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Musica

Abbiamo intervistato i Lucky Dragons

Una chiacchierata con Sarah e Luke sui loro progetti artistico musicali e un po' di dissing alla Svizzera, dove li hanno fatti suonare davanti a dieci persone.

Nonostante una certa canicola sommata a una ingente proliferazione di zanzare ci segnali con veemenza che sia estate, la nostra vita da lavoratori abitanti di città senza mare scorre più o meno sempre nello stesso modo, con qualche birra ghiacciata in più e qualche indumento in meno, nell'attesa spasmodica di quelle settimane di agosto in cui per davvero andiamo tutti a fare follie estive altrove.

Ginevra invece si trova in Svizzera, nello specifico in un punto geografico contemporaneamente sfigatissimo e fortunatissimo, ovvero alla fine del lago Lemano, uno dei più puliti d'Europa, attraversata da due affluenti, ad uno sputo dal monte Bianco. Le correnti umide provenienti dal lago si incontrano amorevolmente con i venti gelidi provenienti dal monte Bianco e fanno sì che a Ginevra piova e ci sia un freddo umido insopportabile sostanzialmente sempre, eccetto un paio di mesi l'anno in cui la popolazione locale non solo rimane in città, ma impazzisce. Un posto in cui avresti mediamente voglia di tagliarti le vene per impossibilità di fare qualsiasi cosa che non comporti l'utilizzo di un impermeabile, un maglione pesante e innumerevoli CHF diventa improvvisamente una specie di parco naturale abitato meraviglioso, pieno di gente che si lancia nuda nei corsi d'acqua, concerti, festival improbabili, portoricani che grigliano qualsiasi cosa in qualsiasi luogo e addirittura birra a basso costo.

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Ah, e pianoforti a pois in mezzo al lago.

Mi ero dimenticata quel tipo di strana sensazione dell'estate ginevrina, così un mese fa sono andata a trovare delle amiche in loco scoprendo casualmente che Lucky Dragons, duo composto da Sarah Rara e Luke Fischberg, avrebbero suonato in città, sul lago, al tramonto e gratis. Li avevo visti lo scorso inverno a Berlino durante il Transmediale Festival, eravamo chiusi in un auditorium con il cervello affaticato da conferenze sui new media e fuori c'erano -20°, ma grazie alla loro Actual reality la vita intera mi era sembrata bellissima.

Ho spiegato tutto ciò con gli occhi luccicanti alle mie amiche francofone che mi hanno risposto cose distratte tipo "sì, faccio un paio di bagni nel Rodano e poi ti raggiungo credo."

Il festival che ospitava l'evento si chiama Écoutes au verte (ascolti nel verde), il suo scopo è quello di "far ascoltare ad un pubblico seduto su un prato, o a filo dell'acqua del lago, musica ricercata di vario genere al tramonto e gratis." Il festival si sostenta in parte con gli after party a pagamento organizzati in un paio di locali alternativi—roba che non mi spiego, ma in Svizzera non mi spiego quasi nulla, nemmeno come i local riescano ad organizzare attività culturali con apparente tranquillità ed agio economico—e rappresenta la quintessenza dell'attitudine allo sciallo estivo svizzero. Tanto per cominciare la location era introvabile perché non era segnalata in nessunissimo modo evidente, è apparso un cartello dopo la fine del primo live, ma ho trascorso una buona mezz'ora a vagare per lo stesso molo balneare al centro del lago cercando di capire in quale punto ci fosse un impianto in procinto di essere utilizzato con una parvenza di pubblico… Distinguere queste cose da un baretto qualunque affacciato sull'acqua era pressoché impossibile.

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Gli svizzeri sono famosi per la loro puntualità, ma quando fa caldo le persone hanno come priorità unica quella di smaltire l'hangover della notte precedente a mollo nel Rodano e non si può pretendere che si rispetti un orario: il concerto è iniziato due ore e mezza dopo il previsto.
Luke era da solo e ha posizionato la sua strumentazione davanti al tavolo che ospitava la postazione del dj—che si è occupato del warmup tra un drink e l'altro, nonché della gestione audio di tutta la serata, nonché della video documentazione dei live, nonché credo proprio si trattasse dell'organizzatore del festival in persona, in ogni caso teneva distrattamente sotto controllo la situazione.

