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Musica

Gli Øjne fanno Screamo, ma non sono di Forlì

Pare sia davvero possibile!
Sonia Garcia
Milan, IT

A Milano si sa, hc e screamo sono pane quotidiano per chi è appassionato di tatuaggi sulle nocche e scattofisso. La città pullula di persone, eventi, band che ruotano attorno a questo brillante stereotipo, e infatti a affiorare, esattamente come stronzi giganti dal water, sono stati gruppi emocore che per l’incolumità di tutti noi non starò a nominare. Purtroppo non è a loro che va la mia attenzione, quest’oggi. Mi voglio concentrare sui buoni, sui bravi, su quelli che per qualche motivo li senti e ti dimentichi subito dell’esistenza dei casi umani di cui sopra. Si chiamano Øjne e, aiuto, sono di Milano. Il 22 Settembre hanno fatto uscire il primo EP Undici/Dodici mixato da un figo a caso tipo il chitarrista degli Orchid, Will Killingsworth. Momento meraviglia.

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Sono Cava alla voce, Rensh alla batteria, Mezza alla chitarra e Axel al basso. Il loro EP consiste in cinque tracce di screamo melodico e patito, in italiano, roba alla Raein/La Quiete, ma con il buon gusto di non provenire dalla Romagna. Undici/Dodici ti fa prendere male come è giusto che faccia un disco del genere, ma senza cadere—troppo—nello stereotipo. E anche se fosse, oh, sono bravi, non avrete tempo di pensare a quanto si avvicinino al cliché della band con i testi tristoni che se la urla e se la frigna, ma ne avrete per capire che al di là di ogni somiglianza, gli zii ne sanno.

Li ho incontrati la sera di Halloween, mentre provavano per il live del giorno successivo, a Torino, assieme a Raein e Lora. Prima di cominciare informo che su Windows la Ø si trova facendo Alt + 155 per la minuscola, Alt + 157 per la maiuscola. Su Mac: Alt + O, oppure il sempre vincente copiaincolla.

Noisey: Quando, come e dove vi siete formati?

Mezza: Loro tre suonavano già, io sono arrivato dopo. Sarà stato il novembre 2011, ma loro erano assieme… da quanto?

Cava: Dal 2010.

Mezza: Io sono suo amico—indica Axel—dalle medie.

Cava: Io, Rensh e Axel invece ci siamo conosciuti per i giri punx. Ci chiamavamo Naufrage, Encore. Ci sono le robe su Bandcamp, abbiamo fatto una demo. C’era questo chitarrista che non veniva mai alle prove, bisognava andarlo a prendere a casa.

Axel: Dormiva in lavanderia… Aveva perso il telefono e non era rintracciabile, ha scoperto dopo due mesi che era incastrato tra il cuscino del divano e il divano.

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Rensh: Era un po’ inaffidabile. Ogni volta che andavamo a provare alla fine scoprivamo che non c’era, quindi dopo un po’ abbiamo proprio smesso di andare a provare.

Cava: Questo un anno dopo la demo, era il novembre 2011

Mezza: A quel punto Axel mi ha detto “Vieni a suonare le tastiere.” Sono venuto, ho fatto due note alla tastiera, loro erano sconvolti. C’erano quelle tastiere tamarrissime, con i suoni anni Novanta. Non sapevo cosa inventarmi, dovevo suonare qualcosa sopra i loro brani… A un certo punto chiedo alla sala prove una di quelle chitarre che ti danno a due euro all’ora, provo ed effettivamente ci stava. Abbiamo fatto “Glasgow”.

Rensh: Era un casino perché in otto mesi non abbiamo mai avuto un chitarrista, e poi nel giro di una settimana ne abbiamo trovati due. Uno è Gabri, che però ha lasciato il gruppo, e l’altro è lui.

I pezzi dell’album a quando risalgono?

Cava: “Glasgow” è di Axel e l’abbiamo ripresa, all’inizio non era così.

