FYI.

This story is over 5 years old.

Musica

Report: Darkside al teatro Carignano

Il lato oscuro, visto da vicino, è ancora più oscuro.

Ok, magari ieri sera eravate impegnati a riprendere i Disclosure con i vostri smartphone (nuova deprecabile pratica per cui brucerete tutti all'inferno) oppure avevate già assistito al live dei Darkside ai Magazzini Generali di Milano, è una cosa molto bella andare ai concerti, piace anche a me. Non è mia prassi, però, documentare le serate, ma credo che quella di ieri al Carignano di Torino, organizzata dallo staff di Alfa Mito #C2C, o #C2C14, se lo meriti, e in realtà desidero che si noti che sono un vero asso con gli hashtag.

Pubblicità

Questo report sarà forse fondato su una preterizione: eviterò di parlare del perché io e l'intera redazione di Noisey supportiamo e crediamo in Club To Club, non ce n'è bisogno (e forse basta sapere che alla scorsa edizione abbiamo dedicato il nostro primo documentario). Ma partiamo dall'inizio.

La prima cosa che mi ha colpito dell'evento di ieri è decisamente la coda che mi si è piantata davanti in autostrada, circa alle cinque e mezza, causata dai deliziosi lavori in atto sulla Milano-Torino in combo con un incidente, cosa che mi ha permesso di iniziare a sollazzarmi con fumogeni simpatici per due ore di viaggio, fino all'arrivo alla città di Torino, che ti accoglie con una sfinge che nemmeno ti guarda (sta voltata in direzione Settimo Torinese, forse per paura che quelli di Settimo cerchino di rubare il primato egizio al Capoluogo) e poi ti ingloba nelle sue stradine vagamente francesi, ma piene di torinesi anziché di francesi—questo per certi versi è un contrasto vincente.

Dopo varie deambulazioni prive di senso, si arriva al Carignano, teatro inaugurato nel 1753, che si presenta maestoso ed eloquente fin da subito, a prova della mia teoria che gli organizzatori non si accontentano di passare praticamente tutto l'anno a tentare di tirare su lineup prestigiose, ma si impongono di presentare i loro prescelti in cornici che ne esaltino ogni tratto.

Così è stato per i Darkside, ovviamente, ma prima ancora per l'opening act High Water, ovvero il polistrumentista Will Epstein, di casa Other People (l'etichetta di Jaar che ha rimpiazzato Clown And Sunset). Il posto che mi era stato gentilmente attribuito, quello accanto al palco regale (davvero a un passo dal sogno, peccato aver lasciato il bustino e il collare elisabettiano a casa), affacciava su un teatro buio, che dava a Will il fascino della penombra e della fumosità, e trasformava l'oro del Carignano in un'ambientazione fuligginosa tra i club jazz di New Orleans e quella scena di Mulholland Drive in cui no hay banda. Will si esibisce in una mezz'ora buona di virtuosismi lasciando abbastanza di stucco tutti quanti, ivi compresa me e i colleghi che mi circondavano, alcuni dei quali poi mi hanno rivelato di essere abbastanza convinti che l'opening fosse Jaar stesso, anche se qualcosa non tornava, tipo che non era Jaar. Il ragazzo nonostante sia alla sua prima tornata di live dimostra tutti i suoi talenti con sax e synth, virando dal jazz a spettri classicheggianti, per ritornare alla matrice deep delle pubblicazioni affini all'universo Jaar, che si rivelano pienamente in linea con la cornice barocca, proprio perché completamente contrastanti. Forse deve lavorare un pochino sulla voce, che talvolta mi è sembrata un po' tirata.

Pubblicità

L'unica foto non orrenda che sono riuscita a fare.

I bei palchi dorati del Carignano, per l'opening e per il concerto stesso, rimarranno come un'ombra cupa di un passato formale, invasi dalle frequenze basse e da giochi di luce sempre poco invadenti, da sirena della polizia o lampione mezzo rotto in un vicolo cieco, anche durante l'esibizione dei Darkside.

