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Musica

Anche a Malgioglio piacciono i Lolocaust

Intervista a un gruppo senza peli—pubici—sulla lingua.
Sonia Garcia
Milan, IT

Il giorno in cui ho incontrato i Lolocaust era un venerdì, faceva freddo e probabilmente avevo la febbre. La debilitazione in cui mi trovavo non mi ha tuttavia impedito di uscire, arrivare a Porta Venezia con un onesto ritardo di dieci minuti, appostarmi da qualche parte con Noyz in cuffia a consolarmi, e d’improvviso realizzare che il personaggio che mi si parava davanti, seduto in un bar e circondato da anziane signore vestite di nero, altri non era che Cristiano Malgioglio. Quale essere vivente non sarebbe corso a immortalare un così alto momento? Pedar Poy era appena arrivato, questi siamo noi e lo splendido Cristiano, che per l’occasione ci ha chiamati entrambi Baby e ci ha chiesto—completamente a caso—se eravamo di Roma. Colgo l’occasione per ricordare che iTunes mi dà quarantotto ascolti per questa canzone.

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Al suo fianco, anche il mio smalto vecchio di una settimana sembra sorridere.

Osserviamo Cristiano allontanarsi, circondato da un numero indefinito di parche vestite di nero, probabilmente ex compagne di liceo con cui amava parlare di tacchi. Di lì a poco arriva Gulag, secondo e ultimo componente dei Lolocaust con cui io e i miei bacilli abbiamo parlato quella sera. La mia idea iniziale era di andare ad assistere alle coerografie all’aperto dei latino-americans della zona, esperienza estetica di gran rilevanza, ma la mia tisi e l’improvvisa eccitazione per l’incontro inaspettato mi hanno obbligata a cambiare programmi. Il viaggio nella morale dei Lolocaust non poteva che avere luogo nello stesso bar in cui poco prima sedeva lo Splendido. Così ci siamo seduti, abbiamo ordinato caffè e tortini al cioccolato (Pedar) e abbiamo cominciato.

Premessa: si parla di rap—e di cos’altro, di grazia, potevamo parlare?

I Lolocaust sono un gruppo di cinque giovinastri senza peli—pubici, direbbe Pedar—sulla lingua, in ordine alfabetico: Chef Ragoo, Gulag, Mortecattiva, Pedar Poy e Sgherl. Provengono da tre città diverse e questa mixitè socio-geografica si è rivelata vincente in molti aspetti che fra poco scopriremo.

Gran parte del loro successo è dovuto all’irriverenza con cui nei loro testi trattano 1. le donne 2. i neri 3. gli escrementi e gli umori vari 4. i gay e devo ammettere che versi come “Fremo al solo pensiero di incontrarti, poi ti incontro e vado in crisi e tremo tutto. Ian Curtis.” hanno migliorato la mia esistenza, anche se solo per cinque minuti.

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Abbiamo chiacchierato per un’oretta, sulla musica, su Califano, sulla bega di Sgherl e su come comportarsi quando arrivano i paki a venderti gli accendini.

Noisey: Ho la febbre e sono rincoglionita, non c’è momento migliore per farmi un quadro generale di come è nato questo progetto.

Gulag: Il gruppo è stato una successione di eventi strani che ha portato una chiamata in Skype, doveva essere un progetto che non si chiamava Moccia Music, che poi è diventato il nome dell’album. Doveva essere un mixtape mio e suo—indica Pedar—di basi scaricate. Dopo un quarto d’ora non ce ne fregava più un cazzo, e ci siamo detti “ma chiamiamo un po’ altra gente”. Io avevo Sgherl, Mortecattiva l’abbiamo preso per vie traverse e lui ha tirato in mezzo Chef Ragoo. Un giorno ho contattato Pedar fingendo di essere una ragazza, su msn.

Fai come Gianfranco.

Su msn nel 2010?

