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Musica

La musica italiana si deve sbarazzare del rock

La cultura alternativa del nostro Paese è ancora troppo legata al rock di quarant'anni fa, ecco perché non siamo in grado di evolvere.

Il nuovo corso del rock italiano. Immagine via.

L'altra sera me ne stavo relativamente tranquilla sul divano in compagnia di una pizza e mi guardavo le repliche di Masterchef, che detto in tutta franchezza credo sia il programma meglio strutturato della TV italiana: intere puntate a parlare del nulla, cioè di cibo, di robe che si consumano in pochi secondi, di cotture, impanature, losangature e tutte quelle altre minchiate che si fanno col cibo, ovvero, ripeto, il nulla sul nulla. Nonostante la vacuità del soggetto, Masterchef riesce ad essere una trasmissione dignitosa per merito del lavoro autoriale e di montaggio, che carica parecchio sui personaggi e sugli intrecci, tanto che in pochi minuti riesce a rendere interessante anche un piatto di fave.

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Se vi chiedeste per quale motivo sto parlando di un programma di cucina su un sito di musica, posso rassicurarvi che la risposta non è il "cuoco rock" Alessandro Borghese, bensì il puro caso che ha fatto in modo che, dopo le repliche di Masterchef, mi cadesse l'occhio su una trasmissione intitolata Vinyl Talk in cui un autodefinito "supergruppo" formato dal chitarrista di Ligabue, il bassista delle Vibrazioni e da Sergio Carnevale, batterista dei Bluvertigo, si concentrano su un autore e un suo brano e ne preparano l'esecuzione. Questa la rivoluzionaria idea dietro al programma: Poggipollini, Carnivale e "Garrincha" suonano una cover. Nelle due puntate che mi è capitato di vedere, la superband esegue cover di Led Zeppelin e Iggy Pop, due cosiddetti mostri sacri del rock, suonati e spiegati bene dai mostri sacri del supergruppo, cui si aggiungono tra gli altri, nel corso del programma, la voce del rock Paola Maugeri e il Carmelo Bene del rock Pierpaolo Capovilla.

Ok, la trasmissione, collegata al lancio della serie Vinyl di Scorsese, riesce a risultare passabile in gran parte grazie alla presenza di Carnevale. Non mi va nemmeno di menzionare la presenza di Capovilla, che in circa un minuto e mezzo di discorso sul rock riesce comunque a scomodare Carmelo Bene.

Il momento esatto in cui Capovilla pronuncia la parola "Carmelobene"

Capovilla a parte, mi chiedevo perché fossi riuscita a inalberarmi a tal punto per soli dieci minuti di trasmissione che tra l'altro ruotavano attorno alla figura di Iggy Pop, che pure apprezzo (e come si fa a non apprezzarlo, è Iggy Pop). Il problema forse però era proprio quello: per quale motivo si decide di investire il gettone-musica-alternativa sempre e solo sul rock? Nel triste panorama delle radio italiane sarà capitato a tutti di cambiare stazione senza sosta per poi arrendersi e decidere che l'unica soluzione a un continuo di pop italiano / hit internazionali / EDM scadente fossero le radio rock. Stessa cosa vale per la televisione: il canale alternativo di MTV si chiama MTV Rocks, oltre a questo sopravvive non si sa come Rock TV e tutti o quasi i documentari di Sky dedicati alla musica sono dedicati a musicisti RUOCK che oramai sono morti o si stanno toccando le palle fortissimo. Oltre agli argomenti trattati, che sono sempre gli stessi, immutabili tipo montagne di cemento sono anche i DJ o VJ Rock che mantengono quel look da cattivi ragazzi anche se di cattivo gli è rimasto solo la prostata, non farò alcun nome ma metterò semplicemente un link qui.

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Ora, non credo che esista un budget decoroso per un programma come quello con la superband, non sono convinta che ci si aspetti che qualcuno se lo guardi, nemmeno che qualcuno ne parli a parte forse chi è sovvenzionato per farlo, e allora per quale motivo non si investono quei soldi in qualcosa che non sia l'ennesima trasmissione in cui gente nata più di quarant'anni fa parla di musica di più di quarant'anni fa? Davvero, cosa ci perderebbero ad affidare un programma, sia esso televisivo o radiofonico, ad autori interessati a parlare di qualcosa che non sia sempre per forza sto cazzo di ROCK? Come se non bastasse, alla staticità granitica dell'argomento si aggiunge lo scarso, per non dire nullo, ricambio generazionale. Tralasciando il fatto che quando parliamo del rock italiano passabile in radio, "sanremabile", parliamo comunque di cantautorato travestito da rock, se dovessi disegnarvi un grafico delle band italiane emerse dall'underground negli ultimi tempi, probabilmente dopo il 2000 non ci sarebbe più nulla di veramente rilevante, considerato che i Verdena, l'ultimo baluardo delle chitarrone in Italia, sono usciti dal guscio nel 1999 (non sto considerando Il Teatro degli Orrori come una grande rock band italiana, senza offesa).

