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Musica

I Tears For Fears ci raccontano come è nato "The Hurting"

Roland Orzabel e Curt Smith ci raccontano come percepiscono ora il loro disco di ben trent'anni fa.

Natale 2003. Un americano serioso in coppola e pizzetto è in vetta alle classifiche inglesi con “Mad World,” canzone in cui ci dice che “The dreams in which he’s dying are the best he’s ever had.” La canzone finirà poi per essere una costante dei talent show, canticchiata con gli occhi serrati da giovani uomini dai grandi sentimenti. Questa gente molto convinta delle proprie doti canore ripropone la versione di Gary Jules; molti di loro non si rendono nemmeno conto che la canzone era stata scritta anni prima e che un paio di ragazzini medio-borghesi di Bath erano stati catapultati al successo con la sua uscita. Questi due ragazzini sono Roland Orzabel e Curt Smith, e “Mad World” è stato il primo singolo dall’album di debutto del loro gruppo Tears For Fears, The Hurting, anno 1983. Entrambi hanno apprezzato la versione di Jules, anche se inizialmente erano convinti che si trattasse di Michael Stipe.

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Oggi Smith vive a Los Angeles. Lasciò il gruppo nel 1991, ma il duo si riunì nove anni dopo, quando—ecco un bel tocco nostalgico—mandò un fax a Orzabel chiedendo di incontrarsi per parlare. I due sistemarono i rapporti e Orzabel, che vive ancora oggi in Inghilterra, notò che Smith ora parlava con un accento mid-atlantic punteggiato da americanismi. Quando si trovarono per registrare il nuovo album, Everybody Loves A Happy Ending del 2004, finirono per starsene seduti in uno studio di LA “strimpellando chitarre tutto il giorno e bevendo caffè”, come ricorda Orzabel. Questa non era la sua “idea di divertimento,” ma poi Smith suonò un accordo in particolare—qualcosa in Mi minore, se non sbaglio—e Orzabel partì per la tangente. “È sempre stato la mia musa.”

"Pale Shelter"

Alla fine dello scorso anno, in occasione di una re-issue deluxe del loro album di debutto, ho parlato con i Tears For Fears, individualmente, della creazione di quel disco. È facile dimenticarsi che quell’album arrivò in vetta alle classifiche inglesi pur essendo una collezione di canzoni sui traumi d’infanzia, creata da un gruppo new wave sconosciuto. Entrambi i membri del gruppo erano rimasti incantati dall’opera dello psicoterapista Arthur Janov, il cui libro più rinomato, Primal Scream del 1970, fornì l’ispirazione a Bobby Gillespie & Co. Janov fu l’inventore della “primal therapy”, un trattamento che incoraggia il paziente a esplorare i suoi traumi d’infanzia, sperimentandoli per una seconda volta ed esprimendo poi il dolore a lungo represso. Un modo per sfogare questo dolore è appunto l’“urlo primitivo,” che è letteralmente ciò che il nome suggerisce. Entrambi i membri dei Tears For Fears sentivano che i loro genitori (per dirlo con le parole della loro hit “Pale Shelter”) non avevano dato loro amore, ma solo un pallido rifugio.

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Smith e Orzabel avevano entrambi validi motivi per sentirsi così. “Tutti e due proveniamo da famiglie di divorziati. Siamo stati cresciuti tutti e due unicamente dalle nostre madri, più o meno,” dice Smith. Si incontrarono quando avevano circa 13 anni, quando Orzabel sentì Smith cantare una canzone dei Blue Oyster Cult e rimase sufficientemente impressionato da suggerirgli di tentare una piccola collaborazione. La loro prima incursione nel mondo della musica fu bizzarra. Il giorno in cui Orzabel compì 18 anni, il loro gruppo Graduate firmò un contratto discografico. I Graduate erano un quintetto mod revival e i ragazzi, vestiti in completi eleganti, fecero uscire un album nel 1980 intitolato Acting My Age, che includeva un singolo chiamato “Elvis Should Play Ska.” L’Elvis in questione era Costello, non Presley. Difficile pensare a una frase più azzeccata.

In Gran Bretagna i Graduate arrivarono un po’ ritardo alla festa del Mod Revival e il singolo non riuscì a causare scompiglio nella top 100. Tale problema non si pose in Spagna, dove divenne un’enorme hit. Fecero un salto nella Penisola Iberica per suonare di fronte a orde di ragazze urlanti, desiderose di assaporare ciò che Carnaby Street aveva da offrire. Fu un'esperienza stravagante per entrambi. “Fu un po’ strano. Te ne stai lì e pensi, ‘Non sai chi sono, perché urli?'”