Gulag: No prima, nel 2009. Frequentavo ancora msn tranquillamente, c’ero solamente io e qualche spagnolo. Ho proprio messo la foto da biondina, l’ho rimorchiato, poi minacciandolo di fare uno screenshot di tutta la conversazione. Gli ho detto “Guarda che sono io, quello a cui avevi detto che eravamo bravi e poi non ci hai più cagato. Adesso facciamo un featuring assieme, altrimenti ti spammo questa merda”.

Pedar: Poi abbiamo fatto sta telefonata su Skype, di un’ora e passa, intervallata da rutti…

Gulag: Eravamo tutti, c’era anche un’amica di Mortecattiva che non c’entrava un cazzo, eravamo anche più di quello che dovevamo essere.

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Pedar: Che buttava in mezzo idee però. Noi buttavamo in mezzo rutti, scoregge, nefandezze. C’era pure Spitty Cash in mezzo. Dovevamo coinvolgere pure lui, ma poi è diventato famoso.

Alcuni di voi erano già affermati nella scena rap italiana, giusto?

Gulag: Lui sì, Chef tantissimo, è un pioniere dell’old school del rap.

—vengo distratta dal tortino al cioccolato di Pedar che però non posso provare causa tisi—

Pedar: Dove c’è il lol lui c’è. Nasce come batterista punk hardcore, e poi è diventato rapper… non ha mai smesso nessuna delle due cose, alla fine.

Gulag: Io e Sgherl invece no, nel senso che non avevamo cominciato a rappare da neanche sei mesi, quando abbiamo cominciato. Io sono stato un B-boy fiero dagli anni Novanta al Duemila. Tutti i miei amici però ascoltavano hardcore e grind, dopo un po’ mi hanno influenzato e ho cominciato ad ascoltare solo quello. Eravamo fan di Padre Pyo (aka Pedar Poy) e basta.

Poi so che Pedar, una volta finito Moccia Music, è sparito per un po’.

Gulag: Esatto, è scomparso. Lo chiamavi e ti diceva “ci sentiamo domani su internet, ti passo quello che ti manca”. Ci ha lasciati in una situazione di merda, avevamo tutte le strofe registrate, tutto pronto, il problema è che lui è scappato e ci mancavano tutte le sue acappella da mettere sulle basi, e le basi—perché noi alcune basi non le avevamo neanche. Infatti se uno sente Moccia Music, si renderà conto che tutte le equalizzazioni di Pyo sono in verità gli skit e tutte le parti registrate a cazzo che ci mandava. Le abbiamo attaccate sempre in fondo alla canzone, cercando di renderla più omogenea possibile… infatti il disco fa cagare.

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Pedar: Non fa cagare… è meglio di Homocaust. Moccia Music è nabbomba.

Gulag: Dici così ma fa cagare. Ha due o tre grandissime hit, ma per il resto è un disco di merda.

Pedar: È molto più fomentato, tant’è vero che Homocaust l’ascolti una volta poi ti rompi il cazzo.

È l’impressione che ho avuto anche io. Fa ridere sì, ma dopo due canzoni non sei più in grado.

Gulag: Secondo me è perché traspare che le cose sono nate in chat, e alla cazzo.

Pedar: Mi rendo conto che è così. Pensa io che l’ho mixato, pensa che sensazione di brutto ho avuto.

Gulag: Come quando vedi una scenetta di Bombolo, negli anni lo apprezzi lo stesso ma non ti fa ridere.

Adamo Mayakasa made this.

Finitemi di raccontare la storia di Pedar che se ne va e vi molla, come un figlio della merda qualsiasi.

Pedar: Quando sono tornato volevo fare tutto. Sono andato lì col capo cosparso di cenere, ho fatto ammenda e ho detto “Ragazzi dai, me voletebbene”.

Gulag: Ne abbiamo approfittatto solo per fargliela pagare, tipo “Non hai fatto una strofa? Cazzi tuoi d’altra parte tu sei scappato via per un anno”. Rinfacciando questo fatto in ogni momento possibile. Anche adesso.

Chi ha influenzato la vostra musica oltre a Gianni Morandi e Albano?

