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Musica

Il peso specifico di Mystic One

È ufficialmente tornato Mystic One. Abbiamo la title track del suo disco in uscita, "Peso Specifico" e un'intervista, fate un po' voi.
Sonia Garcia
Milan, IT

L’altro giorno mi hanno definita “giornalista musicale” in pubblico e io ci sono rimasta così di merda che ho deciso di cominciare utilizzando con finta nonchalance l’espressione “disco dell’anno” -> Non importa se non siete me e non avete avuto il privilegio di ascoltarvi Peso Specifico, il nuovo album di Mystic One, prima del dovuto, il Truceklan è dittatura baby e in questo caso anche quello che dico io: Peso Specifico è uno dei dischi dell’anno.

La verità è che, come già annunciato dallo stesso Gabriele Clemente aka il Mystichella e da tutta Propaganda, lunedì 9 uscirà in copia fisica e digitale assieme al video del secondo singolo estratto, "Cieco Con La Pistola"; non serve odiarmi più di tanto, saprete valutare voi stessi. Personalmente Satana continua a dirmi “va” in mille lingue, per questo che quando ho saputo dell’imminente pubblicazione mi sono sentita nel dovere etico di fare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di saperne di più. Due sabati fa Gabriele ha suonato assieme a Noyz al Leoncavallo (ciao), così quel giorno ne abbiamo approfittato per farci un pranzo io, lui e il mio ragazzo, che, anche se non ama divulgarlo, è un altro devoto fan del Klan. Abbiamo trattato un botto di argomenti tra cui Benetti, conigli, e impossibilità di divertirsi nella vita. Scherzo, abbiamo parlato anche di moltissime altre cose che per questioni di spazio/tempo non potrò riportare, tipo che gli fa cacare Il Cile, apprezza Bello Figo e soprattutto mi ha messo al corrente dell'esistenza del rapper veneto Fiks, sul cui pregio sarebbe giusto scrivere libri. Ma non oggi.

Peso Specifico, per chi non avesse idea di cosa stiamo parlando—che brutta vita in tal caso—è costituito da nove tracce che arrivano dopo sei anni da quella sassata sul setto nasale di Jagermasterz, con Benetti e Dj Demis, disco che non starò a raccontarvi in questa sede perché fiduciosa della vostra cultura. Il Mistico, da allora a oggi, ha seminato il suo male un po’ dappertutto—Verano Zombie, Ministero Dell’Inferno, i vari mixtape di Dj Gengis, In The Panchine 2, Running Free, Monster etc—e la vera buona notizia è che ha deciso di seminarlo anche qui, con un brano in esclusiva dal suo disco bomba: la title track, “Peso Specifico”. Ascoltatevela. Se vi ricorda qualcosa abbiate pazienza, da qualche parte qua sotto è spiegato bene il perché.

Noisey: Perché nove tracce?

Gabriele: Non siamo arrivati a dieci perché non volevo. Sono ancora legato a quella piccola magia letteraria dantesca per cui il multiplo di tre è qualcosa di sacro, poi il numero pari è veramente noioso. Mi sembrava anche di aver esaurito abbastanza le forze, è stato un po’ uno svuotamento mentale. Non dovevo andare oltre, ne avessi fatta un’altra sarebbe stata la solita traccia riempitiva, col feat buttato là. No, sono tutte tracce calibrate, volute, decise, sentite. Non potevo farlo in tempi brevi, perché sono nove tracce di pura fatica. Purtroppo sono talmente sciocco—è da stupidi essere così—che mi impunto sul contenuto, ci devo pensare e ripensare a quello che dico. Ho la sensazione che questo disco sia stato l’unico disco compatibile con quello che avevo in testa. È proprio quello che volevo. Di solito non gira sempre bene così, nel senso che di merda in testa ne hai, ma quando la butti su carta non è proprio tale e quale a come l’hai pensata. A volte ha dei binari, dei limiti, perché comunque le lettere hanno dei limiti. Invece ora no, è proprio quello che ho letto e quello che ho studiato.

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Già con “Pasto Nudo” e "Cieco Con La Pistola" si delineano bene i tuoi riferimenti letterari, il che non sempre è scontato per un rapper.

