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Musica

Ho chiesto a Kurt Cobain, ma non ho capito uguale

Il nuovo singolo di Brunori SAS dimostra una volta per tutte come tra l'indie italiano e Sanremo non ci sia più nessuna differenza.

Ieri è uscito il nuovo singolo di Dario Brunori—o Brunori SAS che dir si voglia—accompagnato da un video apparso in esclusiva sul sito del Corriere Della Sera. Si intitola "Kurt Cobain" ed è intuile che stia qui a indugiare in inutili descrizioni dell'ambientazione o della regia. Andatevelo a vedere (l'embed del sito del Corriere fa rate al cazzo), e ascoltate la canzone.

Ammetto di essere fortemente tentato di scrivere un intervento molto sarcastico, una bella e buona presa per il culo, con quel tipico tono di superiorità che rende il tutto un minimo "controverso" e scatena tanti insulti nei commenti. Non sarebbe neanche "troppo semplice" e infatti non è questo il motivo per cui un attacco diretto del genere non funzionerebbe. Posso scrivere che il nuovo singolo di Brunori mi ha fatto venire un atroce male al fegato e rovinato l'umore, il problema è che, per quanto accompagnate da analisi metatestuali approfondite, le "offese" spiccano sempre sul resto del testo come fossero evidenziate in colori fluorescenti e forniscono ai detrattori (o meglio, ai difensori di chi viene smangiucchiato nel dato articolo) un appiglio troppo comodo per liquidare tutto. Bene, niente insulti, niente sarcasmo. Rimane comunque il fatto che questa canzone e relativo video mi fano schifissimo e voglio a tutti i costi spiegarlo.

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In tutta onestà, non è neanche questione di cosa non piace a me, permettetemi questa presunzione, il video di "Kurt Cobain" (non sapete quante tonnellate di battute stronze mi risparmio ogni volta che ne scrivo il titolo), mi ha suggerito un sacco di spunti generici sulla canzon d'autore indie di oggi. Non è sempre così? Prima però mi soffermerei due secondi sul testo del pezzo. Ho provato seriamente a capirlo, dopo avere superato i famosi cinque stadi dell'elaborazione del lutto, tra cui un periodo di negazione in cui non riuscivo a capacitarmi del ritornello. Mi pare di aver capito si tratti di un brano sul peso del'esistenza e sulle tendenze suicide. Kurt Cobain e, uhm, Marilyn Monroe sono presi ad esempio in quanto suicidi celebri—in maniera, per quanto riguarda Marilyn, anche abbastanza imprecisa—e di quanto l'atto non risolva niente. A parte questo, mi sembra un ammasso abbastanza incoerente di immagini venute male e metafore da paroliere della sigla di una fiction RAI. Tra queste "l'ultima ruota del carro più grande che c'è" che, suggerisce la mia collega Virginia, è un deragliamento poetico che poteva succedere solo in italiano. Amen.

Di fatto cos'è "Kurt Cobain"? Nient'altro che una canzoncina di mediocre cantautorato italiano, in fondo. Buona per San Remo, magari, non sfigurerebbe né spiccherebbe nel repertorio di quei fenomeni oramai divorati dal tempo e dal disinteresse generale tipo, boh… Samuele Bersani? Cazzo ne so. Allora che c'entra con la musica che trattiamo di solito? Perchè ne parliamo qua?

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Be', ma perché Brunori è indie, no? Fa parte di una schiera di musicisti che piacciono ai giovani, che hanno svecchiato la canzone italiana per le nuove generazioni, con idee nuove e respiro internazionale, no? No. O meglio, sì, ma il fatto è che nessuno ha mai svecchiato davvero la canzone italiana. Poi piacciono ai giovani, ok, ma non sono affari miei. Fatto sta che la canzone italiana è immobile, bloccata in una forma per metà sanremese per metà "colpa" del cantautorato anni Settanta meno interessante. Nonostante questo, c'è una patina che ricopre tutti questi artisti più giovani, un vestito di vaga modernità che periodicamente viene indossato da una forma espressiva assolutamente conservatrice, stantia e priva di intelligenza poetica. Questo abito negli ultimi anni ha avuto un cappello abbastanza importante e paraculo, che è quello di darsi un nome collettivo. Dario Brunori, infatti, invece di firmarsi con nome e cognome usa la cifra Brunori SAS, vagamente ironica, che, in maniera tale e quale al collega Vasco Brondi/Le Luci Della Centrale Elettrica, lo fa sembrare una band, anzi una one-man-band, un progetto di musica elettronica. È un passo avanti rispetto agli pseudonimi "originali" ma singolari, tipo Moltheni che sembra sempre un cognome. Ce ne sono molti come sto SAS, compreso Niccolò Contessa AKA I Cani, che rimane un cantautore nonostante la sua musica contenga effettivamente parecchio di postmoderno e indie-pop.