Pedar: Guarda a me piace molto Pippo Franco.

Gulag: Quelle sono influenze che vengono più per le produzioni dei beat, tipo Casa Vianello, Califano, Albano. Noi usiamo quei campioni per farci le basi, metà delle canzoni di Homocaust sono campionate da Califano o altre cagate del genere.

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Pedar: Cagate che però sono belle. Califano è molto funk, è una bomba. Rimango un grande fan di Pippo Franco, più come artista che come persona, mi hanno detto che è un po’ sulle sue, un po’ antipatico. Però a livello di musica e di nonsense è il numero uno. A me piace molto creare immagini che non hanno un minimo senso, ma che però fanno ridere. Mi piace sconvolgere. Una volta mi hanno dato del D’Annunzio. Sarà perché mi faccio i bocchini da solo.

Sicuramente. Da piccoli cosa ascoltavate?

Pedar: Da piccolo ascoltavo Eminem, Snoop Dogg, tutta la West Coast. Sulla East Coast, Biggie Smalls, non lo so, l’ho sempre presa un po’ più scialla.

Gulag: L’opposto mio. A me piace proprio quel tipo di scena.

Anche a me. Sono sempre stata abbastanza “fiera” in questo senso.

Pedar: Siete froci regà, che vi devo dire.

Gulag: Io dai dieci ai quattordici anni ho avuto una preparazione intensa. Il primo disco che ho avuto è stato quello dei Backstreet Boys, me l’hanno regalato.

Pedar: Io ero grande fan…

Gulag: Poi c’erano gli 883, quella è stata la mia vera formazione. Alla fine un bambino assimila molto più velocemente di un sedicenne. Anche quando faccio i ritornelli, mi dicono tutti “Sembri Max Pezzali” Ed è vero. Io quello ho ascoltato, che ci devo fare.

Per Homocaust avete raccolto i soldi attraverso Musicraser, un sistema di raccolta di fondi in cui i fan sono intervenuti direttamente. Mi ricordo che avete venduto di tutto.

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Pedar: Sì, dai ritratti fatti da me con l’Ipad, a cene a casa di Chef Ragoo, a magliette, roba normale. Siamo arrivati anche al dissing. L’ultima traccia è una traccia di dissing a persone sconosciute, cioè persone comuni che hanno pagato settanta euro l’una per essere insultate in una nostra traccia.

Gulag: Ed è una delle più belle dell’album.

Pedar: Ci siamo fatti dare nome e cognome, qualche caratteristica, abbiamo fatto un po’ di stalking su Facebook.

Gulag: Se qualcuno aveva una faccia di cazzo, gliel’avremmo fatto notare.

Pedar: Un nostro fan è arrivato ad avere una cosa personalizzata, ovvero la foto del cazzo di Sgherl photoshoppata e senza peli.

Eccola. LOL

L’amorevole conversazione era interrotta più volte dai paki venditori di rose e/o accendini, facendo venire alla luce due scuole di pensiero, che è buona cosa riportare.

Gulag: Devi fare come con i T-Rex, non ti devi muovere. Dopo un po’ se ne vanno.

Pedar: Un altro trick per incularli sai qual è? Iniziare a parlare in un’altra lingua. A Torino ero con dei francesi, io non ho detto nulla. Stavo per intervenire, per mandarlo via, loro hanno cominciato a parlare francese, lui se ne è andato subito.

Mi pare che vi siate inseriti alla grande nella scena rap italiana.

Pedar: Tutta la scena rap ci rispetta. Perculiamo molti di loro, però ci rispettano. O ci temono, non lo so.

Gulag: Entrambe secondo me, perché sanno che finché c’è qualcuno che li insulta come facciamo noi, sono al sicuro. Ci tengono buoni. Vedono del potenziale come capacità di insultare, più che di bravura. C’è chi lo fa per simpatia e chi per evitare tensioni. Vengono ai nostri live, l’ultima volta è venuto Kaos, si è messo a fare foto a Mortecattiva. C’era Lord Bean, ma lui è stato portato da altri. C’era DJ Craim.