Ci ho messo un anno e mezzo a farlo questo disco, durante il quale ho letto davvero di tutto. I riferimenti letterari sono tanti, “Cieco Con La Pistola” si chiama come il libro di Chester Himes e "Pasto Nudo" vabe', Borroughs. Dopo aver visto il film Urlo, su Gingsberg, da ragazzino, sono andato in fissa con la Beat Generation e me la sono approfondita su ogni aspetto. Mi sono letto tutto, è una roba impressionante. Leggere è bello, anche se molti credono sia da froci.

Direi. Torno alla musica, le basi sono sempre di Demis?

Sì, tutto lui, dall’inizio alla fine. Missaggio, master e via dicendo. Con lui non c’è manco più bisogno di comunicare. È tutto subito chiaro, limpido.

Le strumentali di Jagermasterz erano riconoscibili in quanto algide e asettiche, tutto sommato. Avete dato loro un altro taglio o è rimasto qualcosa di allora?

È sempre Demis, quindi quel tocco c’è. Però, per dire, quando Noyz è venuto ad ascoltare il master dall’inizio alla fine, ha detto che sembrava uno Jagermasterz 2.0. Cioè il mood è sempre quello, le nove tracce sono diversissime tra loro, pur rimanendo nel complesso omogenee. C’è qualcosa di asettico, ad esempio, in “Pasto Nudo”. Lì ero andato in fissa col mixtape di Arab Music, Electronic Dream, in cui c’era una strumentale che campionava un pezzo dance. Partiva sta base sparata, cassa dritta, bpm lentissimi. Ero a Ventotene, vicino Roma, sento sta cosa e mi parte la fissa per quel tipo di movimento. La prima strofa di “Pasto Nudo” l’ho scritta là. Poi sono andato da Demis, gliel’ho fatta sentire, e lui mi ha subito dato del matto, ovviamente. Gli dissi di togliere tutta la musica, di lasciarmi fare, che avevo intenzione di andarci sopra. Mi serviva solo una batteria di sottofondo. Ecco com’è andata, ecco perché quella traccia è “vuota”. La strumentazione è quella che è, di certo non poteva essere la cosa più allegra del mondo. Tra l’altro quella canzone è stata la prima che ho scritto del disco.

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Non so perché ma immagino una perfetta simbiosi tra te e Demis, almeno musicalmente.

Musicalmente è una cosa assurda, è lì che mi dico “Ecco perché sto con Demis.” Con lui godi come un pazzo. Fa delle strumentali che a volte entri e dici “E io qui che cazzo ci scrivo?”. L’album non è che sia andato tutto proprio così, ma in genere è lui che decide la sua musica e io dico solo cosa mi piace e cosa no. Non è un produttore che fa ottantamila basi alla volta. Farne può essere semplice, come per le rime. Ma Demis in quel senso è molto simile a me, quando lo fa è perché in testa gli frulla proprio quella roba lì. In studio non dice una parola, al massimo ti intima di stare zitto. Poi va là, si mette sul piano e bam, capisci perché. Un po’ di tracce sono state trainate da me, altre da lui. Io e Demis siamo sullo stesso piano, se non riesci a cavalcarlo, ti sbrana. Una roba come quella che ha fatto per il mio disco mi avrebbe potuto sbranare, però molto tranquillamente lo dico: sono bravo e non ho avuto di questi problemi. Un aspetto dell’album che spero venga sottolineato è che segue una linea tutta sua, che di certo potrà ricordare qualcosa, riferimenti etc, ma che difficilmente potrà essere confusa. Non è che è quella fantomatica novità di cui tutti parlano all’uscita di ogni disco, perché alla fine le note sono quelle, ma è questione di saperle accarezzare. Sono molto orgoglioso, se non si fosse capito.

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Uno dei nove teaser grafici del disco, uno per canzone. "Al posto di dare importanza alle immagini con un videoteaser, ho voluto darla alle parole" Gabriele Clemente

Che feat ci sono? Scusa ma sono mega curiosa.

