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Musica

L'uragano dei Pooh che non sbancò in America

Di come l'album più internazionale dei "Beatles delle parrucchiere" fini per essere big in Japan ma non in USA

"Facevamo orari impossibili. Cominciavamo alla mattina alle 9, non smettevamo fino a mezzanotte e poi tutti a cena, a ridere e a far casino fino a chissà quando, e il giorno dopo alle 9 ancora in sala." (Teddy Randazzo)

Poco tempo dopo l’articolo su Riccardo Fogli è arrivata una notizia bomba che ha fatto il giro dell’Italia intera: ebbene sì, 50 Cents ha campionato un brano dei Pooh! Nello specifico, stiamo parlando dello storico singolo “Io E Te Per Altri Giorni”, tratto da Parsifal che, con un ostinato di clavicembalo e uno stacco d’orchestra fa tutta la base del nuovo singolo del rapper americano. Dopo il caso Amedeo Minghi si conferma quindi il crescente interesse della musica d’oltreoceano d’ultima generazione per la roba italiana, che sia mainstream o underground (vedi Demidke Stare) poco importa: facciamo tendenza. Italian Folgorati l’aveva previsto e continua nell’approfondimento di alcune scomode verità. Oggi i riflettori sono ovviamente puntati sui Pooh, ma non su un disco qualsiasi, bensì su Hurricane, anno 1980, curioso e misconosciuto album, votato alla conquista dei mercati esteri, in particolare anglofoni. Già perché i nostri quattro Cavalieri della Repubblica non sono mai stati estranei a tournee negli USA, né ad amicizie importanti oltremanica, tra una liason coi Police e una coi Duran Duran a base di occasionali mischioni di droghe, come confessato da Canzian nella sua recente biografia. Men che meno sono mai rimasti seduti sugli allori del campanilismo come dei Minghi qualsiasi. Andiamo dunque nello specifico della bizzarra storia di quest’album, vero spartiacque stilistico fra due epoche molto diverse della carriera dei Pooh.

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È il 1979 e con Viva i Pooh stanno già battendo ogni record di vendite, questo perché dall’anno della loro entrata in CGD, ill 1971, non sono mai scesi sotto il quinto posto in classifica, riuscendo pure a vendere ristampe come il pane. Il loro suono si è modificato in maniera decisiva, orientandosi verso un pop contaminato da elettronica, disco, hard rock e wave, riuscendo a mettere da parte gli eccessi melensi del passato e facendo tesoro delle scorribande all'estero. Alla label sembra il momento giusto per spingere il prodotto in senso internazionale e, in qualche modo, obbliga i Pooh a fare il grande salto. Loro sono diffidenti: non è la prima volta che cercano di entrare nel mercato anglofono, già nel '71 con "The Suitcase", la versione inglese di "Tutto Alle Tre" e molto prima con l’operazione Clockwork Oranges nella quale i nostri, nascosti dietro foto altrui, interpretavano versioni in inglese di brani dell'Equipe 84. Ci avevano provato anche nel '76, con la versione inglese di “Linda” (poi portata al successo in Spagna da Miguel Bosè), incontrando molte difficoltà sulla loro strada.

Tutti i loro colleghi, nel tentativo di conquistare l’America, hanno miseramente fallito, e quello che ha preso più batoste di tutti è Lucio Battisti, mica il primo stronzo. Il suo, quasi coevo, ennesimo tentativo di farcela dopo lo sfortunato Images—ovvero “Friends”—non vedrà mai la luce. La stessa Premiata Forneria Marconi, fra i pochi ad aver ottenuto una crescente fama in America tanto da decidere di piantarci le tende, si dovette arrendere alla sfiancante promozione e tornare a casa. Per non parlare dei Libra e de Le Orme che, inevitabilmente, smisero di lottare per un posto al sole. In qualche modo i Pooh (ammoniti dall'amico Franz Di Cioccio, batterista della PFM) sono cosapevoli che tentare il successo negli Stati Uniti significa dover smontare tutto e ricominciare da zero. A margine, bisogna anche considerare che con un nome così, che in inglese è si traduce letteralmente Puah, il rischio di diventare una barzelletta è notevole. Nonostante tutto i Pooh accettano la sfida, che chi non risica, non rosica.