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Pedar: Il Colle Der Fomento è una merda e non sono venuti. Mo li dissiamo.

Gulag: Be’, anche a Roma c’era un sacco di gente.

Pedar: Avoglia, c’era Lucci, c’era Coez, Gel. Anche Madman e Gemitaiz sono superfan.

Gulag: Bene o male ci conoscono tutti. Ci fanno skit per gli album, ne avremo uno di Salmo per il prossimo.

Stavo ascoltando “America” ieri e mi sono accorta che non fa ridere neanche per sbaglio.

Pedar: “America” è presa dal pezzo omonimo di Califano. Perché Chef era stufo delle canzoni di Mortecattiva che iniziavano tutte con lo stupro, la violenza sulle donne e i negri.

Gulag: Eh sì, Chef dopo un po’ si è stufato, giustamente. Lui poi deve suonare con i suoi gruppi hardcore.

(Esiste un ecosistema a parte per tutti i gruppi in cui ha militato Chef dagli anni Ottanta in poi, citerò solo Anti You e Porco Dio.)

Pedar: Voleva aggiungere alla scaletta dei suoi concerti un pezzo che non comprendesse lanci di martelli. Quindi “America” è la canzone che non fa ridere, con quel tipo di argomento tranquillo in cui ci siamo dati una regolata. Esule dallammerda.

La pulizia, insomma. Di cosa amate parlare nei testi?

Pedar: Mah, a me piace parlare di merda, di sburro, di tante cose alla fine. L’argomento serio non sono mai riuscito ad affrontarlo.

Gulag: Non siamo mai riusciti a trattare argomenti seri, e se lo è lo abbiamo sempre distorto in maniera esagerata. Vogliamo sempre tirare fuori il paradosso anche nelle questioni serie. Ci sembra giusto estrarre l’ipocrisia di certi gesti, che per quanto siano pensieri che magari uno può non condividere, allo stesso tempo è giusto far sentire la controparte. Pensa che addirittura a Roma volevo suonare con addosso la maglia della Lega, però mi è stato impedito da Chef.

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Pedar: Ecco sì, Chef lo fa per il LOL ma quando cominci a parlare di politica…

Gulag: In verità è molto più integralista con gli altri. A noi che siamo un po’ come i suoi figli handicappati ci guarda sempre con la carezza, con l’espressione da “Vabe’, che cazzo gli devo dì”. Cerca di tenerci sempre sulla retta via.

(La maglia mi ricorda molto questa.)

Fatemi fare la vera domanda che si potrebbe fare a Jovanotti. Prossimo disco?

Gulag: Lo faremo prima o poi, a Gennaio-Febbraio per me inizia a uscire qualcosa. Non sappiamo ancora il titolo, quindi meglio non dire niente.

Pedar: Chiamiamolo Meglio Non Dire Niente.

All’ennesimo paki vendi-accendini che ci interrompeva, i due si sono messi anima e corpo a rielaborare il tema del venditore ambulante proprio davanti ai miei occhi, concludendo che una tale fenomenologia sarà l’argomento chiave del prossimo pezzo dei Lolocaust. A parte che i paki migliori sono quelli che vendono berrette e sciarpe in Cadorna—costano tipo tre euro e tengono mega caldo—ma vabe’.

Ho ascoltato per la prima volta i Lolocaust in una notte di consueta nullafacenza, quando l’alternativa era farsi foto su photobooth. E ho riso come una demente. Sono l’unico gruppo al mondo in cui tollero la presenza di “lol” nel nome, poi fa sempre comodo citare ogni tanto frasi ad effetto tipo “Uno, due, mic checko. Pasta De Cecco”. Come dice DJ Craim, "andare a un concerto dei Lolocaust è come andare a un concerto del Wu-Tang, solo che loro sono tutti Ol' Dirty". Stacce.

Sonia Garcia è uno dei nuovi gioiellini di mamma Noisey. Seguila su Twitter: @acideyes