Ce ne sono tre. Il primo di cui vorrei parlare è quello con Clementino, di cui rimani sempre un po’ stupefatto per la capacità di stare sul palco e di mangiarlo. Crea un’empatia col pubblico che non esiste proprio, difficilmente l’ho riscontrata in altri rapper o cantanti. Lo conobbi al 2thebeat, era appena uscito “No Acqua”. È stato un singolo che ha avuto un minimo di viralità, ed è stato accolto da tutti come un brano figo. Clemente era venuto a contatto con me tramite quel singolo e “Ogni Giorno”. Ha vissuto a Roma per un anno, se non sbaglio. Mi ricordo che io, Benetti e Demis stavamo facendo un live al 360° a San Lorenzo e a un certo punto spunta fuori lui, Clemente. Non era ancora il Clementino di adesso, però già era un mostro di freestyle, per esempio. È bello perché tendenzialmente le persone cambiano, e il cambiamento molto spesso è semplice: in peggio. Clemente è rimasto così, te lo dice subito quello che sei stato. Mi ha proprio detto “Guarda io ai tempi venivo al 360° a sentirmi “Ogni Giorno”. Quell’umanità immutata e sacrosanta, non puoi che apprezzarla. Ai live lo ribeccavamo di continuo, è sempre stato sempre tutto molto divertente con lui. Non volevo tanti featuring nell’album, perché secondo me questi devono avvenire non tanto per amicizia, ma per un’intenzione musicale comune. Se vieni nel mio album è perché so che con te posso raggiungere qualcosa. Ovviamente quello con Clementino è il pezzo più amaro dell’album.

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Uh, Clementino non ce lo vedo molto in pezzi “amari”.

È questo il gioco. Metterlo nella condizione di far qualcosa di diverso. È uno dei pezzi più sentiti dell’album, anche se è positivo. Ho scritto una roba dal taglio malinconico, nostalgico; anche la base trasmette questo e lui si è adattato perfettamente. È riuscito a fare una roba che è sì divertente, ma con una profondità particolare. Se l’ascolti una volta non la senti, alla seconda la percepisci, alla terza la cogli.

Che bomba. Torniamo agli altri due featuring.

Ok. Il secondo è con Noyz Narcos. Quella è una cavalcata delle Valchirie. È un “Confesso Tutto pt 2”. C’è un bridge all’interno, ma non hai proprio il tempo di fiatare. È così, veloce, serrata, lui al centro e io intorno con due strofe. “Confesso Tutto” era il contrario. Poi sicuramente non verrà percepito questo, il pezzo si chiama “Reportage”, non “Confesso Tutto pt 2.” Ma il mio gioco voleva essere questo, del tipo guarda: era così, adesso è così. Le cose cambiano, ma siamo sempre noi. Il terzo featuring è con Gast e Grezzo. Grezzo è il pischello che mi ha insegnato a fare rap, secondo me ha avuto poco rispetto a quello che ha dato. Purtroppo la visibilità di ogni forma di arte—anche se questa non è arte—nell’era moderna ha bisogno di una cassa di risonanza. C’è chi si è trovato in zone con megafoni più ampi, anch’io se non fossi stato all’interno del Truceklan sarei stato un rapper come un altro. Grezzo è eccezionale, è stato uno dei primi a dirmi di scrivere, mi ha pure dato il nome…

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Ah sì? È stato lui?

Sì, ero pischello. Avevo quattordici anni, eravamo andati a casa sua senza conoscerlo, io e un altro ragazzo a cui dovevo fare un featuring. Stavo facendo non so che mixtape… avevo le mie cose con me, i testi stampati, ne ero fierissimo. C’era sto foglio con sto testo che si chiamava “Fuoco Nell’Etere”. Dimmi tu cosa cazzo voleva dire. Nulla. Però era tutto metaforico, un po’ assurdo… allora arriva il Grezzo, lo legge e mi fa “Ammazza sei un botto mistico fratè”. E dato che non avevo un nome me lo sono tenuto, il Mistico. Ero piccolo, avevo quattordici-quindici anni, cosa potevo mai scrivere? Con tutto rispetto per chi ha quell’età, ma non è che si ha troppa esperienza. Con lui insomma era nata l’idea di fare l’album Compagni di Sbronze, ma poi è uscito solo a suo nome perché in quel periodo, verso i diciotto-diciannove, già avevo iniziato a scrivere con Benetti. Non ho portato in porto il progetto con lui, ma è uscito lo stesso ed è un album meraviglioso. Si parla sempre di tanti anni fa, ma io tutt’ora me lo ascolto e le canzoni sono proprio fighe, te lo consiglio. La traccia in cui ci sono anch’io è “Sangue e Poesia”, è una tranva, mi piace un botto tutt’ora.