Mezza: Era stata fatta con batteria e basso, con due chitarre in più cambia tutto. Tutte le altre le abbiamo fatte nel novembre/dicembre 2011 e prima metà 2012.

Cava: La prima vera canzone che abbiamo fatto insieme era “Naufragio”.

Mezza: Poi in realtà queste che abbiamo fatto uscire sono state registrate nell’estate del 2012.

Cava: Abbiamo avuto vari problemi… Praticamente un nostro amico avrebbe dovuto mixarle, ci diceva che ce le avrebbe mandate e poi niente. Abbiamo perso sei mesi dietro a questo qui. Ci siamo rotti le palle di aspettare e abbiamo cercato qualcun altro. Ci siamo detti che se a questo punto dovevamo pagare qualcuno di più valido, non dovevamo per forza stare in Italia.

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Ecco infatti. Come siete riusciti a beccare Will Killingsworth?

Cava: Lui è del Massachussetts, di Amherts, un posto in cui si conoscono tutti. Avevo un amico di New York, che organizzava concerti là, gli abbiamo chiesto se conosceva qualcuno a cui far mixare i pezzi. Avevamo pensato a Jack dei Comadre, però costava un po’ troppo. Poi le tracce erano state registrate in maniera un po’ miope, senza organizzazione…

Mezza: Microfono e portatile, il mio, che crashava in continuazione. Le abbiamo dovute rifare mille volte. Pomeriggi passati così.

Cava: Però sono state registrate interamente da noi. Il tipo dei Comadre ci ha detto che erano un po’ troppo a caso e male…

Rensh: Quindi siamo passati a Will. Avevamo visto che aveva mixato un sacco di roba a qualità bassissima. In effetti dopo che l’abbiamo fatto noi c’è gente che ha cominciato a contattarlo.

Cava: È stato davvero bravo. C’è una differenza abissale tra quello che gli abbiamo mandato e quello che ci ha restituito. Anche se il disco rimane un po’ lo-fi lo stesso.

Già. I testi chi li scrive?

Cava: Rensh.

Rensh: All’inizio però scrivevamo tutti.

Axel: Cava era l’art director…

Mezza: Tutti stampavano i loro testi, Cava aveva una pigna in mano e ne sceglieva uno.

Cava: Non sceglievo a caso, prendevo quelli particolarmente belli.

Rensh: Oppure quelli che avevano il mood giusto rispetto al sound. “Voragini” però è di Axel.

Immagino avrete comunque una qualche affinità di gusti in quanto a musica.

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Mezza: In realtà no, per niente… Io non avevo mai sentito un gruppo screamo. Anzi a me continua a far cagare l’hardcore punk. Mi annoia subito.

Axel: Io invece sono sordo, quindi non so…

Mezza: Lo screamo troppo violento, che ne so gli Ampere, gli Orchid, non mi piace. Sono troppo per me, a me piacciono gli arpeggi, le chitarre clean.

Ah, senti là. E quindi come ti hanno incastrato, scusa? Come ti hanno convinto a suonare in un gruppo di un genere che detesti?

Mezza: In realtà da quello che mi è sembrato possiamo fare quello che vogliamo. Cioè, tutte le parti di chitarra le ho fatte io. Tutti continuano a dire che è screamo, ma io non le ho pensate così. Facevo le mie parti di chitarra clean, molto melodiche, e poi Rensh ci metteva la sua parte più orientata verso l’hardcore…

Rensh: Sì, poi Cava urla… Quindi alla fine tutto diventa screamo. Axel ascoltava un botto di crust, è arrivato la prima volta e faceva le cose mega oscure. Anche adesso.

Quindi di base non avete un’influenza comune.

