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Musica

Gli Eiffel 65 visti dall'America

Gli Eiffel 65 ci parlano di come la loro unica hit mondiale abbia cambiato le loro vite, anche se per poco.

I nostri colleghi statunitensi, di loro spontanea volontà, hanno deciso di occuparsi di quello che per molti italiani è un puro fenomeno trash, ma che evidentemente, visto dall'esterno, è molto, molto di più. Oltreoceano si ricordano ancora della super hit degli Eiffel 65, "Blue (Da Ba Dee)", che nonostante sia l'unico loro pezzo arrivato fino a lì, ha raggiunto nel mercato internazionale vette di fama talmente alte da bastare ad imprimere per sempre questi tre ragazzi nella memoria musicale mondiale. Abbiamo deciso di tradurre quest'intervista, nonostante in Italia di questo gruppo, e della successiva carriera di Gabry Ponte, si sia parlato e straparlato, proprio per dare un'idea di come la nostra percezione della musica nazionale sia decisamente relativa, cosa che dovrebbe farci riflettere non tanto sul nostro gusto, quanto forse sulla strategia che i nostri artisti dovrebbero adottare per dominare nuovamente i mercati stranieri. Buona lettura. Di solito i fenomeni musicali da una sola hit appartengono ad alcune delle persone peggiori sul Pianeta. Il rocker che non ce la fa, il cantante pop cazzomoscio, Shifty Shellshock e i suoi Crazy Town, dai, quelli che hanno composto la canzone più suonata in tutti i supermercati. Questa gente è abbastanza semplice da etichettare come… Uhm… Coglioni? Tuttavia, io che ne ho passate davvero tante e sono abbastanza esperto di queste meteore, posso tranquillamente dire che gli Eiffel 65, il trio conosciuto nel mondo per la sua robo-hit del 1999 "Blue (Da Ba Dee)," sono totalmente l'opposto di quello stereotipo. Lo so perché ho intervistato il frontman degli Eiffel, Jeffrey Jey, ed è stato bellissimo. Oltretutto lui è un vero cantante ed è poliglotta, due doti che sicuramente mancano alla mia triste persona. Quante cose mi hanno insegnato gli Eiffel 65. Ho imparato che, come molti gruppi conosciuti per una sola hit, in realtà loro di hit ne hanno due, dato che il loro secondo singolone "Move Your Body" ha raggiunto addirittura il secondo posto nelle classifiche inglesi. Jeffrey mi ha anche raccontato di quella volta che ha incontrato Bon Jovi e di quando ha cantato "Blue" in cinese per la colonna sonora di Iron Man 3, ma la cosa più importante che ho imparato è che avere una hit mondiale sul curriculum è di gran lunga meglio che averne zero.

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Noisey: Sei ancora un musicista a tempo pieno?
Jeffey Jey: Certo. È il mio lavoro da 23 anni. Tu sei stato uno dei primi vocalist ad usare il vocoder nella musica commerciale, non se ne sentiva così tanto da quando era finita l'era del funky. Come hai iniziato ad averci a che fare?
Ho iniziato con il vocoder. Savamo registrando "Blue" e non volevamo limitare in nessun modo il nostro uso della strumentazione in studio, quindi abbiamo pensato di estendere la modalità con cui gestivamo i synth e le batterie anche alla voce. Ecco come abbiamo iniziato a sperimentare le meraviglie dell'auto-tune.