Numero totale dei presenti nel momento in cui il live è iniziato: sette—poi sono arrivate le mie amiche in costume da bagno e siamo diventati un po' di più. Il live di Lucky Dragons è stato comunque interessante, questa volta Luke ha performato Make a baby, un progetto musicale che prevede l'utilizzo di un synth fatto in casa che si suona collettivamente con un elettrodo collegato a una scheda audio attaccato al polso, accarezzandosi a vicenda si generano segnali elettromagnetici che vengono convertiti in audio in tempo reale. Il suono prodotto dall'interazione con il pubblico viene riparametrizzato e filtrato da Luke, oppure utilizzato come base su cui cantare. Coinvolgere un pubblico svizzero quando per buona parte del live le persone coinvolte a suonare erano anche le uniche presenti, mentre gli altri cenavano nel baretto di fronte alla terrazza guardando distrattamente, è stato parecchio complicato, ma in qualche inspiegabile modo ugualmente ben riuscito. Luke era stremato dal viaggio da LA a Ginevra, e probabilmente, pensavo, si sarà chiesto mille volte "chi sono questi pazzi che mi fanno volare fino a qui per suonare davanti a sei persone" ma è stato capace di trasmettere con i suoi gesti e i suoi suoni la dolce affezione e la cura attenta per quello che stava facendo.

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Qualche settimana dopo ho deciso di sfidare i fusi orari e chiacchierare con lui e Sarah, raggianti in un assolato mattino californiano, della loro pratica artistica, del progetto Lucky Dragons e della follia degli svizzeri.

Noisey: Ciao!

Sarah Rara, Luke Fischberg: Ciao! Buongiorno!

Qui è sera, quindi buongiorno a voi! Volevo iniziare parlando un po' di chi siete, ho letto qualche dichiarazione riguardo al progetto Lucky Dragons e alla sua forma che voi definite liquida, come funziona?

Sarah: Lucky Dragons è una specie di gruppo di ricerca a cui entrambi possiamo prendere parte, lavorarci, e poi condividere. Ci lavoriamo indifferentemente insieme o separatamente, passandoci del materiale, modificando quello che ognuno di noi ha fatto, scambiandoci più volte i risultati. La nostra collaborazione non è sempre bilaterale o simultanea, ma è più una conversazione in cui il dialogo si mischia con i contributi che ognuno da al progetto.

Luke: Lucky Dragons è un modo specifico di collaborare che io e Sarah adottiamo, abbiamo iniziato a parlarne in questi termini per differenziarlo da tutti gli altri progetti che portiamo avanti lavorando singolarmente come artisti o collaborando con molte altre persone. Attualmente lavoriamo a un altro paio di progetti collettivi, SUMI INK CLUB e KCHUNG radio. Io collaboro con altri artisti alla gestione di uno spazio qui a LA che si chiama Human Resources, abbiamo una programmazione molto differenziata e ci aiutano tanti volontari, è importante avere un certo equilibrio tra fare e presentare il proprio lavoro come artista che includa anche l'aspetto della sostenibilità e dell'organizzazione fattiva, perché ti permette veramente di avere uno sguardo ampio su come funziona l'arte.

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Quindi possiamo dire che una certa attitudine a lavorare in maniera dialogica è qualcosa che caratterizza il vostro lavoro in generale, non soltanto Lucky Dragons?

Luke: Credo si tratti di uno spettro ampio di cose: a volte la conversazione è più diretta, con un pubblico o un collaboratore, a volte semplicemente è inclusa nel lavoro, come nel caso di un disco che contenga la nostra musica registrata, o alcuni dei lavori video di Sarah, in cui si ha un'esperienza di fruizione molto personale ma c'è una certa percezione di quello che è il senso della ricerca e delle domande che hanno generato e sono parte di quel lavoro.

Da quello che ho potuto vedere di Lucky Dragons, percepisco leggibili un paio di influenze, "Actual reality" ha un'attitudine postinternet (o after postinternet dal momento che il postinternet è una tendenza considerata conclusa) mentre il live di Ginevra, "Make a baby," mi è sembrata più un'evoluzione poetica derivante dal mondo "makers" e DIY. Mi piace molto che sperimentiate in differenti direzioni, ma voi cosa ne pensate? Vi sentite parte di una specifica scena internazionale, movimento o tendenza?

