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Musica

Beyoncé contro il sistema patriarcale

Sapevamo che Queen B è dichiaratamente femminista, ma ora ha addirittura scritto un saggio sull'eguaglianza di generi.

La maternità ha reso leggermente più accentuati gli sprazzi femministi da sempre latenti nella musica e nell'attitudine di Beyoncé, la matrona del ventunesimo secolo, la Grande Madre portatrice sana di steatopigia dell'epoca di Internet. Questo sviluppo della consapevolezza di Sasha Fierce le ha permesso non solo di pubblicare a muzzo un LP che è evidentemente un concept album sul potere della donna, con annessa trattazione del sesso orale da un punto di vista un po' diverso dal solito, ma di spingersi pure un po' oltre.

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Dicevo, è ovvio che diventare madre ha squadernato davanti agli occhi di Beyoncé la prospettiva che sua figlia, la piccola Blue Ivy Carter, viva in un mondo in cui è possibile che qualche ragazzo le dia gratuitamente della bitch o che subisca una discriminazione di genere, da cui Bey ha deciso che, prima che sua figlia diventi adolescente, la sua onnipotente madre dovrà aver contribuito a dare una virata decisiva all'eguaglianza tra generi.

Dopo anni di sculettamenti in nome della fierezza femminile (a tale proposito ricordo che noi in questa triste penisola abbiamo avuto una campagna pro-cellulite scritta diretta e interpretata da Sandrona Milo), è giunta l'ora di entrare, per Bey, nell'ottica di farsene qualcosa dell'attenzione che la sua notorietà ovviamente scaturisce, di declinarla nel versante più intellettuale. Quindi spostiamo il focus dal culo al mondo della saggistica.

Come prego?

Sì, ho detto saggistica. Già dal suo disco avevamo avuto avvisaglie che la ragazza sarebbe saltata dalla mera rappresentanza musicale a quello dell'impegno vero e proprio: in "Flawless" è campionato un brano tratto dalla TED conference di Chimamanda Ngozi Adichie intitolata We Should All Be Feminists in cui racconta di come sia difficile per una femminista emanciparsi innanzitutto dal fardello di pregiudizio che il termine in sé si porta in groppa. Ovviamente finché si tratta di una conferenza TED il seme è disperso, oramai le TED sono peggio dei Boiler Room.

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Ma qui interviene Bey, che con un semplice siparietto di pochi secondi prende la palla al balzo e dà all'argomento quello che tante femministe non sono riuscite a fare: lo veste di una nuova aura. Nell'immaginario propugnato da Beyoncé il femminismo non riguarda più l'andare contro al maschio dominante, ma stare al suo fianco come una femmina altrettanto dominante—per questo il "superpower" è l'amore, che detta così sembra un'ovvietà, in realtà contiene in nuce un concetto che spazza via il pregiudizio per cui l'affermazione di un genere debba essere per forza in contrasto con l'altro.

La femmina di Queen B è una che ha la piena consapevolezza delle proprie prerogative, limiti e potenzialità ed è completamente donna, non si mette a scimmiottare atteggiamenti maschili, anzi è fiera di dimostrarsi donna, e sono le sue qualità complementari a quelle dell'altro sesso a rendere degna una lotta che non è più quella di parificazione dei ruoli (il femminismo di vecchio stampo è quello che afferma che una donna può fare tutto ciò che può fare un uomo), ma di valorizzazione delle differenze e della loro dignità.

E questo lo specifica nel suo intervento all'interno del saggio "Gender Equality Is a Myth!", contenuto nella pubblicazione A Woman's Nation Pushes Back From The Brink quando dice "Humanity requires both men and women, and we are equally important and need one another." Chiaramente non ci troviamo di fronte a uno scritto di Hannah Arendt e le parole di Bey sono molto semplici, ma è la sua presenza, la sua figura e in parte anche la stessa semplicità con cui sta ripetutamente lanciando questi spunti a rendere efficace la sua presa di posizione.

L'altra grande arma del nuovo femminismo di Beyoncé è che il soggetto non è una donna arrabbiata che brucia il reggiseno e si fa le treccine ai peli delle ascelle mentre brucia immagini falliche, non è una Femen, non è una che tira tampax usati in faccia a signori in giacca e cravatta, modalità di protesta che personalmente ammiro e credo siano (state) fondamentali per reclamare l'eguaglianza di diritti, ma che sono ovviamente facile bersaglio della critica patriarcale più o meno latente, di quella mentalità che dà un'accezione terroristica, sminuisce e sbeffeggia il concetto in sé di femminismo.

Da qui l'inconsistenza delle critiche provenienti dalle donne stesse, per cui "eh ma fa vedere il culo come le altre popstar" o "usa il cognome del marito"—pulciosità sterili che dimostrano come alcune dure e pure del femminismo siano effettivamente la ragione per cui un concetto nobile, nella pratica, sia facilmente disgregato.

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