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Musica

La dura guerra tra polizia inglese e stazioni radio pirata

Raccontata nel documentario Drowned City, di cui abbiamo intervistato i registi.

C'è ancora qualche luce flebile a illuminare la via, ma poco più in là, tra le torri e le uscite di sicurezza, è notte fonda. Non si sente alcun rumore, se non quello delle sneaker che scivolano sull'erba umida o quello dei respiri profondi nell'oscurità. "La polizia ha fatto irruzione e ha tentato di sfondare la porta. Volevano entrare a tutti i costi," sussurra una voce robotica. "Mi fa sentire un criminale."

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Questa scena è tratta da Drowned City, un documentario che disegna un ritratto molto nitido delle radio pirata. Negli ultimi vent'anni i DJ delle radio pirata inglesi sono stati nel mirino di una stretta sorveglianza da parte della legge. Il governo, sulla base dell'asserzione che diffondano musica in maniera illegale, li trattano più o meno allo stesso modo in cui trattano gli spacciatori.

Drowned City, che parla di questo fenomeno sociale in ogni sua parte, dalla creazione di queste radion pirata sui tetti delle città, fino agli inseguimenti con la polizia, ha vinto il premio di miglior documentario britannico dell'Independant Film Festival. Ho incontrato i due registi del film, Faith e Andrea, qualche settimana dopo questo riconoscimento.

Noisey: È stato difficile girare scene in un ambiente essenzialmente clandestino?
Faith: Sono cresciuta nel nord di Londra, circondata da persone che ascoltavano le radio pirata. L'idea del film è nata quando mio fratello è stato arrestato perché aveva fondato una radio pirata. Il suo processo è durato due anni. Per tutto quel tempo è stato in libertà provvisoria e quando abbiamo iniziato a contattare persone per il film abbiamo scoperto che molti di loro avevano sentito parlare di lui e del suo processo. Hanno capito che, anche se non facevamo strettamente parte del giro, non eravamo lì per dar loro lezioni, che volevamo semplicemente raccontare la loro storia.

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Non hanno temuto che le riprese del film avrebbero avuto problemi con la legge?
Andrea: C'è voluto un po' di tempo per avere la fiducia dei pirati, ovviamente. Le loro richieste, comunque, erano abbastanza semplici: che non fossimo d'impaccio e che non rivelassimo la loro identità. Detto ciò, abbiamo dovuto scompigliare ogni nostro piano perché i pirati avevano tempistiche tutte loro, erano sempre in ritardo e qualche volta nemmeno si presentavano agli appuntamenti. Questo modo di lavorare è stato abbastanza pesante per la nostra squadra. La maggior parte dei cameramen, degli assistenti di produzione e di chi ci affittava la strumentazione ha lavorato per noi pro bono, tutte queste persone ci hanno fornito gratuitamente la loro collaborazione, anche quando si trattava di girare a tarda notte. Quando i pirati non si presentavano mi sentivo davvero in colpa nei confronti dei nostri collaboratori.
Faith: Abbiamo dovuto trovare un equilibrio tra la nostra schedule—le riprese avvenivano principalmente di notte—e le cose che dovevamo fare di giorno. È stato molto stancante. Questa è stata la nostra vita per ben due anni.

Un po' come i pirati stessi, in fondo.
Faith: Certo, mio fratello mi ha parlato più volte di quelli che facevano lavori diurni anche abbastanza corporate, tipo banchieri, e la notte si trasformavano in pirati. Alcuni pirati, più che altro quelli che si occupano di posizionare le antenne, di giorno lavorano come elettricisti. È un modo per sfruttare a pieno le potenzialità del proprio mestiere. Durante le riprese abbiamo incontrato promoter di club, proprietari di locali, taxisti, insegnanti di danza, idraulici, segretarie e anche uno che gestiva un'agenzia di pompe funebri. Gestire una radio pirata è una cosa che succhia un sacco di tempo, di energia e anche di investimenti.