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Di solito, comunque, la musica vera e propria è l'ultima delle preoccupazioni: in Italia, si sa, siamo schiavi del testo. Con questo non voglio dire che le liriche non siano una parte bella e importante di una canzone, né che il pop "indie" di tanti altri paesi non abbia una forte impronta cantautoriale e un'attenzione alle parole. In Italia coltiviamo comunque, da sempre, un'attenzione per le parole e la melodia che le mette insieme, che finisce per divorare tutto il resto. Sono pochi i cantautori, storicamente, che abbiano dato pari importanza allo sviluppo dell'espressività solo-musicale delle loro produzioni; molti lo hanno fatto solo in alcuni dischi "sperimentali" e/o affidato a collaboratori occasionali. Abbiamo una rubrica apposita, nel caso non ve ne foste accorti. Il peggio è che spessissimo questa attenzione alla voce si riduce al ritornello, alle paroline carine alla portata di tutti, a obbrobri lirici come quelli di cui sopra, fatti di similitudini agghiaccianti. Invece di una qualche espressione di onestà artistica, la forma-canzone diventa una specie di nenia ipnotica atta alla consolazione, quindi alla depressione intellettuale dell'ascoltatore. Tutti gli italiani scrivono e quasi nessuno legge, si dice sempre. Quando scrivono, di solito scrivono roba tipo, appunto, "l'ultima ruota del carro più grande che c'è " o "vivere è come volare", se va bene, sul diario delle medie. Il problema è che alcuni poi lo fanno anche da adulti. Brunori, non contento, cita addirittura cartecobbei, idolo RUOCK degli adolescenti ribelli, che "da lassù", se potesse, ti direbbe "dai, non farlo". Che splendida visione cattolica. Per chi ha mai avuto davvero a che fare con il suicidio di una persona cara, può essere persino un po' offensiva.

Ma veniamo a un altro elemento di questa farsa pseudo-contemporanea: il video. L'avete guardato bene? È girato in una chiesa. Non è l'ambientazione più originale del mondo, ma non ho potuto fare a meno di pensare che ci sia ispirati al video di Deptford Goth. Soprattutto mi ha colpito una cosa: è registrato live (sì, vabbè), e l'ambiente è stipato di strumenti che non vengono mai sfiorati. Per la maggior parte sono strumenti elettronici, capito? I Synth, quelle cose moderne. Sul piano di Brunori è appoggiato un Korg MS-20 mini che non viene manco guardato, l'atmosfera è piena di tasti e manopole perché loro sono una band, una vera band contemporanea eclettica, che fa contaminazione. Sì, eh? Intanto sta canzone se la cantava Tiziano Ferro non cambiava niente, anzi forse la cantava meglio. Invece ci becchiamo uno vestito ovviamente da sfigato, ovviamente con gli occhiali e i baffi, che ovviamente sta al piano e attenzione c'ha pure intorno delle magiche macchinine elettroniche. Il lettore del Corriere è definitivamente conquistato. A proposito: si è scelto una testata generalista per promuovere questo video musicale, e non una musicale. Non è affatto una mossa a caso.

Insomma, è possibile scappare dal grigiore puzzolente dell'ombra maledetta di Sanremo? Parrebbe proprio di no, e infatti anche tutte le "grandi band" dello storico "rock italiano alternativo" a turno ci sono finite tutte. Ultimamente questo gioco di assemblare piano piano i tasselli dell'orribile stato della cultura popolare italiana mi sta portando a consapevolezze davvero tremende. Non serve essere particolarmente intelligenti per rendersi conto di quanto quasi tutto quello con cui ci bombardano fa schifo, ed è opinione anche piuttosto riconosciuta. Allora perché l'ottanta percento del paese continua inerte a ingoiare merda? Nell'immobilità generale, è un discorso che si può fare per la musica pop come per campi molto più importanti della vita di questo Paese. Si fa di tutto perché le cose rimangano sempre uguali a se stesse in una maniera oggettivamente patetica. E la cosa peggiore è che non si capisce neanche in nome di cosa lo si stia facendo, perché non ci sta guadagnando davvero più nessuno.

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