato la parte di me peggiore / Mi hai ringraziato e poi abbiamo fatto l'amore / Ti ho regalato il me che preferivo e non lo riconosco / Non credo più alle favole che mi racconto”, in “Ti accompagno in zona” assistiamo invece al ritorno verso un mondo pre-internet, di quando timidi ci si scambiava il nick di MSN e l’unica arma di rimorchio era l’intramontabile “ti accompagno a casa” dopo scuola. Lenta e lamentosa, una mano che tende il casco a una persona in attesa sul marciapiede, dopo una festa di quelle con il coprifuoco e “dimmi se l’alito mi puzza d’alcol”: “Oggi (Come ieri) / Come vieni, sei sola? / Ti accompagno in zona” , che è più una richiesta di essere visto e notato, e con un po’ di fortuna persino capito.

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Non sono una fan del romanticismo spinto, ma la parte di me che confida nell’amore vuole credere che “Ti accompagno in zona” sia un timido preludio a “Quei seni”, dolcissima e lentissima come una ninna nanna. Il ritornello in “-are” che non passa mai di moda, respiriamo un po’ insieme che da solo non sai quant’è difficile, l’R&B che come una mamma ti coccola e aspetta che ti addormenti: “Spogliati se hai il coraggio / E se sei piena di spilli nella schiena / È perché io possa levarteli uno a uno.”

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Nel cercare di capire perché questo disco mi è piaciuto arrivo lentamente alla conclusione che si tratta del semplice fomento che mi trasmette, un’energia che nasce dalla genuinità di tre ragazzi che fanno una cosa fica che funziona e che in Caps Lock su Instagram lo urlano a tutti gli amici di Milano Bovisa. Non si tratta, tuttavia, solo di questo, ma riguarda anche lo scoprire che si può svincolare un testo da un genere di riferimento, slegare un certo tipo di narrazione da un canone composto da immagini.

Quando chiedevano a Elsa Morante come fosse nato il suo romanzo La Storia, lei rispondeva che aveva voluto fare quello che Ariosto aveva realizzato con il poema cavalleresco: scriverne l’ultimo esponente e uccidere il genere. Ora, non voglio arrivare a dire che gli IRBIS37 abbiano ucciso l’indie, ma hanno senza dubbio arieggiato una stanza che sapeva di chiuso, facendo semplicemente quello che già sapevano fare: mischiare tutto il materiale a loro disposizione senza seguire regole già scritte da altri.

Quello che ne viene fuori è il risultato dei loro vent’anni: le influenze pop e i suoni della trap in “Che furba”, e tutte le esperienze che si possono immaginare, anche quelle che non si raccontano mai perché fanno parte della quotidianità che, si sa, è ben diversa dalla vita su Instagram, “Esco per un caffè, ritorno dopo 48 ore / A me non fotte molto, però a mamma piglia un coccolone”. Sulla copertina di Un altro cielo, un falco guarda negli occhi un drone in un cielo viola di nuvole gonfie, e secondo me IRBIS37 è sia il falco sia il drone.

Chiara è su Instagram.

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