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Perché la scelta di creare radio pirata? Perché vivere nell'illegalità e passare il proprio tempo a giocare a nascondino con la polizia, piuttosto che passare dal circuito tradizionale dei club e delle label?
Andrea: Molto spesso quella è la prima fase. Alcuni pirati fanno così per farsi conoscere dalle etichette e dai promoter. Non bisogna dimenticarsi che le radio legali seguono la programmazione delle radio pirata per sapere cosa c'è di nuovo in giro, per avere un'idea del vero mercato della musica.
Faith: Questo è positivo, in fin dei conti. Molti dei pirati che abbiamo incontrato si sentivano molto bene nell'ambiente della loro radio, parlavano dei propri colleghi come di una famiglia. Prendere parte a un progetto di questo genere significa essere parte di qualcosa: ti rende sicuro di te, ti dà responsabilità, ti fa crescere.

I pirati si considerano contrari al sistema?
Faith: Inconsciamente sì. La vita di un pirata consiste essenzialmente nella lotta contro le regole prestabilite e, in un certo senso, prendersene gioco, fregarle. Di solito chi lavora così dev'essere sempre un passo più avanti rispetto all'autorità, quindi deve avere un sacco di fantasia, oltre ad essere uno stratega.
Andrea: Mi ricorda la situazione delle comunità minoritarie, di cui ci interessiamo in Drowned City, anche se brevemente. Queste comunità prendono parte attiva alla creazione e allo sviluppo delle radio pirata. C'è una volontà molto forte di appropriarsi delle nuove tendenze, un desiderio di rivalsa nei confronti della società che schiaccia le minoranze. I pirati non vorrebbero essere considerati criminali, ma la maggior parte di loro si rifiuta di sottostare alle regole di licenze e autorizzazioni canoniche. Secondo voi l'essenza delle radio pirata è l'illegalità o si tratta di una conseguenza?
Faith: Quello che ci interessa è il fatto che i pirati vogliano essere riconosciuti semplicemente per quello che fanno, per il tempo, il denaro e lo sforzo che investono nel loro progetto. Allo stesso tempo non vogliono farsi castrare, cioè, non vogliono rientrare nelle maglie della legge. L'illegalità è una parte essenziale delle radio pirata. Se queste persone facessero base su una piattaforma legale che permettesse loro di mantenere ogni singola parte del loro lavoro intatta, forse potrebbe funzionare. Un po' è il caso di Rinse FM. Hanno trovato il modo di dar loro una licenza e ora è diventata una piattaforma comunitaria, una cosa non molto distante da una radio pirata.

Cosa serve per creare una radio pirata?
Andrea: Sicuramente un emittente FM portatile, non è caro ed è facile crearlo o trovarlo già assemblato. Poi hai bisogno di un tetto abbastanza alto, le torri sono l'ambiente ideale di trasmissione. Un emittente da 40 watt su una torre può diffondere per un raggio di 60 km. Poi non ti resta che trovarti DJ validi e qualcuno che gestisca tempi e modi, ed ecco fatta la tua radio, più o meno. Alla fine degli anni Ottanta nel Regno Unito c'erano circa 600 radio pirata. Oggi ce ne sono circa 150. Che succede?
Faith: La musica dance e la musica urbana inglese hanno trovato la loro collocazione nel circuito mainstream, dopo essersi fatte le ossa nelle radio pirata. Le radio legali hanno iniziato a interessarsi a questo tipo di musica e a prendere a piene mani spunto dal repertorio delle radio pirata, contattando i loro DJ e diffondendo proprio pezzi di trasmissioni pirata. Oggi, la musica underground anglosassone è super popolare, ci sono radio come BBC 1XTRA e Capital XTRA che la trasmettono. All'epoca, però, ovvero negli anni Novanta, non avevi scelta: per avere accesso a certi tipi di musica dovevi ascoltare le radio pirata. Ora c'è Internet e ci sono nuove piattaforme per ascoltare la musica L'evoluzione tecnologica hanno reso molto più flebile la cultura delle radio pirata.

Tuo fratello ha visto il film? Il risultato finale gli è piaciuto?
Faith: Sì, gli è piaciuto. Aveva ovviamente seguito il progetto e si era sentito coinvolto sin dall'inizio, ci ha sempre dato il suo punto di vista sulle cose. Abbiamo lavorato sul montaggio insieme, tentando di lasciar da parte la nostra relazione fratello-sorella, di modo che il risultato fosse il più obiettivo possibile.