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Musica

Violet Poison, il lato romantico di Obtane

Il misterioso producer getta la maschera e ci concede un'intervista esclusiva

L’idea di un musicista senza identità, di un artista di cui non si conoscono le generalità ufficiali ma solo il nome e il volto che si è assegnato da sé, viene presa difficilmente sul serio. Da quanto è radicata l’abitudine a catalogarla solo come mascherata, la si riduce pressoché immediatamente a un'attitudine pomposa e fumettistica, equivalente musicale di un karateka in calzamaglia che esce di notte a fare le ronde evitando di combattere davvero il crimine. In realtà non c’è davvero niente di più coerente con i tempi correnti dell’idea di costruire una serie di sé paralleli fatti di riferimenti sonori, grafici e visuali.

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Le ragioni per muoversi in questa maniera sono tante, ma prima di ogni cosa c’è il livello di libertà artistica che questa condizione permette di mantenere. D’altra parte, si tratta anche di sintetizzare—su e giù dal palco—il lato performativo e multimediale coerentemente con l’idea (un po’ utopica, diciamolo) di dancefloor come non-luogo liberato, per chi ancora lo intende come esperienza in cui l’attenzione dei partecipanti non si concentra sull’intrattenitore di turno ma va equamente divisa tra corpi, immagini, spazio e tempo, e sulle diverse maniere in cui questi si relazionano tra loro grazie alla musica. Certo, è facile degenerare nell'esatto contrario, specie se la mascherata è effettivamente nata come intrattenimento e carrozzone, quindi come modo di riassorbire l’attenzione verso chi suona e non disperderla, magari per venire incontro ai babbi che tuttora, a un live di musica elettronica, non sanno bene cosa fare e dove guardare, orfani di un punto focale.

Questo per dire che se oggi abbiamo sempre più a che fare con progetti musicali sui quali abbiamo poche informazioni “normali” è perché la maniera più onesta di rapportarsi col pubblico oggigiorno è proprio questa. Detto ciò, ci sono anche altri motivi per mettersi una maschera dietro cui suonare. A volte possono avere a che fare con dimensioni personali e artistiche più complesse, come nel caso di Violet Poison. È un monicker emerso dal semi-nulla nel 2011, autoprodotto e marchiato dalla sua stessa sigla, prima in solo e successivamente in collaborazione con il non-mascherato socio Nino Pedone AKA Shapednoise (secondo l’aritmetica techno, la somma delle parti fa Violetshaped). Se oggi è piuttosto comune, ai limiti della rottura di palle, pescare della techno fieramente aggressiva, oscura e rumorosa, solo tre anni fa non era ancora così, e non si era formato il sottobosco di etichette fedeli al genere—in maniera piuttosto paracula—che ci ritroviamo oggi. Possiamo, anzi, tranquillamente includerlo tra quelli che hanno avuto voglia per primi di riportare i club a certe atmosfere. Dalla sua, Violet Poison ha sempre avuto anche un’originalità fatta di toni malinconici che, macerati dal rumore, diventano terrificanti; se l’è guadagnata aggiungendo evidenti influenze horror-prog all’italiana, ma soprattutto una morbosità dark tra i Death in June di Nada! e pagine italiane old school come i Colloquio. Questo, ovviamente, senza mai farsi mancare cassa e groove, lavorando anche molto sull’architettura dei beat.

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Considerato che la notizia la stiamo dando proprio ora in esclusiva, fino ad oggi sapevano in pochissimi che sotto il cappuccio c’è Francesco Baudazzi, un producer ligure che, prima di abbracciare il male, aveva fatto uscire della techno piuttosto pregevole col nome di Obtane e gestito, in tandem con Giorgio Gigli, la ora defunta Zooloft. Dopo tre anni di mistero, Francesco ha deciso di sfilarsi la maschera e fare una chiacchierata con me a proposito di tutte le direzioni prese finora dalla sua musica e dal suo lavoro.

È andata così, ce lo racconta direttamente lui: “Obtane è finito nel 2012, ho fatto anche un post nel blog dicendo che era chiusa lì, che anche Zooloft era finita. Ho iniziato a lavorare al nuovo progetto, in realtà parallelamente a Obtane perché il primo disco di Violet Poison è uscito nel 2011. Mi sono successe un po’ di cose che mi hanno fatto dire ‘vediamola bene, mascheriamoci’.” Senza fare troppi misteri sulla sua personale disillusione nei confronti della scena techno, Francesco riconosce immediatamente la maschera come necessità personale, espressiva, ma anche offensiva verso un ambiente underground dentro il quale si sta formando un piccolo e squallido star system, e che ha inizato a inglobare troppa umanità ignorante e piena di pregiudizi, da cui è fondamentale mettersi al riparo.

“Non so se tu avevi visto il podcast che io e Gigli avevamo fatto per Resident Advisor. Nei commenti era tutto un dagli all’italiano, ci hanno dato dei buchi di culo pretestuosi.” La necessità di reazione è, quindi, tanto esistenziale quanto musicale: “Soprattutto, il motivo che mi ha spinto a chiudere Zooloft è che quel suono lì era ultraplagiato, uscivano dischi tutti uguali. Da lì ho cominciato anche a comprare macchine hardware serie, dato che la produzione di Obtane, a parte due dischi, era tutta software.”

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Nasce Violet Poison, un’entità misteriosa di cui, almeno inizialmente, è importante non conoscere l’aspetto fisico né la provenienza geografica. “Volevo andare in controtendenza a tutti queste piccole rockstar. Una posizione anti-identitaria.” Soprattutto, ben consapevole delle proprie inclinazioni solitarie, Francesco inizia a cercare un suono più onesto nei confronti del suo essere, e lo trova aggiungendo “elementi più horror, più thriller, più vicini all’universo industrial anni Ottanta, e gli elementi un po’ enigmatici della musica italiana degli anni Settanta: Frizzi, i Goblin…” il risultato è, nelle sue stesse parole, “più romantico, per quanto anche Obtane contenesse del romanticismo”.