Non credi che la vostra musica possa aver influenzato gente come Kanye West?
Be', non possiamo proprio dire una roba del genere. Quello che posso dire è che siamo stati parte di un processo che era già in atto in quel periodo. C'erano altri personaggi autorevoli che abusavano di autotune, tipo Cher o i Daft Punk. È una peculiarità che viene dagli anni Settanta ed è tornata in auge verso la fine dei Novanta. Magari abbiamo fatto sì che questa corrente si riespandesse più velocemente, ma è qualcosa che già era nell'aria. Ti ricordi quell'intervista in cui i Daft Punk elogiavano la vostra "Blue"?
Ho letto un paio di post a riguardo sui miei social network. Solo che non sono mai riuscito a beccare l'intervista vera e propria. Sarebbe stato carino vederla, dato che i complimenti dei Daft Punk sono un grande onore per noi. Sono molto fan di quei due, hanno scritto davvero una pagina importante della musica elettronica. Come è nato il nome Eiffel 65?
Stavamo producendo un sacco di cose in quei giorni e abbiamo notato che stavamo perdendo un sacco di tempo nel tentativo di trovare un nome per il progetto, quindi ci siamo presi una settimana per pensare a più nomi possibili. Abbiamo creato un database su Excel che aggiornavamo di quando in quando e nel momento in cui dovevamo uscire con "Blue" abbiamo scelto Eiffel tra i nomi della lista. Poi un giorno avevamo la copia del disco che sarebbe andata all'etichetta sul nostro tavolo e stavamo scrivendo un numero di telefono su un foglio, e le ultime due cifre del numero sono per caso state scritte sulla copia del cd. Guarda caso, quelle due cifre erano un sei e un cinque, quindi il nostro grafico ha avuto l'ideona di integrarle con il nostro nome. Sì, stato un modo abbastanza buffo di trovarci un nome. Ok, ora parlami del testo di "Blue".
Parla di qualcosa in cui credo davvero molto. Penso che ognuno di noi abbia il proprio colore, non è così? I colori filtrano le nostre vite. Le cose che ci compriamo, come arrediamo casa, le persone che ci sono affini, i posti in cui scegliamo di vivere, la nostra macchina. Ognuna di queste cose riflette il nostro colore, è incredibile come questo valga per tutti. Quindi sì, ho usato una metafora. È un modo per dire che sono fatto così. "Blue" è stata inclusa nella colonna sonora di Iron Man 3. Come siete stati coinvolti? 
Be', ci hanno chiesto di aiutarli a gestire la cosa, dato che, quando mi hanno chiamato è andata più o meno così: "Ascolta, potrebbero volere 'Blue' per Iron Man, ma la vogliono anche in cinese." E io: "Cosa!!?!? Come faccio a cantare in Mandarino?" Al che il tipo mi ha risposto: "Be', abbiamo un insegnante e possiamo trovare un modo di fartelo imparare." Quindi sono andato in studio un paio di giorni dopo e c'era davvero quest'insegnante con cui ho lavorato alle parole della strofa, e, non so come, sono riuscito a cantare tutta l'intro in un solo pomeriggio in Mandarino—devo dire che alla fine suona pure piuttosto bene! In ogni caso è stata una bella esperienza, ero talmente abituato a cantare "Blue" in inglese, l'avrò cantata un miliardo di volte, che il cinese mi ha fatto rivedere la canzone da un altro punto di vista.
La parte migliore, comunque, è stata andare al cinema con i miei amici e dire loro: "Ok ragazzi, la canzone sta da qualche parte nel film, ma non so bene dove." E poi ho scoperto che andava durante tutta l'intro Marvel e Paramount, e io mi sono sentito super onorato per questo. È stato incredibile. Le computer graphic del video di Blue erano abbastanza avveniristiche per il loro tempo.
Sì, quel video è nato dal nostro grande amore per i videogiochi e a quei tempi lavoravamo con videomaker che facevano un sacco di esperimenti in 3d. Siamo stati abbastanza fortunati perché abbiamo ottenuto esattamente il video che volevamo per la nostra canzone, avevamo dei grafici che ora lavorano per la Dreamworks e cose del genere. Un'altra fortuna è stata che forse il fatto che era un cartone animato l'ha aiutato ad essere più diffuso, anche tra i ragazzini. Avete lavorato con un green screen?
Non esistevano green screen a quel tempo. Muoversi e comportarsi come se fossimo in un film è stata un'esperienza bizzarra. È qualcosa che non avevamo mai fatto e non avevamo alcun punto di riferimento, quindi dovevamo sostanzialmente immaginarci di avere cose intorno. A me è piaciuto un sacco farlo. C'erano marziani blu e tutte quelle cose lì, quindi la nostra espressione doveva essere sempre sorpresa. Uno dei miei primi ricordi è voi che suonate a Top of the Pops, dove vi siete esibiti due volte. Com'è stato?
Devo essere onesto. Non mi rendevo tanto conto di cosa stessimo facendo. A quei tempi eravamo sempre in tour e quando abbiamo realizzato che avevamo davvero suonato in un programma così importante, eravamo già da un'altra parte. Era un periodo in cui ci è capitato anche di suonare al Dodge Stadium al fianco di Jon Bon Jovi, e nessuno di noi ci credeva. Quando poi il tour è finito e siamo tornati a casa, ci siamo resi conto di tutto quello che era successo e ci è salito tutto l'entusiasmo. Prima, durante il tour, dormivamo due o tre ore a notte e mangiavamo in macchina, una roba super stressante. Le vostre performance erano pre registrate?
In un sacco di posti non ci era permesso suonare dal vivo perché c'erano molti artisti che si susseguivano sul palco, non c'era spazio per fare il soundcheck a tutti. Noi chiedevamo di avere un microfono aperto, in modo da poter comunicare con la gente e quantomeno non fare il lip-sync, cosa che ritengo davvero degradante. Come ti senti quando ripensi alla tua vita di allora? Sembra tutto irreale?
Certamente è qualcosa che non vivi tutti i giorni, Non dormi molto, mangi cibo strano in posti strani, e il tempo passa così in fretta che non ci stai dentro, davvero. Se potessi tornare indietro e cambiare qualcosa, cercherei di rilassarci un po' di più, l'avrei presa sicuramente con più calma, col senno di poi. Però è andata così e sono fortunato che sia andata, almeno, perché abbiamo fatto il giro del mondo, siamo stati in TV, abbiamo incontrato un sacco di gente e abbiamo conosciuto molti fan meravigliosi. Com'è stato incontrare Bon Jovi?
Non ci siamo nemmeno resi conto di cosa stesse succedendo. Ho stretto la mano a The Edge agli MTV Music Awards e abbiamo parlato un pochino. A quei tempi giravamo con gente tipo Robbie Williams, nomi grossi. Anche in tour, abbiamo visto Lenny Kravitz, abbiamo pure fatto un tour radio con Beyoncé, ma, come ti ho detto, ho realizzato solo dopo cosa mi era successo, per esempio quando raccontavo queste cose ai miei amici e li vedevo reagire con facce incredule tipo "CAZZO, MA ERI Lì CON BON JOVI?!?" Cose che sul momento non hanno un grande impatto, forse, ma quando ci ripensi sono incredibili. Com'è stato tornare a casa dopo tutto quel successo?
Ad essere onesti è stato bellissimo perché dopo un po' ti mancano i tuoi amici e la tua famiglia. Anche cose semplici tipo andare al cinema erano molto difficili da gestire in quei giorni così pieni, e l'opportunità di prendere le cose un po' più con calma, fare una boccata d'aria, è stata vitale per poi tornare a far musica e girare con più grinta.