Cava: No. L’etichetta screamo è stata apposta dalla gente a cui facevamo sentire le canzoni. Noi, avendole sempre nelle orecchie, non ce ne rendevamo conto. Anzi, c’erano vari correnti di pensiero all’interno del gruppo. Axel voleva fare gli Ekkaia, io una roba emo tipo Revolution Summer. Non so, Rites Of Spring, robe così…

Mezza: Io ai tempi ascoltavo tutto il post punk, quindi il basso o la batteria dritta non erano così distanti… Tutti gli elementi si sono fusi nella loro eterogeneità. Poi loro mi hanno fatto sentire una compilation all’epoca, di cui ho sentito solo due canzoni e mi hanno fatto cagare. Minchia, c’erano tantissimi gruppi, Age Sixteen, Raein, Orchid, Kidcrash… Adesso me li ascolto, però ci sono voluti due anni. E comunque solo qualcuno. Quando sono entrato, ero intrippatissimo con la techno, quindi…

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Cava: In generale lo screamo italiano si caratterizza per molta più melodia, molta più carica emotiva. È più fruibile. Quelli a cui pensavamo di ispirarci di più erano questi gruppi screamo statunitensi, appunto, i Kidcrash e gli Age Sixteen.

Axel: Io mi ricordo che ascoltavamo di brutto i La Dispute, era appena uscito il loro nuovo disco “Wildlife”.

Avete suonato con diversi gruppi, in diverse occasioni. Come vi ci rapportate ora?

Rensh: Ci è andata bene, ci siamo fatti un po’ di amici bravi. Anche l’etichetta che ci stamperà il vinile l’abbiamo trovata grazie ai Continents, con cui abbiamo suonato a Milano, al Ligera. C’erano anche i Cavalcades, che Cava ha conosciuto in erasmus…

Cava: Ad Aberdeen, un posto dimenticato da Dio.

Rensh: Ovviamente abbiamo buoni rapporti anche con i gruppi di Milano: Losing Traces, Seesaw, The Seeker… Gente simpatica. Non è che lo dai per scontato che i gruppi siano simpatici, anzi uno parte anche un po’ prevenuto.

Cava: C’è questo momento comune anche se si è solo tra gruppi che è molto bello. C’è la voglia di mettersi a fare le cose nonostante siano sbatte, nonostante non ti ritorni indietro molto, non ci guadagni. Il momento di condivisione in sé è molto bello. Io mi prendo bene.

Mezza: Quando suoni, organizzi un concerto, ti fai gli sbattimenti e viene fuori una cosa carina, è inevitabile che si crei un senso di unità.

Le varie recensioni che ho letto sul vostro disco sono molto positive.

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Rensh: Le recensioni sono fin troppo belle.

Cava: Non ci aspettavamo una cosa del genere assolutamente.

Axel: Quelle “meno belle” sono quelle che apprezzo di più, personalmente. La principale critica è quella che ci accusa di essere dei cliché, nel senso, facciamo solo venir voglia di ascoltare i grupponi italiani più famosi.

Mezza: Del tipo “Bello, però sentendolo preferisco riascoltarmi i La Quiete.” Il che ci va benissimo, perché essere associati a loro è sempre una gran cosa.

Cava: Comunque erano tutte positive, alcune facevano critiche ragionate, altre esagerate. Ad esempio una tedesca diceva “Adesso prendo il Piaggio e parto gustandomi del buon vino.” Fuori di testa. Un vago razzismo geografico.

Mezza: L’idea era “Fanno screamo, ma non possono essere presi così male se mangiano così bene e bevono il vino buono.” Vabe’… La nostra fortuna e la nostra croce è anche quella di andare a passo con Raein e La Quiete. Nel senso, tantissimi ci hanno associato a loro, alcuni in positivo altri no. Io penso solo che se dici screamo italiano la gente ti ascolta con quell’orecchio, anche se personalmente non trovo così tante affinità. Anche se nella famosa compilation, in effetti, gli unici a piacermi sono stati i Raein.

Attenzione adesso domanda della vita. Perché “Øjne”?

Axel: Eh, qua dobbiamo essere onesti raga… Rensh devi raccontare.

Rensh: Niente, c’era sta danese che ci siamo fatti tutti…

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Axel: Quando l’abbiamo conosciuta aveva due cerotti sopra gli occhi.

