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Musica

Lapalux vuole uscire dal limbo

Il suo nuovo album "Lustmore" è un modo per provare a esplorare i propri sogni e fare i conti con i suoi disturbi psichici.

Quando chiamo per telefono il DJ/producer inglese Lapalux (Stuart Howard), la sua voce mi suona un po' stralunata. Si trova nell'appartamento di un amico a Londra, dove si è appena tenuto il launch party del suo nuovo album Lustmore. Sento in sottofondo un paiod i gatti che miagolano mentre mi spiega di come due mesi fa si sia trasferito dal quartiere londinese di Hackney (nord-ovest) a Praga, città in cui non conosce praticamente nessuno. "Volevo diventare un po' un nomade, ed esplorare posti nuovi, così ho deciso di prendere e partire", dice, aggiungendo che i crescenti prezzi degli affitti londinesi sono stati un bel fattore aggiuntivo. "Stiamo tutti imbarattolati come sardine. Non c'è spazio, non c'è libertà, mi sentivo bloccato."

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Howard è cresciuto nell'Essex rurale, e al momento è l'unico artista inglese sulla label losangelina Brainfeeder: entrambe queste cose contribuiscono alla sua immagine defilata dal centro dell'azione. Gli chiedo quindi se ci sia un rapporto tra questa necessità di distanza fiscia e una più concettuale, e come questa influenzi la sua musica. "Mi piace stare solo, non sono un amante delle grosse occasioni sociali", ammette: "Ovunque io sia, mi rintanto, mi seppellisco col computer e inizio a giocherellare finché non ne ricavo qualcosa. Ma noi di Brainfeeder siamo tutti producer da cameretta, chiedetelo a Flying Lotus. Siamo quelli che stanno nelle ultime file a fare introspezione, è quello che ci caratterizza."

Il suo secondo album Lustmore, seguito dell'apprezzato Nostalchic del 2013, contiene tutti gli ingredienti principali del suono di Howard: una caterva di campionamenti, enfasi tutta sulle texture sonore, atmosfera eterea e strati su strati di emozioni che si liquefanno. Howard dice comunque che il suo modo di lavorare è migliorato notevolmente "Ai tempi del primo disco stavo ancora cercando il mio suono, sperimentando. Ora l'ho trovato, e sono riuscito a imbottigliarlo per renderlo buono. Credo di averlo raggiunto con Lustmore, credo di avere crackato il codice."

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Nostalchic era più "un'analisi di quante cose riuscivo a inserire in una canzone, a livello sonoro, quanti strati, quante emozioni". C'erano tracce del disco che contenevano centinaia di samples differenti, da rumorini di fondo al suono delle foglie sparse al vento, a piccoli frammenti di dialogo. "Ero fissato con le stratificazioni e con gli esperimenti a base di nastro analogico, con le sovrapposizioni di elementi che non c'entravano niente tra loro, cercando di incastrarle a dovere. Era la mia maggiore fonte di divertimento."

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Con Lustmore, Howard ha invece deciso di "produrre delle vere e proprie canzoni, anziché dei aptchwork di idee differenti" un processo di riduzione, anziché di aggiutna. Scandagliando tutte le tracce, ha pensato a cosa si potesse rimuovere facendo in modo che i pezzi avessero ancora senso, invece che "fare pezzi con roba che sarebbe bastata per 120 tracce".

Ma, in contrasto con questa precisione sonora, il cncept su cui si basa Lustmore, è assai più ambiguo. Ispirato vagamente dall'ipnagogia, lo stato di coscienza tra il sonno e la veglia, l'intero album si presuppone di descrivere una senzazione di "limbo", di sospensione. Howard dice che ogni canzone di Lustmore si potrebbe suonare in un bar immaginario per anime perse: "quei bar luiridi in mezzo al nulla, con le luci al neon mezze spente", un po' come nelle famose "scene del bar" di The Shining, Blade Runner e Dal Tramonto All'Alba. Tutte e tre hanno ispirato moltissimo il lavoro di Howard.

Qui potete ascoltare una playlist realizzata da Lapalux e ispirata all'idea di sogno lucido:

Verso la fine della nostra converdazione, Howard sgancia un siluro: "Da bambino, mi capitava di ritrovarmi spesso in uno stato di completa astrazione dalla realtà. Passavo giorni completamente inerte agli stimoli. È come urlare senza essere sentiti da nessuno, uno stato per cui tanto varrebbe essere morti." Questi episodi "mi sconvolgevano ogni volta", continua, ma col tempo ha imparato a gestirli e scoperto che si tratta di una patologia chiamata disturbo di depersonalizzazione. "È come una non-vita, ci faccio i conti da allora." ci racconta narrando i fatti.

Lustmore è quindi un suo tentativo di ritornare in quel reame dissociato e, allo stesso tempo, per iniziare a esorcizzarlo. Quel senso di "limbo", espresso tramite concetti immaginari (l'ipnagogia, il "bar") è quindi legato a esperienze estremamente personali, e lavorare all'album è una sorta di catarsi "finché posso esserne felice, si trasforma in una terapia. La musica mi serve a fuggire, a cocentrarmi su qualcosa che non mi farà stare male né sentire strano."