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Per entrare nel mercato statunitense serve, ovviamente, un produttore che sia in grado di tradurre il suono e la poetica del gruppo in un linguaggio più chiaro a un pubblico che, in partenza, è già piuttosto scettico nei confronti degli esotismi. Ragion per cui i discografici scelgono un italoamericano: Teddy Randazzo. Per quanto il suo nome, oggi, non dica assolutamente niente a nessuno, Teddy era uno dei più prolifici autori di canzoni dagli anni Cinquanta in poi, collaboratore di artisti come Frank Sinatra e Dionne Warwick coi quali aveva fatto un pacco di soldoni. La scelta apaprentemente saggia, si rivela invece quantomeno basculante. Teddy aiuta i Pooh con una maniacale cura della pronuncia inglese e traducendo i testi ma, per quanto cerchi di rispettarne il senso, nella maggior parte dei casi, finisce per banalizzarli, e la scelta delle rime li fa sembrare pià dei pezzi di Barry White che altro. In effetti, il campo in cui lavora Randazzo in quegli anni è quello funk/soul, sia per temi che per sonorità molto lontano dal rock, e la sua produzione è altamente influenzata dalla matrice black, anche se non stiamo parlando esattamente dell’hip-hop di 50 Cents. Il vero problema, però, è che Teddy sta iniziando a collezionare insuccessi a catena, essendo probabilmente anche la causa del lento declino degli Stylistic che, dopo due album sotto la sua direzione, stanno cominciando a sfaldarsi. A posteriori verrebbe da dire che magari era il caso di chiamare, che so… Giorgio Moroder? Vero, ma forse un basso profilo poteva aiutare i Pooh ad inserirsi gradualmente nelle classifiche USA, senza il rischio di scivolare su quell’atteggiamento da tutto e subito che aveva già punito altri artisti.

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Ciò che fa più strano è che Randazzo peschi alcuni brani dai tre dischi precedenti del gruppo e, non si capisce perché, decida di snobbare Viva, che era fresco di stampa e suonava assolutamente attuale. Dare nuova linfa e rivitalizzare pezzi di tre anni prima è un lavoro lungo e faticoso, dato che nel frattempo gli orizzonti e i costumi della musica pop mondiale sono nettamente cambiati. È evidente fin da “Tutto Adesso”, brano in cui i Pooh amoreggiano con il movimento punk, che indietro non si può più tornare.

Vediamo nel dettaglio i pro e i contro di Hurricane. Il primo brano è la title track, versione inglese di “Rotolando Respirando”. Da simil lento in levare (a là Roxy Music) il pezzo si trasforma in una cavalcata disco-rock, con tanto di roboanti archi e batterie in sedicesimi, bassi in ottave e cassa dritta nello stile della Peter Jacques Band. Rispetto all originale il cambiamento è spaventoso, la velocità è raddoppiata e i Pooh sembrano sotto anfetamine, ma il brano funziona e verrà anche inserito in alcune raccolte di hits. I testi inglesi invece, pur prendendo spunto dalle immagini di Negrini, omettono completamente la storiaccia del protagonista che si fa una chiavata con una tizia di facili costumi salvo poi capire che non c’è trippa per gatti; il tutto viene edulcorato da generici riferimenti a una passione che si intuisce carnale e viene paragonata ad un uragano.

Randazzo non vuole essere esplicito, come ad esempio in “Fade Away”, la versione anglofona di “Pierre”, in cui la tematica pro-omo viene sostituita da una semplice storia d’amore che finisce male, non sia mai che i benpensanti americani se la prendano. “Pronto Buongiorno”, viene trasformata letteralmente in “Ready Get Up And Good Morning” e, su un testo che descrive la giornata tipo di Randazzo, i Pooh si riscoprono a suonare un reggae assolutamente inedito nella loro carriera, stravolgendo totalmente la versione originale con tanto di effetti elettronici e Syndrum, le quali, tra l’altro, abbondano in ogni pezzo del disco, lanciate un po' a caso.