Quale traccia ci darai? [Non lo sapevo ancora]

Allora, vi darò l’outro del disco. Iniziamo dalla fine. L’album si chiama Peso Specifico e la traccia che ti do è “Peso Specifico”, l’ultima. È la prosecuzione del pezzo che avevo fatto per l’ultimo mixtape di Gengis, Rome Sweet Home, cioè riprende la stessa base—di Demis—e le stesse strofe iniziali. Non a caso lì il ritornello era “Rome Sweet Home, il resto te lo becchi dentro l’album”. È stato una specie di gioco. L’album era quasi concluso e avevo in mano solo la strofa di Rome Sweet Home. Mentre la registravo pensavo “Cazzo, questo pezzo è una bomba, lo voglio nell’album”. E così è stato, il pezzo del disco è un traccione unico che racchiude il sunto di quello che ho detto in tutto l’album. L’atmosfera si condensa in quelle battute e ne esce fuori un manifesto. “Peso Specifico” è una strofa talmente lunga che ti dà benissimo l’idea dell’ambiente all’interno del quale le trincee si sono mosse, nell’album. Ci sono giusto un paio di frasi ripetute alla fine e oltretutto è l’unico momento in cui dico “Peso Specifico”. Mi interessava darti quella traccia perché è la fine di tutto e perché mi piace un botto. Non c’è il ritornello, io sto là a dire cose sentite, non “Ora scrivo un pezzo sull’astuccio verde dell’Invicta che avevo in terza media.” No, io vado, parto. Questa è l’unica traccia che non è nata da un’idea, ho proprio chiesto a Demis di darmi una base dove potessi sciogliere il polso. In ogni caso non è da qui che il disco ha preso il nome.

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Cioè? L’avevi deciso fin dall’inizio?

Sì. Non sono mai stato un grafomane. Ho sempre scritto con lo scalpello, lentamente. Non a mano perché non ho più tempo, scrivo tutto nella testa, di solito in pausa pranzo. Lavoro vicino a un viale gigante che ti porta fino al mare, mangio una cosa veloce, mi metto le cuffie e inizio a camminare avanti e indietro, con sotto la base di Demis. Penso, ripeto, ma non scrivo. Quando torno dal lavoro poi metto tutto per iscritto su una chiavetta USB, ma non è che ho tanto tempo in generale. Non mi piace neanche andare troppo di flusso di coscienza, per quello che poi non riesco a condividere arti come il freestyle. Mi piace, ma non ci riuscirei mai. Le parole pesano, devi stare attento a quello che dici. Non è un gioco. Se pensi a Borroughs stesso, quando le figure che rappresentano Kerouac e Ginsberg lo raggiungono ad Algeri e gli dicono “Devi scrivere!” lui risponde “No, è troppo pericoloso. Ho smesso con quella merda.” È questo il concetto che c’è dietro l’album. L’idea è quella, ogni traccia, ogni parola deve avere un suo peso specifico. Non inteso come pesantezza, ma come qualcosa di consistente. Per me è fondamentale, non perché il rap debba essere pedagogico; non devo insegnare niente a nessuno, però sto più a posto con la coscienza. Mi sento qualcosa. Ad esempio, per chiudere una rima devo davvero camminare sopra l’acqua dei Navigli, non esiste che ti faccio quella più scontata. Non è possibile che “gioco” possa far rima solo con “poco”, proprio no. Mi rifiuto. Ci vuole un minimo di coerenza, per quanto la coerenza sia il limite degli stupidi.

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Una coerenza che se non serve agli altri, almeno serve a te.

Esatto. Cioè, spero che chi ascolterà l’album ci senta dietro qualcosa. Poi vabe’, sono troppo interno e coinvolto, non riesco ad essere obiettivo. Come fai? Il singolo che uscirà lunedì assieme al video, "Cieco Con La Pistola" è uno dei miei pezzi preferiti per esempio. Ho sempre voluto farlo uscire per primo e alla fine così sarà. Vedi però, quando sei troppo interno a queste cose non le vedi con obiettività, ti devi un po’ allontanare. Tipo la mamma che parla del figlio, non è mai obiettiva.

Mi pare di aver capito che Benetti nel disco non c’è. E viene da sé la domanda, ci sarà o no il fatidico seguito di Jagermasterz?