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Intenzionati a registrare musica piuttosto che suonarla dal vivo per adolescenti europei, i Graduate fecero le valigie e al loro posto nacquero i Tears For Fears. “Mentre lavoravamo a The Hurting, chi cambiò la nostra visione della musica fu Gary Numan,” dice Smith.

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“Non era nemmeno questione di gusti, è che eravamo ragazzini che andavano dietro alle mode e le mode a quei tempi erano molto potenti,” replica Orzabel, raccontando che erano passati dall’essere teppistelli col parka, al vestirsi solo di nero e ad amare le drum machine. “Sei acutamente consapevole che qualcosa sta cambiando e poi improvvisamente Gary Numan è al numero uno delle classifiche. Avevamo familiarità con quello stile, avendo ascoltato Bowie, ma è stato uno shock scoprire che era al numero uno.” Nello stesso periodo, stavano ascoltando anche il terzo album eponimo di Peter Gabriel e Remain in Light dei Talking Heads.

Questo avant-pop venne applicato alla prigione della loro infanzia traumatica. Era qualcosa che il movimento post-punk stava facendo con arrangiamenti musicali diversi. “Non ero un fan sfegatato dei Joy Division,” dice Orzabel. “Ma erano uno dei pochi gruppi che prendevano in considerazione gli istinti suicidi,” cosa che li rese automaticamente un’influenza e comportò inoltre che le due band venissero regolarmente paragonate l’una all’altra. Per Smith, la creazione di The Hurting “fu davvero un modo per buttare tutto questo fuori da noi,” per prendere tutti i sentimenti di abbandono, rifiuto e rabbia e trasformarli in qualcosa di attivo.

“Sentivamo di essere vittime e ciò influì sostanzialmente sul nostro approccio a The Hurting: pensare di essere nati come esseri neutrali e che la nostra infanzia travagliata ci avesse creato dei problemi,” dice Orzabel, ma aggiunge: “Il modo per liberare i traumi d’infanzia era la ‘primal therapy’, che ho fatto per sei anni. Era molto trendy, da vero Californiano.”

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Quell’impressione trendy e californiana venne confermata quando incontrarono il loro eroe Janov a LA. Li portò a pranzo e suggerì loro di scrivere un musical per Broadway sulla primal therapy. L’offerta di Janov fu educatamente declinata, lasciando il mondo privo di una canzone e di un numero di danza sui sentimenti inespressi dell’abbandono.”

Con le sue ruvide emozioni, gli attacchi accattivanti e gli arrangiamenti insoliti, The Hurting rimane ad oggi un classico. È un album per chiunque si sia mai sentito imprigionato tra le proprie emozioni, che abbia provato la disperazione che si fa strada quando non puoi sfuggire a tali emozioni, che siano derivate dall’infanzia o meno.

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Oltretutto, è un album che inquadra perfettamente le prove della tarda adolescenza o, nelle parole di Orzabel, di quando si soffre di depressione. “Quando ero un ragazzino per me era estremamente personale, ora non lo è più,” dice.

“Credo che queste emozioni siano più rilevanti negli anni dell’adolescenza. Ti sembra difficile gestire certe cose e crescendo diventa più semplice,” aggiunge Smith. “Penso che tutti i ragazzi che affrontano la fine dell’adolescenza tendono a rapportarsi con l’album più che qualsiasi altra fascia d’età, perché stanno scoprendo se stessi. Hanno appena lasciato casa e devono abituarsi a non avere più il supporto della famiglia. Noi non lo abbiamo mai avuto, per cui non faceva alcuna differenza.

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"Mad World"

“Mad World” era basata su questo immaginario. “Eravamo seduti nel suo appartamento,” dice Smith, “e guardavamo le persone che andavano a lavorare fuori dalla finestra, le esistenze che credevamo inutili.” La vita borghese di Bath passava accanto a loro, le “Worn out faces/Bright and early for their daily races,” e i due outsider guardavano il tutto dall’alto in basso, non desiderando in alcun modo di farne parte. Trasformarono questi sentimenti in una hit, anche se il successo del pezzo fu una sorpresa.

Smith ricorda: “Credevamo che fosse un pezzo molto bello e originale, ma credevamo anche che ci fossero altre canzoni nell’album molto più commerciali. Perciò pensammo di farlo uscire per primo, guadagnandoci un po’ di consenso da parte dei critici, perché era interessante e diversa. Nessuno di noi—inclusa l’etichetta discografica—pensava che potesse diventare una hit.”