Tant'è che, dopo una breve pausa in cui alcune ragazze al bagno mi raccontano che i Moderat live avevano fatto cagare e secondo loro suonavano con una playlist, torno al mio posto e in teatro torna lo stesso clima steampunk quando arrivano sul palco i due protagonisti, Dave Harrington e Nicolas Jaar. Il primo ricurvo e ricciolo come la maggior parte dei chitarristi che ho amato in vita mia, il secondo forte della sua bellezza anche in penombra, mentre accarezza i synth. Il darkside, nella purezza della citazione, è rappresentato da un grosso specchio tondo che pende sulle teste del duo, rifrangendo le proiezioni sul pubblico, che pare quindi accorgersi durante l'esibizione di essere dunque il bright side, consapevolezza che potrei definire catartica: si lascia che siano loro due a squarciare il velo e raccontare il lato dolente, oscuro, mentre noi, dai dintorni del palco regale, lasciamo che sia quello apollineo a prendere piede, per un'ora.

Talmente apollinea mi sento, che penso di essere l'unica degli addetti ai lavori ad aver lasciato per qualche minuto il fumoso teatro per dedicarmi ad altre attività fumose, per poi ritornare con una dedizione alla causa rinnovata. Tra i vari motivi, basterebbe anche solo questo per voler legalizzare i cannabinoidi. Harrington è una figura ibrida. Ha in sé ogni colonna sonora di Jarmusch che mi ha sbaragliato finora: la sua ombra è Tom Waits, basculante, ubriaco, strascicato, pieno di catarro, e gli slide desertici della sua chitarra sono il Neil Young di Dead Man, ma sono anche il blues profondo di Marvin Pontiac. Al suo fianco Nicolas, pari, non superiore (se non per fama), esattamente bilanciato, anzi, grazie a Dave emerge con più forza l'estetica malinconica e assassina sudamericana, Jaar calca la polvere che solleva con una delicatezza simile ai suoi interventi vocali. E, be', in molti ci hanno chiaramente visto echi dei Pink Floyd, ovvi per chi aveva davanti lo specchio rotante a forma di eclissi lunare, ma per me più ovvi perché credo di essere entrata dopo il quarantesimo minuto di Darkside in una specie di tunnel spaziotemporale verso la Pompei dell'ottobre '71.

Pubblicità

Tutto ancora meglio visti i miei presupposti psicotropi, che hanno trasformato la mia percezione dei vapori acquei dei Darkside in una cosa tipo questa.

Non credo che Nicolas abbia un particolare programma per ficcare la guitar music entro il panorama dell'elettronica, sempre più in volo verso linguaggi binari, da una parte, e fluidità di impronta noise dall'altra (penso soprattutto alle nuove leve della techno, che si avvicinano a quel magma dionisiaco da cui anche Jaar prende a piene mani). Non credo che sia studiata l'impronta materica che fissa il movimento funereo e incalzante di Jaar con le staffilate metalliche della chitarra di Harrington, credo che certe cose succedano così, senza pianificare, e che il loro sia un rapporto che aggiunge supporto e amplificazione reciproca, senza sovrapposizioni pleonastiche.

E così, in parallelo, è successo anche al Club To Club di patrocinare un evento, con le accortezze e la cura con cui anche il festival in sé è strutturato, che si distanzia dalla percezione classica di club e inizia a regalare nuove prospettive, più contemplative e variegate, strada che si era già aperta negli anni passati con la scelta di nuove ambientazioni un po' più estrose, tipo appunto il Carignano (già sede del live di Holden a novembre). Il tutto, però, senza risultare pacchiano o fuori luogo o menoso, ma forse ho questa percezione aulica della scena torinese perché vivo a Milano e so quanto è complicato, qui, risultare raffinati senza che qualcuno ti accusi di menartela o, ahimè, senza che realmente te la meni. La vera riuscita della serata di ieri è stato proprio il fatto che la spettacolarità del teatro passasse in secondo piano e si integrasse alla perfezione con lo show di Darkside, che, in fondo, era poco più che puro suono.

Torno a casa alle quattro di notte dopo aver cercato disperatamente un posto in cui alimentarmi, che ho trovato in Corso Vittorio e si chiama Horas Kebab. Falafel consigliatissimi.

Segui Virginia su Twitter @virginia_W_