Luke: Non penso abbiamo mai considerato l'utilizzo del termine "postinternet" per quello che ci riguarda, ma posso vedere anche io il collegamento, del resto il modo in cui ci relazioniamo a diverse scene, il modo in cui facciamo e costruiamo le cose, è effettivamente postinternet: ci creiamo da soli il nostro network e lavoriamo modificando differenti flussi come se tutto fosse una risorsa storicizzata o un modello di azione pratico da cui trarre un modo di operare o azioni ispiratrici. Quello che mi ha spinto maggiormente ad occuparmi di arte e musica è stata quella sensazione di poter approcciare l'apprendimento di qualcosa attraverso la sua esperienza da diversi punti di vista simultanei, un oggetto, una durata, un'emozione… il modo in cui utilizziamo la tecnologia mi sembra vada anch'esso nella direzione di questa comprensione simultanea delle cose.

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Quindi i vostri contatti sono più basati su una dimensione locale o vi sentite parte di qualcosa di più grande? Come vi relazionate a questa dicotomia tra locale e globale?

Sarah: È difficile dirlo perché in qualche modo quando penso a Los Angeles non riesco a concepirla come una dimensione locale, sia per quanto è grande che per come è organizzata. I confini tra Los Angeles e gli altri luoghi sono davvero fluidi, quando viaggio ho sempre la sensazione di avere una profonda e vera connessione con gli artisti di New York, così come con quelli europei, credo proprio che questa città sia un luogo in cui tante cose convergono, tante culture diverse, quindi, stringendo sulla scena locale, essere molto partecipi della vita culturale di Los Angeles significa avere tantissimi ponti aperti su una comunità e una conversazione internazionale più allargata in modo molto concreto.

Ho letto una vostra intervista del 2009 in cui, parlando di Los Angeles, dicevate questa frase "tutti sono amici di tutti, la vita è lenta, tutto è semplice e tutto è possibile": la pensate ancora così? Luke qual è stata la tua impressione della Svizzera in relazione a questa frase? Da questa affermazione, la Svizzera potrebbe sembrare molto simile a Los Angeles, eccetto per il fatto che la condizione di benessere reale sembra essere una prerogativa solo di chi possegga un passaporto svizzero…

Sarah: Mi sembra proprio una frase di Luke… L'idea della "possibilità" è ancora molto forte per noi, mi sembra che qualunque cosa sia possibile, questa visione influenza molto il modo che ho di recepire le informzioni…sì alle possibilità! Invece la mia esperienza della Svizzera è stata più limitata di quella di Luke, ma l'acqua è così pulita che chiunque venga da un posto con gravi problemi di siccità come Los Angeles ne rimane per forza affascinato! A Ginevra mi sono tuffata da un ponte e ho nuotato in un fiume pulitissimo, direi che è un buon punto a favore della qualità della vita in Svizzera, no? Ti lascio con Luke, devo correre in studio, grazie mille!

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Luke: La Svizzera mi sembra un piccolo posto difficile da cogliere, ci sono luoghi dove basta restare pochissimo per capire che non vuoi starci più del tempo che ti serve a partecipare a un determinato avvenimento, altri in cui hai bisogno di stare anni ed anni… Mi sento un po' in imbarazzo ad avere detto qualcosa di così semplicistico come "tutti sono amici di tutti," ma ripensandoci, in fin dei conti è vero, l'amicizia è la tipologia di relazione più diffusa che vedo qui a Los Angeles, credo sia il presupposto di partenza più basico del nostro stare insieme.

Non credo tu ti debba sentire in imbarazzo, è uno statement molto dolce, soprattutto se è vero, credo sia importante o almeno lo è per me, sviluppare relazioni profonde e reali, penso sia un modo per vincere quella modalità di networking di facciata che stressa le persone fino a farle performare socialmente.

Luke: I network migliori sono quelli senza stress.

Cosa mi dici dell' Écoute au vert? Come è stata quella performance?

Luke: Beh, in qualche modo è un live che mi è piaciuto fare, è una bella sfida se ragioni in termini di produzione di suoni in una situazione sociale, può essere un po' disorientante: come parlare a tutte le persone che il tuo suono raggiunge in quel momento? Idealmente si raggiunge un punto in cui alcune persone sono coinvolte direttamente, prestando attenzione le une alle altre o interagendo fisicamente insieme, cambiando il suono toccando la pelle del loro vicino… e poi ci sono gli altri, distanti, che hanno una consapevolezza relativa di quello che sta succedendo e che quindi non vogliono interrompere niente di quello che stanno già facendo. Suonare all'aperto è un po' sempre questo genere di cosa: non hai pareti che fermano il suono, non ci sono confini, bisogna negoziare ai confini del suono che finisce con il mondo reale che ti circonda… può essere difficile fare questo e nel contempo prestare attenzione anche all'esperienza di chi è al centro, che è direttamente coinvolto, necessita differenti tipi di attenzioni credo.