Tasto dolente. No, non c’è e non ci sarà neanche il seguito. “Scatola nera” rimane una scatola nera. In origine era un pezzo mio, ma mi era venuta in testa sì, l’idea di tornare sul palco con Andrea (Benetti), che è la persona più divertente del mondo. Quando sei sul palco con lui sai benissimo che hai davanti una specie di Bukowski, che può succedere qualcosa di grave. Potrebbe biascicarti tutta la strofa, ma c’è talmente tanta sintonia che ridi. I live dei Jagermasterz erano proprio circensi. C’era il nano che lanciava le palle, io, e l'ubriacone, lui. Ogni volta che doveva presentarmi mi chiamava “Il nano più alto del mondo, l’enfant prodige” perché ero più piccolo. Però ecco, tutto ciò non si ripeterà. Andrea è grande, non ha più intenzione di tornare. Uscirà sull’album di Grezzo un featuring con Benetti, ma lui ora non ha più tempo né voglia di rifare quello che faceva prima. È un outsider… per fare un esercizio vi invito a mettere i testi di Benetti su carta senza rapparli. Sono una cosa di una tristezza infinita. È uno dei più grandi scrittori italiani degli ultimi tempi. A Roma per me è il numero uno, non ne esiste uno migliore. Come scrittore intendo, non come rapper. Il Truceklan nasce da Benetti. Lui rappava con Gufo nei Losco Affare, suonavano al Brancaleone quando ancora era un centro sociale. C’era lui coi capelli lunghi, con la Peroni in mano che probabilmente ti avrebbe tirato in faccia. Chi ascolta rap a Roma lo sa chi è Benetti. Nel libro di antologia assieme a Boccaccio e Petrarca dovrebbe esserci pure lui. Proprio perché è un outsider, a quello non gliene frega veramente nulla. Anche andare a suonare per lui era un peso. Il doversi preparare e la tensione dietro a ogni live a me arrivava, ma se ne andava velocemente. A lui no. Comunque stai là, gli devi dire qualcosa a questi che stanno sotto al palco, no? E lui era più per il “Chi me lo fa fare”. Non se l’è più sentita. Lo posso capire perché l’aspetto alienante di sta cosa, per chi non lo fa per lavoro, è vedere che dietro quello che fai si crea del business. Non lo concepisci perché semplicemente non lo vuoi. C’è chi dice che può comunque continuare a farlo per conto proprio, ma ad Andrea non gliene frega abbastanza. Non so come dirti, se il disco Jagermasterz lo mettevi in freedownload non gliene fregava niente. Il fatto che ora non faccia più rap è una cosa naturale, secondo me non l’ha neanche mai fatto… e comunque io ho il cd dei Losco Affare. L’unico in Italia a possederlo. Me lo regalò lui di persona ai tempi. Ne avevano fatto solo una copia, che sennò girava in cassetta.

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Anche qui poco pregio.

Eh sì. Comunque l’ultimo nostro feat è stato nell’album di Gast e Chicoria, “Mal di Testa”. È un pezzo scritto da me e Andrea, eravamo sul Ponte Casilino dentro una macchina, alle quattro di mattina, completamente ubriachi. Ridevamo come dei matti, dovevamo trovare il ritornello e non avevamo idea di cosa scrivere. “Dai, una cosa col mal di testa…” e alla fine è uscito fuori il “Ding-dong”, ma stavamo proprio fusi. Era un din-don del batacchio che avevamo in testa in quel momento [Ride]. “Ma come din-don?” e giù a ridere… Una roba grottesca, fusa, alla Jagermasterz. Tu ascolti quel ritornello e dici “Vabe’, questi sono deficienti.” A me poi era piaciuta tantissimo la sua strofa ne “Lo Sconosciuto Allo Specchio”, nel Best Out Mixtape vol. 1 di Gengis e Noyz.

Ah madonna, sì.