Siccome questo pezzo era stato inizialmente pensato come B-side, il gruppo persuase la label che stavano facendo un errore. “Se analizzi il ritornello, sono due note,” spiega Orzabel, il che è probabilmente una delle ragioni per cui divenne così popolare. Oltretutto era semplicemente azzeccata per quel momento, essendo una canzone pop new wave che presentava una drum machine 808—registrata al doppio della velocità e poi rallentata—a supporto di una melodia tipica e di qualche verso sulla natura alienante della vita borghese. Qualcuno ha per caso parlato di “Inno alla Thatcher”?

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Roland Orzabel è l’unico a comparire nei credits dell’album come autore, ma Smith fu “seriamente il mio complice. Non riusciva ad articolarsi musicalmente come me, ma eravamo un’unica mente. Provavamo le stesse emozioni allora, cosa che forse oggi non è più vera.”

Questa telepatia venne un giorno tradotta nei fatti quando Smith parlò al suo complice della band che aveva visto la sera prima. “Andai a sentire un gruppo chiamato The Electric Guitars, di Bristol. Li descrissi a Roland, e lui semplicemente iniziò a suonare un riff alla chitarra e disse, ‘Suonano così?’ E ci aveva azzeccato.”

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Anche se i synth, le drum machine e il resto della loro strumentazione elettronica si fanno sentire per tutto l’album, le canzoni furono scritte con una chitarra acustica, l’unica cosa che accomunava i Tears For Fears a tutti gli hippies improvvisavano jam session nell’ovest dell’Inghilterra. La chitarra acustica di Orzabel era offerta dal loro amico “ricco”, Ian Stanley, che viveva in “una cazzo di villa enorme, nei sobborghi di Bath,” equipaggiata con un registratore a otto piste e tutto la strumentazione Roland più recente. Erano felici come dei maiali mentre sguazzavano in un fango di JP-4. La strumentazione consentì loro di creare musica colma di groove per sostenere e compensare il trauma poeticamente senza tregua dei loro versi.

Orzabel mi fa notare la disparità tra musica e i temi dei testi: “Ci sono canzoni che funzionano quasi a prescindere dal testo. ‘Pale Shelter’—se l’analizzi testualmente—è delicata ed emotiva. Ma dal vivo, ha un ritmo vivacissimo. C’è una vera dicotomia. È lo stesso con ‘Mad World’.”

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A distanza di 30 anni, questa è una cosa con cui il gruppo sperimenta ancora dal vivo. “A volte, quando suoni alcune di queste canzoni, devi cambiare gli arrangiamenti, perché non ti senti più in quel modo,” dice Smith.

Entrambi sono padri di famiglia ora. Sembrano anche felici, liberi dai traumi esposti in The Hurting. Entrambi ora credono, al contrario di Janov, che la personalità sia in larga misura determinata dalla natura e che sia possibile voltare le spalle a un’infanzia travagliata. Per dirla con le parole di Orzabel, “Cose come la depressione e la rabbia sono piuttosto naturali. Si tratta solo di contestualizzarle.”

Orzabel racconta una storia sulla prima volta che ha sentito la versione di ‘Mad World’ fatta da Gary Jules, che mostra perfettamente lo stacco tra il ragazzo problematico e il padre riflessivo. “Un amico mi aveva portato la colonna sonora di Donnie Darko e l’ha messa su senza che avessi nemmeno visto il film. Mio figlio aveva più o meno otto anni allora e iniziò a cantare i versi di ‘Mad World’: “Children waiting for the day they feel good/happy birthday/happy birthday.” Ho pensato, ‘Oddio, no, che cosa gli ho fatto sorbire! Stavo scherzando, non mi sentivo davvero così!’”

Oggi il processo di creazione musicale è molto meno stressante per Orzabel. Spesso si siede di fronte alla televisione durante le partite, con le cuffie collegate al portatile, giocherellando con vari programmi musicali, cento volte più potenti che il registratore a otto piste del suo amico riccone. Comunque, per entrambi, The Hurting sembra rimanere una pietra miliare.

“Sono molto orgoglioso di quell’album. Non lascia spazio agli indugi. Non è in alcun modo subdolo, quindi in quel senso è probabilmente il disco dei Tears For Fears più puro,” dice Smith. “I ricordi sbiadiscono ma le cicatrici rimangono,” cantavano tempo fa. Be’, i ricordi ora sono belli.

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