Non ci vuole molto perché la sua strada incroci quella di Shapednoise, che diventa socio della label e con cui parte una collaborazione fondamentale “Ci siamo sentiti su facebook, molto semplicemente… A lui piaceva la mia musica e abbiamo deciso di fare una collaborazione. Avevo da poco lanciato Violet Poison, ed è stato un po’ la stessa cosa che era successa con Zooloft, anche se il suono era completamente diverso, anche in quel caso avevo lanciato la label da solo, poi si è aggiunto Gigli.”

L’immaginario horror di cui sopra finisce, ovviamente, per influenzare anche a livello grafico le sue produzioni da solo e del duo. Gli riesce, comunque, piuttosto facile evitare la exploitation pura. “Voglio mettere le persone a conoscenza del fatto che fuori c’è un mondo fatto così, un mondo violento. Alla fine sono un realista” Sono posizioni che potrebbero apparentemente sembrare poco adatte a un immaginario che ha in larga parte estetizzato e, spesso, glamourizzato la violenza, ma nel mondo di Violet Poison è proprio questa eleganza a rendere autentica la brutalità. In quanto più attraente, la morbosità del progetto costringe il fruitore a confrontarsi con la propria stessa morbosità, cosa che è prontamente successa, generando reazioni ostili a autoindulgenti da manuale dello scandaletto rock. “Sono stati i visual che abbiamo usato durante il nostro live all’Atonal 2013 a scoperchiare il vaso di Pandora”. A quanto pare, sono ancora in molti quelli che non riescono a distinguere una rappresentazione di violenza da una celebrazione della violenza stessa. Come se non fossero passati trentacinque anni dall’esordio dei Throbbing Gristle, è tuttora problematico riuscire a contestualizzare la rappresentazione di un abuso violento, anche quando non si resta nel campo umano (mostri, demoni ecc). “Probabilmente la gente non in buona fede è più malata di quello che vede.”

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Sono piovute anche accuse di misoginia… E dire che il concept che ha ispirato l’intero progetto, a partire dal nome, è di segno completamente opposto. Si tratta, infatti, di un tentativo da parte di Francesco di abbracciare una propria dimensione femminile, molto più radicalmente e spiritualmente di quanto abbiano fatto altri artisti. “Il viola è un colore esoterico, il veleno viene dall’idea di una donna che uccide col veleno, che si vendica della violenza col veleno, che si ribella” come a contrastare l’aggressività gretta, il potere dell’assalitore con un’intossicazione, intromettendosi nel suo corpo e nelle sue funzioni primarie. Allo stesso tempo, la sua idea di occulto si nutre di un’interesse per la ritualità massonica che dialoga molto con la storia d’Italia, con la cronaca di una popolazione a un tempo paranoica e cospiratrice, e con una cultura fondata sul tradimento e la malafede. “Ustica, la strage di Bologna… Anche quando era uscito il mio disco a nome Francesco Baudazzi su Surface, i titoli erano presi tutti da lì: ‘C.A.M.E.A.’ era una loggia segreta, ‘Anello’ il servizio deviato di Andreotti, ‘Propaganda 2’ lo sappiamo tutti… A me è sempre interessato analizzarli non da un punto di vista politico-ideologico di condanna, ma per l'impatto sulla società. Anche da un punto di vista metafisico, diciamo.”

Niente di troppo distante da quanto provato sul campo dai vari personaggi psicocculti italiani di cui abbiamo parlato nell’ultimo anno, una scena con cui, molto stranamente, Francesco non è per niente in contatto. In fin dei conti, ci tiene più a mantenere la sua musica nei confini della techno “La mia anima è techno, è dal '94 che sono affascinato dal suono di Downwards e Axis… In termini di energia non c’è un genere che si possa avvicinare all’impatto emotivo della techno” Ma non imputa il fatto di non avere finora mai suonato live in patria a una qualche esclusività delle scene sperimentali, anzi: “Il problema è che in italia c’è un'esterofilia allucinante, ci sono artisti validi come Antonio Marini e Domenico Crisci che fanno musica coi controcoglioni. Non è necessario andare a cercare artisti al di fuori dell'Italia quando si ha in casa gente come loro. Anche a Berlino dovrebbero valorizzare di più bravi artisti come Gaja.” Nella sua mentalità, comunque, scagliarsi contro questa mediocrità pare inutile, con un fatalismo che fa quasi eco alla sua idea della condizione umana e di un mondo violento “Una lotta coi mulini a vento. Non cambierà mai niente.”

L’urgenza di fare musica sopravvive comunque “Faccio musica perché è comunque il linguaggio che mi è più consono, seppur con una venatura di disincanto.” E con un istinto critico nei confronti della realtà, che però non sembra contenere la possibilità di andare oltre questo nichilismo romantico. Non sappiamo cosa attenderà il futuro di Violet Poison se non che il 28 giugno suonerà per la prima volta a Milano, a Macao, durante un festival a a cui—guarda un po’—parteciperanno anche i Cannibal Movie. Chi ha intenzione di continuare ad affrontare la sua musica, deve però essere una volta per tutte pronto ad affrontare, a sua volta, il proprio doppio oscuro, la propria identità segreta: né una carnevalata né un baraccone, ma l’incarnazione di una umanità demoniaca più reale della nostra stessa coscienza. Ora che Francesco ha gettato la maschera, è il nostro momento di indossarla.