Boh, la devono studiare a scuola. “Con lui è sempre lunedì mattina col famoso mal di testa”. Questo è peso specifico. Ti ha detto tutto, non deve aggiungere altro. Ne “Lo Sconosciuto Allo Specchio” c’era il gioco dell’alter ego, dell’io/non-io, e con la parte malata di me è sempre lunedì mattina col famoso mal di testa. Lo puoi esprimere in tanti altri modi, ma occhio, non so se raggiungerai mai questo. Sono stato in fissa con questa frase perché secondo me era totale. Poi col “famoso”, capito? C’è sempre quell’aspetto divertente/grottesco, quasi da giullare. Al mal di testa gli puoi dire “famoso”? Andrea poi è sempre stato un rapper old school, con la cantilena, non è il rapper da scimmia sul palco. Ti fa pure così col dito perché deve tenere il tempo… mi fa morire. Ha sempre aiutato a sciogliermi, lui si diluiva molto più facilmente di me. Però insomma no, non ci sarà un altro Jagermasterz. Si vocifera un live dei Jagermasterz prossimamente, ma chi può dirlo. Benetti è un grandissimo figlio di mignotta… è lo stronzo più bello del mondo, veramente. Lo ami da quanto è stronzo. Gli prende anche bene a pensarsi di nuovo sul palco con me a rifare “No Acqua”, “Ogni Giorno”… ma vai a capire. Per me, adesso, sarebbe fico farle sentire ai pischelli che magari non se le sono proprio più sentite da allora. Nel senso, chi ascolta il Truceklan sa che ci sono alcune pietre miliari: “Verano Zombie”, “Pagliaccio di Ghiaccio”, “No Acqua”. Ci sono sempre quei pezzi iniziali che hanno scandito un po’ tutto. Che problema ci sarebbe nel fargliele risentire?

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È tutto quello che loro vorrebbero eh. Che io vorrei, anche… Quando l’anno scorso sono andata a vedermi Noyz e Chicoria al Monster Tour, a un certo punto è partita “La Calda Notte” e pensavo di morire.

Questa cosa mi è successa in un paio di occasioni in cui ho fatto “Confesso Tutto”. Per quanto sia roba di sette anni fa, tutti quelli che seguono il Truceklan sanno cosa è. Quando senti il rintocco iniziale, vedi la gente che sbianca. Sbianco io per primo.

Sì, ciao… poi l’ultima traccia di Ministero, arrivederci proprio.

È quello il gioco. Secondo me ste cose vanno fatte, non so se stasera riusciremo. Probabilmente io mi farò la mia strofa a parte. [È stato così]. A me piace pensare di fare un po’ di storia, durante il live. Sono costretto a farlo perché ancora non ho il disco fuori, quindi è anche un po’ un gioco forza. Ma quando uscirà e avrò i miei brani, quelle strofe me le farò comunque.

Dato che ci siamo, momento storia: tu come sei entrato nel Truceklan?

Inizialmente mi beccavo spesso con Gel e Carter, andavamo a bere come dei matti in un pub vicino al Colosseo. Avevamo la nostra cricca, il nostro angolino. C’era un bancone gigante, dei tavolini e una piccola struttura di legno, uno spazio chiuso all’interno di questo pub. Noi stavamo sempre lì, se arrivavamo e c’erano altre persone, rimanevamo in piedi a guardarle fino a che non se ne andavano. Una volta seduti puoi immaginare, parlavamo dei massimi sistemi e ci bevevamo quelle otto, nove pinte giusto per renderci simpatici. Il primo a inserirmi nel Klan è stato Marco (Carter) e l’ha fatto col brano “Parlando Alla Luna”, contenuto ne La Verità Su Metal Carter, il suo primo album. La base era di Demis, Marco stava inizialmente registrando da lui. Aveva sta base che girava un botto e piaceva pure a me, così un giorno mi ha proposto di farla insieme. Io gli ho buttato giù strofa e ritornello, e quella è stata la mia prima apparizione all’interno di un album del Truceklan. Ero piccolo… avrò avuto venti, ventuno anni. Io e Marco portammo la traccia a Benetti, nel pub dove lavorava a San Lorenzo, e lui: “Madonna che bellezza, che roba incredibile!”. Quella è stata l’investitura. Non ti dico che Marco è stato il primo a prendermi sotto la sua tutela, perché poi di tutela non si può parlare… Però diciamo che è stato il primo a credere in me, per quanto mi faccia vomitare dirlo con queste parole. È stato il mio santo protettore, dove per santo intendo demone. Lui me lo sottolinea sempre, “Io sono stato il primo etc.” e ha ragione, mi ha spronato in tutti i sensi e mi ha cacciato dentro. Non c’è stata nessuna cerimonia, nel senso che comunque non sono diventato sir. È avvenuto naturalmente. Da lì ho conosciuto tutti gli altri, stavamo sempre allo stesso pub e le attitudini erano molto comuni. Per quanto un individuo pensi in tutti i modi di stare bene da solo, ognuno sceglie sempre il proprio gruppo d’appartenenza. Il mio habitat naturale erano quelle persone.