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“Aveva colorato i brani di sonorità che in Italia suonavano vecchissime. (…) Teddy ci piaceva molto, perché era un grande autore e un ottimo arrangiatore. Aveva scritto per Frank Sinatra, ma era già troppo vecchio in confronto alla direzione che aveva preso la nostra musica. Noi eravamo avanti, molto rock, lui riportava gli archi nelle nostre canzoni. Aveva uno stile da evergreen americano che non rispecchiava il nostro.” Queste furono le lapidarie parole di Red Canzian, che finì per addossare tutte le responsabilità a Randazzo, colpevole di arrangiare in modo datato ed essere, si legge tra le righe, un vecchio rincoglionito. Se da una parte Canzian sembra lucidissimo nell’evidenziare una certa peculiare originalità e un relativo coraggio nella musica italiana di quel periodo, è vero anche che Randazzo non ha combinato niente di peggio rispetto a quanto fatto dagli Ottawan o dai Boney M, addirittura è in linea con Michael Jackson. Questi erano nomi di artisti che spaccavano le classifiche di tutto il mondo e non si facevano nessun problema nell’inserire l’orchestra a fare da contrappunto ai loro pezzi, né questa li penalizzava in alcun modo. Il problema, semmai, è che i Pooh si erano lanciati verso il post punk, gli Ultravox, i Judas Priest e i Talking Heads, più che verso la disco music e il rock classico, ripudiando come vecchi e datati i loro stessi arrangiamenti d'epoca. Fino a poco prima, con “Io Sono Vivo”, i nostri flirtavano con la disco in maniera più hard sulla falsariga dei Kiss di Dinasty, ma spesso Randazzo è quasi filologico nel mantenere il mood musicale delle versioni originali. “Your Love”, “Give Me Only This Moment”, “Flow”, “Care” e “I Dedicate My Love To You”, infatti, a parte i già citati Syndrum e assortimenti sintetici, non sembrano diverse da quello che erano in partenza, delle ballatone rock-mantiche, per citare Camerini. Ci sono però delle rivalutazioni clamorose: è “A Million Miles From Nowhere”, rifacimento de “La Città Degli Altri” rovinato solo da un testo non all’altezza dell’originale di Negrini, in cui si polemizza al bancone del bar addirittura con Dio in persona, espediente narrativo che poi vanterà numerosi epigoni.

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Ad ogni modo, a questo punto i Pooh sono stanchi delle cazzate dei discografici, che tra l’altro gettano sull’operazione una coltre spessa di mistero. Vorrebbero chiudere un capitolo e aprirne in fretta un altro, mentre Randazzo crede che la loro anima più melodica sia la carta vincente, molto più di certe asperità in ascesa nel sound del gruppo. Non pago e sicuro della loro potenzialità in zona dancefloor, confeziona per loro un brano inedito, “Love Attack”, ancora oggi irreperibile su qualsiasi discografia ufficiale del quartetto, che è tutto un pestone disco come se qualcuno avesse buttato in lavatrice senza ammorbidente Moroder, Cerrone e i Tantra, con tanto di synth sparatissimi e assoli dei varii elementi. Ci si trovano addirittura tracce della futura Madonna (“Vogue” in primis) e, in un certo senso, si anticipa la italo disco alla grande.

I Pooh si vergognano del pezzo, non vogliono fare la fine dei New Trolls di “It's Downtown”. Irritati forse dall'idea di seguire le mode più che l'innovazione, decidono di comune accordo con Randazzo di tenere il pezzo solo nella versione giapponese di Hurricane, più che altro per fargli un favore, dal momento che “Lui tentava di rassicurarci. Era così affettuoso, protettivo, che decidemmo di non insistere e di provare a fidarci.” (sempre Red Canzian.) Insomma, alla fine Randazzo prende in mano la situazione, si porta i provini in America e fa tutto da solo, senza che i Pooh abbiano voce in capitolo sul final cut dell'opera, con un atteggiamento simile a quello di Phil Spector coi Ramones, solo senza impugnare pistole. Il disco esce alla velocita della luce e va benone in Germania, Spagna e Svizzera, entrando puntualmente in classifica. In America e Inghilterra le vendite sono prevedibilmente deludenti ma, guarda caso, in Giappone vende benissimo, forse proprio grazie all’inedito di Randazzo. Sembrerebbe quasi che la CGD abbia fatto un passo falso, ma presto si accorge che il mercato italiano è rimasto incuriosito dall’operazione, tanto che molti comprano il disco d'importazione attraverso la Svizzera. Una volta fiutato l’affare, le copie invendute vengono reindirizzate verso i negozi italiani, trovando terreno fertile e guadagnandosi un improbabilissimo disco d'oro. L'esperimento Hurricane metterà la parola fine al periodo internazionale dei Pooh, almeno fino ad “Another Life” nell’85, versione inglese di “Se Nasco Un’Altra Volta”. Questo sarà l'inizio di un nuovo percorso modernista, che porterà ai campionatori di Tropico Del Nord, al drugapulco ante litteram di Aloha e all’elettronica pop di Asia Non Asia. A vincere, a prescindere da Randazzo e dai Pooh, è “Love Attack”: ibrido musicale che, paradossalmente, avrebbe aperto molte porte e forse avrebbe trasformato Randazzo in Stock Aitken & Waterman e i Pooh nei Dead Or Alive. D’altronde solo un disco di musica originale e mirato avrebbe funzionato a dovere, piuttosto che un greatest hits rimaneggato, ma solo nascendo un’altra volta—ahimè—può raddrizzarsi il condizionale. Vista da qui sembrerà quasi America e lancerà verso noi i suoi tentacoli.

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