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Musica

Colonne sonore bellissime: Holy Motors

Uno dei film più inquietanti degli ultimi tempi, con la sua densissima collezione di suoni.

Tutti quelli che hanno avuto a che fare con me nell’ultimo anno (il mio analista, l’altro mio analista, il mio cane) mi hanno sentito parlare almeno una volta di Holy Motors, film del geniale e visionario regista francese Leos Carax (Rosso sangue, Gli amanti del Pont-Neuf), presentato e acclamato al festival di Cannes nel 2012—edizione vinta da Amour di Haneke, che si aggiudicherà poi anche l’Oscar come miglior film straniero—e distribuito in Italia solo un anno dopo in una manciata di sale, quando a catturare tutte le attenzioni era La grande bellezza di Sorrentino. Non il massimo delle premesse per poter superare gli argini del piccolo pubblico.

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È impossibile comprendere la scelta dei brani presenti nella colonna sonora senza legarli a doppio filo con la (non)trama di questo meta-film, talmente ricco di citazioni e interpretazioni che è frustrante (e forse anche inutile e noioso) elencarle tutte. In due ore scarse di pellicola viene mostrato un intero giorno di routine di tale Monsieur Oscar, interpretato magnificamente da Denis Lavant, uomo di fiducia di Carax presente in quasi tutti i suoi film. Ventiquattrore di routine del tutto singolari, poiché il mestiere di Monsieur Oscar è quello di incarnare e vivere alcuni momenti della vita di differenti personaggi, ora bizzarri ora del tutto inseriti nella società. Nove appuntamenti per nove trasformazioni, come sappiamo dalla voce di Céline (Edith Scob), autista e segretaria che scorrazza Oscar a bordo di una limousine bianca, unico filo conduttore tra le molteplici sublimazioni del suo assistito e del film intero.

Holy Motors è un sincero atto d’amore nei confronti dell’arte del cinema e, come tutti gli atti d’amore, si sdoppia in un'aspra e precisa critica costruttiva, in parallelo a un tributo e a un elogio dell’arte in questione: ogni frammento di vita recitato è anche un riferimento a un diverso genere cinematografico e dunque si passa per il musical, il film drammatico, d’azione, fantastico, virtuale etc.
Invece critica, perché nel prologo troviamo inquadrata una platea addormentata, a simboleggiare il torpore e la staticità di un pubblico poco incline a superare certe barriere, come invece ci invita letteralmente a fare lo stesso regista, che in una specie di cameo rompe una parete della sua stanza che porta direttamente in sala tra i dormienti. Citando Kafka “Nel mio appartamento c’è una porta che fino ad ora non avevo mai notato”, così Carax ci introduce e al tempo stesso abbatte da subito gli schemi standard per la fruizione del film, come unica via percorribile in opposizione alla morte del cinema, minacciata a più riprese, e forse addirittura necessaria per poter rivivere, come fanno i personaggi di Monsieur Oscar e come suggerisce l’ultima traccia con la quale si chiude il film, Revivre di Gérard Manset:
Et je crois que tout arrive / Tout vient à / Qui sait mourir / Pour mieux revivre.

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Ogni cambio di persona è accompagnato da un accenno delle note di "Who Were We?" unico brano originale dell'esigua colonna sonora, interpretato da Kylie Minogue (che ritroveremo anche con il suo singolo di grande successo, "Can't Get You Out Of My Head," in un altro momento) e cantato per intero nella scena del grande magazzino abbandonato La Samaritaine, dove recita proprio l’artista australiana, il cui personaggio svolge lo stesso lavoro camaleontico di Oscar e con il quale pare esserci anche una vecchia storia d’amore, sfumata forse proprio a causa del loro particolare ruolo nella società: troppo invadente e alienante per poter gestire anche una propria identità.
Who were we / who were we / when we were who we were / back then?

Sebbene non faccia propriamente parte della colonna sonora, la mia scena preferita ha a che fare in parte con la musica: tra i personaggi che Oscar è chiamato a incarnare, c’è anche quello dell’orripilante mostro Signor Merda, autocitazione di Carax che aveva già assegnato questo ruolo a Lavant in un episodio di Tokyo!.
In questa scena il Signor Merda rapisce una modella che sta posando in un cimitero per un servizio fotografico, si tratta di Eva Mendes. Giunti in una grotta lui crea alla buona un burqa per coprirle il viso, poi si spoglia completamente nudo (tributo alla spettacolare foto di Samuel Aranda, vincitrice del World Press Photo 2012) e si addormenta sul suo grembo mentre la Mendes canta All The Pretty Little Horses. Seppure non nella versione dei Current 93 con Nick Cave, né in quella dei Coil, vedere uno dei miei più grandi sogni erotici alle prese con quella tanto cara ninnananna popolare americana ha sancito definitivamente il mio amore per questo film.

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Altri due momenti musicali sono suggestivi e degni di nota: Oscar diventa un musicista di strada che anziché dettare il tempo con il classico 1, 2, 3 preferisce 3, 12, merda! e con la sua banda, fisarmonica in braccio, sfila per le strade suonando "Let My Baby Ride" di Robert Lee Burnside reinterpretata per l’occasione da Docteur L (che non sono riuscito a capire bene chi cazzo sia, perdonatemi. Vi basti sapere che la sua pagina Facebook ha 3 Mi piace).

L’altro è quando siamo nei panni del vecchio signor Vogan, che nel letto di morte dà l’ultimo saluto alla nipote. Lo stereo manda la marcia funebre di Dmitrij Shostakovich ad accompagnare forse la scena più toccante e poetica dell’intero film, coronata da una citazione di Dostoevskij “io sono solo mentre loro sono tutti”. Lo spettatore è cosciente del fatto che i due soggetti in questione sono dei perfetti sconosciuti che stanno interpretando una parte prestabilita: eppure l’intensità è palpabile e reale, nonostante questa venga ulteriormente spezzata quando—dopo il fantomatico addio—lui si alza dal letto, saluta e se ne va per andare ad un altro appuntamento.

In linea con la non-storia che accompagna, la colonna sonora di Holy Motors è eterogenea, all’apparenza disordinata, segue il percorso di perdita, di mutazione continua dell'uomo, come dell’attore (e del cinema stesso): l'identità è plasmata al punto da non potersi ricondurre più a un sé.

Il romantico trionfo della decadenza, che seduce la morte ed esalta la vita, un film edonista il cui pilastro principale sta nel dialogo in limousine tra Oscar e un losco personaggio (una specie di capo) interpretato da Michel Piccoli: il senso di tutto va alla bellezza del gesto, bellezza che, risponde Piccoli, è nell’occhio di chi guarda.

In questo caso anche nelle orecchie di chi ascolta.

Segui Edoardo su Twitter: @edoardovitale_