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Eri anche il più piccolo, forse.

Sì, sono sempre stato il più piccolo. La cosa del “Mystichella” nasce da lì. Io ai tempi avevo venticinque anni, loro trenta… in certi casi cinque anni sono davvero tanti. Sono sempre stato il loro fratellino. Da una parte è stato anche carino, perché il fatto che fossi sempre stato il più piccolo era un modo sia per prendermi in giro che per manifestarmi affetto a loro modo.

Non ti ho mai visto dal vivo e sono presa benissimo per stasera. Penso anche di aver intuito lo spirito con cui ti approcci ai live.

Ai miei concerti solitamente voglio che la gente sudi, che stia male, e io voglio stare male con loro. “Il mio dolore che si lega al tuo”, Piero Ciampi. Quello è. A me piace così, e non importa se il pubblico è fatto di ragazzi con poca esperienza di vita. Il mio problema è che mi prendo sempre troppo sul serio, non sono capace di giocare o scherzare, neanche ai live. Non ci sono maghi che tirano fuori conigli dal cilindro, per me. Io piuttosto arrivo e ti ficco quel coniglio in culo. Che bella metafora… Sto leggendo Colpo di Spugna (Pop. 1280) di Jim Thompson, e c’è una frase bellissima in cui spiega come le parole e la grammatica assomiglino a un sacco di altre cose. In base a questo, le persone cominciano a non dare loro la solita importanza, rendendo così il giusto sbagliato e viceversa. Questo per dire che non bisogna mai togliere i mezzi alle persone.

Prima ragionavo sul fatto che Peso Specifico è il tuo primo disco solista, e magari dovrai avere a che fare con gente non necessariamente presa bene per il male come tutti noi.

Questa è la prova del nove, tutti sanno chi sei ma nessuno ti ha visto solista. Di sicuro a questa musica si approcciano anche ragazzi giovani, con poca esperienza sulle spalle, che magari si ascoltano “Pasto Nudo” e continuano a chiedersi cosa abbia voluto comunicare con certe espressioni. Dentro l’album non c’è niente di frivolo, ha perso quell'esistenzialismo tipico di Jagermasterz. Almeno alle mie orecchie sembra più una risorta, una rivalsa rabbiosa, diciamo una violenza pensata e pesata. Ci sono pezzi che danno carica, di polso, altri più piagnoni, ma ad ogni modo tu vieni, te l’ascolti e te lo ciucci tutto. C’è sempre quel famoso coniglio che scava… che fa un tunnel [Ridiamo tutti] A me poi non piacciono i pezzi “rap” nel senso della parola, mi annoiano. O ti ascolti le canzoni o ti ascolti i pezzi rap, secondo me sono due cose veramente distinte. In quel senso spero di aver fatto canzoni. Alla fine, uno nel rap può fare canzoni senza necessariamente cantare.

Esatto. Sfatiamo sta cosa che per fare delle “canzoni” serve per forza dare una qualche musicalità ai propri lavori.

Non sono Piero Ciampi, o Paolo Conte o Jannacci. Però ascolto più cantautori italiani che rap, questo è sicuro. Con Paolo Conte stai bene nella tua stanza, non ti fa certo sbroccare, ma quando lo vai a sentire dal vivo percepisci che c’è qualcosa di diverso, sei lì col fiato sul collo. A me piace pensare che ai concerti rap venga trasmessa quella stessa sensazione. Nel mio caso il rap è un veicolo, ma i pezzi sono canzoni. “Ogni Giorno” è una canzone, così come “No Acqua”. Te ne rendi conto che è così, che c’è uno scheletro dietro. “Confesso Tutto”, invece, è un pezzo rap. Quelle di Peso Specifico sono nove canzoni che utilizzano il rap solo come veicolo. So benissimo di non essere io quello in grado di riempire un posto, non può essere altrimenti e me ne rendo conto. Sono ancora in una fase in cui non faccio questo di lavoro e anzi, per fortuna mi diverte. Però ecco, ci tengo a sottolineare il ruolo che ha, e che ha avuto per me il rap. Detto questo basta, io ogni volta dico che Paolo Conte è il miglior rapper italiano. Che palle, tutti in fissa ancora con sto rec, rep…

Sonia è in fissa per il rec anche su Twitter — @acideyes