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Una parte di me ha desiderato ci fosse un po' più di attenzione intorno alla tua presenza sonora, c'erano pochissime persone e gli organizzatori non sembravano preoccuparsene più di tanto e non si trattava di una disaffezione nei tuoi confronti ma di una inesistente percezione di un fallimento. Del resto se da un lato è un peccato far venire qualcuno da Los Angeles per suonare davanti a dieci persone, dall'altro la situazione era molto godibile per chi stava ascoltando…

Luke: Ci sono sicuramente alcune performance che funzionano molto meglio con un'attenzione completa, in cui si riescono a raggiungere tutti con un suono e a farli sentire parte di un paesaggio comune… e poi ci sono altre situazioni, come l'Écoute au vert, in cui è chiaro che si è nel bel mezzo di una situazione sociale preesistente in cui tutte le interazioni diventano un ulteriore livello di realtà sopra tutti quelli che le persone stanno già vivendo insieme nel contesto in cui sono, mi sento un po' anche io parte del pubblico quando succede questo, sì, devo dire che è come se mi sentissi anche io dall'altra parte. Hai toccato anche un punto interessante, la misura del successo e del fallimento, è molto soggettiva: puoi valutare quante persone ci sono, o quanto applaudono, o puoi tentare di ricordare intimamente la sensazione che un concerto ti ha dato, o condividere quella sensazione con un amico.

Sì, non credo che quel concerto sia stato un vero fallimento, è bello vedere che hai una visione positiva di come è andata.

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Luke: Positiva…forse… curiosa sicuramente! Queste situazioni strane sono sempre occasioni per imparare qualcosa di nuovo!

Un'ultima domanda riguardo "Make a baby:" come gestisci l'aspetto ludico della performance? È qualcosa che poni al centro oppure è solo uno strumento che sfrutti per far funzionare l'interazione con il pubblico e generare qualcosaltro?

Luke: Ah… beh, c'è il gioco ludico, una specie di esplorazione giocosa, poi c'è l'idea di "paidia", che è una forma di gioco non strutturata, caotica. Dentro questi due poli opposti ci sono tutti gli altri tipi di giochi, quindi in un certo senso il gioco è al centro della performance, di sicuro, ma può prendere tutte le possibili differenti forme di gioco esistenti tra il ludico e la paidia in differenti momenti. Idealmente la struttura è fatta per bilanciare e garantire un accesso a tutte queste differenti forme di gioco.

Quindi durante la performance, sei più attento all'equilibrio dei giochi nell'interazione del pubblico oppure al risultato estetico che ne ottieni? Nel caso si tratti di una ricerca di equilibrio, quando ti ritieni soddisfatto da entrambi i versanti?

Luke: I due aspetti sono collegati ma non sono l'uno la conseguenza dell'altro: il modo in cui escono i suoni influenza il modo in cui poi le persone suonano e viceversa, in un ciclo continuo. Mi interessa filtrare il suono in modo che le azioni di ogni persona siano percepibili, ma ovviamente questo aspetto si estende alla parte in cui spiego alle persone come devono muoversi, senza essere invasivo, ma mi devo assicurare che capiscano come suonarsi a vicenda. Poi al di là degli aspetti tecnici, tra cui c'è anche il suono, lascio che le persone esplorino e giochino nel modo che preferiscono: ci sono forme di gioco che possono esistere solo se non si da alcuna direttiva.

State portando in giro "Make a baby" da tanto tempo, le persone ti sorprendono ogni volta?

Luke: Sì, un po' credo ci siano ancora sorprese tutte le volte, ma non è questa la principale ragione per cui stiamo andando avanti performare "Make a baby." Credo anzi che sia proprio il contrario della sorpresa, c'è una sensazione rassicurante, un bellissimo senso di ordine e di possibilità che arriva dal provare la stessa esperienza molte molte volte: è come presentare a degli estranei qualcosa di inaspettato, cercando di comprenderlo insieme, è una sensazione che mi piace molto. È come scrivere, o parlare, o riascoltre la tua voce, quando la risposta torna indietro confermando che c'è stata una connessione e una comprensione. È sempre meraviglioso constatare come in un modo o nell'altro tutto questo continui a funzionare.

Luke e Sarah sono sposati e nonostante questo Elena si è innamorata di entrambi. Seguila su Twitter.