Parliamo ora di "My Console." È abbastanza raro che ci siano canzoni che parlano di videogiochi, sei ancora un appassionato?
Ma scherzi? Sono un giocatore accanito! [Ride]. Ho la mia Ps4, appena posso gioco ad Assassin's Creed, lo adoro. Una volta che entri nel tunnel dei videogame, te lo porti fino alla morte. Avete mai avuto Playstation come sponsor?
Stranamente no. Mi sarebbe piaciuto molto, non tanto essere sponsorizzati con soldi, ma far parte di un videogioco in qualche modo. "Blue" e "Move Your Body" sono su Rock Band e questa è una figata, ma ai tempi se ci avessero messo in un gioco di calcio o qualcosa del genere sarebbe stato meraviglioso. Purtroppo non è successo. La gente spesso riduce la storia dei musicisti alla loro unica hit. Come ti fa sentire?
Sarà sempre così, non ci si può fare nulla. La musica funziona in questo modo, sei associato alla tua ultima "roba grossa". Quello che ai tempi era veramente figo è che quando tiravi fuori una hit, tutti la conoscevano, ma se facevi un flop non se ne accorgeva nessuno, era il bello di non avere internet. Non c'erano social media che mettevano tutta la tua vita nelle mani di altri. Ora la tua hit rimane impressa tanto quanto il tuo flop. In ogni caso questo non è un buon argomento su cui concentrarti, se sei musicista. L'unica cosa su cui devi concentrarti è divertirti più che puoi e sperare che a qualcuno piaccia quello che fai. Questo è davvero l'unico modo per mantenerti vivo in questo ambiente. Quindi senti che le cose migliori che hai fatto sono rimaste sconosciute? 
Non la vedo proprio così. Non vivo la musica in quel modo. Tentiamo di divertirci sempre, come se andassimo a casa di un amico e giocassimo con un computer, più che concentrarci su cosa è giusto fare o meno, per fare programmi. Per queste cose servono gli agenti, i manager. Come artista, la cosa migliore che puoi fare è concentrarti su quello che senti quando suoni. Se pensi al business, a quello che devi fare perché le tue cose funzionino, non fai più il musicista. Se vai fuori dall'ambito artistico e non fai più le cose per te stesso diventa problematico. La cosa bella di fare musica è che continua a sorprenderti, per me questo è l'unico modo sensato di viverla. Se non è la musica a tenerti sveglio, a tenerti vivo, fare il musicista può trasformarsi in qualcosa di infernale. Come mai il vostro secondo album Contact! non ha avuto lo stesso impatto del primo, secondo te?
Non è una cosa che si può decifrare. Non si capisce mai perché qualcosa prima funziona poi smette di funzionare, forse è stato solo a causa del sound un po' diverso, non te lo so dire. Magari sarebbe il caso di chiederlo a gente che ha comprato il nostro primo album, ma non il secondo… Dal canto nostro, abbiamo solo cercato di proseguire il percorso che avevamo iniziato. Quando considero le storie di musicisti che hanno avuto un periodo di grande popolarità, poi finito, i casi sono due: o continuano a fare musica in sordina, oppure iniziano a drogarsi. Secondo te come mai?
È una domanda difficile. Posso affermare con certezza che il music business può essere davvero deleterio, soprattutto se valuti il tuo lavoro sulla base del successo. Forse questa è la cosa più dura da accettare e sicuramente qualche volta dopo aver toccato la vetta tocchi subito il fondo. Questo succede anche nella vita di tutti i giorni, con gli amici, con la famiglia, con il lavoro, è qualcosa che comunque uno deve imparare a gestirsi. Devi saperti guardare dentro e chiederti cosa vuoi diventare, cosa vuoi fare davvero. Ad alcuni non piace saltare fuori da un determinato meccanismo da un momento all'altro. Questo è il motivo per cui molti di quelli che vivono e lavorano nel music business dopo un po' non ce la fanno più, diventa troppo consumante. È qualcosa con cui devi avere a che fare anche nella vita di tutti i giorni, è come divorziare, per esempio, o dividersi da un amico molto caro. Anzi, diciamo che perdere un amico è molto peggio, in ogni caso superare periodi duri è ciò che ti permette di diventare una persona migliore, più forte.

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