Rensh: A un certo punto vado lì, glieli tolgo e lei fa “Øjne.” Abbiamo cercato e abbiamo scoperto voleva dire “Occhi.”

Vabe’, ma come l’avete conosciuta?

Mezza: Era in erasmus qua.

Rensh: In tangenziale.

…?

Cava: È tutto fittizio… Il nome è stato scelto perché ancora non ne avevamo uno.

[Volevano che pubblicassi solo la storia della danese, ma per amore della lealtà siamo arrivati al compromesso, ovvero la narrazione dei fatti reale solo dopo quella fittizia]

Mezza: La verità è che è nato tutto grazie ai like di Facebook. Abbiamo un gruppo per le comunicazioni interne, e dato che eravamo senza nome Rensh ha proposto di fare come ai festival, a votazione. Commentavamo questo post e il nome con più like avrebbe vinto.

Rensh: Axel ha scritto “Øjne”, tra una marmaglia di nomi di merda, ha preso quattro like ed è andata al ballottaggio con “Once We Were Giants”.

Mezza: Abbiamo deciso una settimana prima del nostro primo live…

Rensh: Aspettavamo solo la conferma di Cava, che era in Germania, gli avevamo mandato un messaggio e lui di risposta ha scritto solo “Eh”. E-acca. Grazie.

Mezza: Questa è la storia vera. La prima versione è quella ufficiale che ci eravamo preparati da due anni, ce la siamo anche un po’ dimenticata. Comunque ci hanno davvero chiamato in tutti i modi possibili, DJ One, O-geen, Ogi Ne. È sempre molto bello.

Rensh: Però ora che siamo famosissimi, se cerchi Øjne su Google ti dà tra i suggerimenti “Ojne, Undici Dodici.”

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A proposito, perché Undici/Dodici?

Rensh: Perché sono le canzoni che abbiamo scritto dal novembre 2011 all’aprile 2012. Quindi chiamarlo così è una specie di testimonianza dei primi mesi di Øjne, che poi sono stati i mesi più prolifici. Erano mesi belli, era figo andare a provare.

Mezza: Io mi sono impuntato perché il primo disco avesse un nome. Loro volevano un self-titled. A posteriori abbiamo capito che non ci avrebbe trovato nessuno senza un nome effettivo.

Rensh: Volevamo chiamarlo Uno all’inizio… [Risate]

Rensh: …Però poi abbiamo scoperto che anche i Rejekts e i Green Day avrebbero chiamato i loro dischi così, proprio in quei giorni.

Mezza: La copertina è una foto che ha scattato Axel a Stoccolma, il tipo è un suo amico su una specie di trampolino di cemento. Non abbiamo trovato grandi significati… Ci piaceva e basta.

Capisco. Un’altra cosa che ho notato è che i testi dei vostri pezzi sembrano rispecchiare tutti uno stesso registro.

Mezza: Sì, ma non è neanche voluto. Le canzoni sono nate da sole, senza un’idea che le unisca, senza un filo conduttore. Quando le scrive una persona in un arco di tempo in cui ha vissuto determinate cose, parla della sua vita, non sono testi sociali. Non hanno un messaggio politico. Per questo l’abbiamo voluto legare più al tempo, che al contenuto. È una raccolta di canzoni, non un disco che racconta qualcosa.

Quindi quando verrà stampato il vinile?

Mezza: Per fine mese ci arrivano i dischi e poi li manderemo.

Cava: C’è anche in progetto una cassetta che ci stampa un’etichetta statunitense.

Ok. La grafica della vostra maglia ritrae il celebre momento del lancio della “Holy Vespa”…

Cava: Era un’idea vecchia che avevo avuto, e faceva un sacco ridere. Volevo farla due anni fa con un mio amico, poi però ci siamo ritrovati a casa mia e abbiamo fatto questa cosa. Un motorino che brucia e poi viene lanciato giù…

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