Nel frattempo il mondo girava ancora, mentre noi rimanevamo a far perno, e nel mondo succedevano cose e nascevano fenomeni musicali che le radio italiane e la stampa musicale italiana e i programmi musicali italiani e, salvo rarissimi casi, i grandi palchi italiani, ignoravano. Esistevano l'IDM, la techno, l'house music, purtroppo esisteva anche l'indie e trenta milioni di altri generi, sottogeneri, sottoculture, narrazioni, personaggi, storie e audience che, guarda un po', non sono quella roba mainstream che bleah, ma non sono nemmeno l'unica alternativa al poppettone che conosciamo, ovvero il ROCK.

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Le conseguenze di questo terrore dell'ignoto hanno iniziato a vedersi con la lunga onda dell'ex rock italiano, quello che ora sta a presidiare radio e trasmissioni come quella di cui sopra: per circa quindici anni qui succedevano sempre le stesse cose, mentre in giro esistevano fenomeni del tutto ignorati dai grossi media, cosa che probabilmente ora non succederebbe dato che esiste Internet e in questo momento anche testate di stretto stampo ROCK sembrano accorgersi che non basta più parlare di Led Zeppelin, Nirvana, Pearl Jam e Deep Purple per tener buona la fetta "alternativa" del proprio pubblico.

Con il passare dei decenni, oltretutto, la definizione di rock ha perso completamente di mordente rispetto alle mille diramazioni della musica contemporanea e le sfumature all'interno di questo gigantesco calderone, almeno qui, sono state ignorate per talmente tanto tempo da non esistere più. Oggi il rock è strumentalizzato dalle grandi catene di abbigliamento, che ne prendono i simboli per creare le proprie linee di magliette, e il modo in cui i nostri media lo trattano non è lontano da questa strumentalizzazione. Per dare un'impressione di alternanza al nazionalpopolare si ricorre sempre e solo alla grande narrazione classic-rock, come se non ci fossero alternative a questa alternativa.

Insomma, ci si lagna parecchio dello stato di arretratezza della nostra povera Nazione, se ne lagnano pure i presidenti delle grandi case discografiche, e in molti casi si fa ricadere la colpa sui format televisivi che prendono la musica come occasione per muovere grossi quantitativi di soldi, tipo i talent show o il Festival di Sanremo, in cui sembra che l'evoluzione musicale sia cristallizzata in uno spazio-tempo completamente inattuale e stantìo. Per la precisione, il Festival è accusato di poggiare sui resti dei talent, che a loro volta si poggiano sui resti di quella musica leggera italiana ancora troppo legata al cantautorato sanremese: capite che è un cane che si morde la coda. Nemmeno quando il pop italiano cerca di darsi una spolverata prendendo spunto qua e là da ciò che succede all'estero si riesce a scardinare questa trappola per topi che si stringe alle caviglie della musica italiana.

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Il punto è che le grandi trasmissioni a tema musicale non trattano la musica stessa come fine, ma solo come mezzo per raccattare audience e riempire ore di spettacolo, e non è certo a questi carrozzoni che si deve addossare la colpa per la mancata evoluzione della cultura musicale nel nostro Paese. Probabilmente siamo ancora legati a una certa idea di mecenatismo per cui chi ha per le mani enormi cifre di denaro le debba utilizzarle per promuovere una cultura alta, elitaria, d'avanguardia. La realtà dei fatti è che di solito chi ha la possibilità di gestire quelle cifre deve anche, di conseguenza, far capo a sponsor, telespettatori, copie vendute e così via.

Alcuni giovani.

Per questo mi chiedo se non ci stiamo concentrando sul lato sbagliato del culto musicale mainstream e se non si debba invece far pressione a chiunque millanti di promuovere cultura alternativa e innovazione, mentre sta promuovendo idoli del rock di quarant'anni fa, vent'anni fa, sempre gli stessi, sempre la cultura alternativa che va da Woodstock al grunge, lasso di tempo dopo il quale, ovviamente, pare non sia accaduto nulla. Non me ne voglia il supergruppo e la sua trasmissione se continuo a prenderla come esempio, ma consideriamo un secondo quanti spettatori un programma del genere può raccogliere, a quanti freghi realmente di vedere Capovilla che canta un pezzo di Iggy Pop inframmezzato dalla Maugeri che racconta la vita di Iggy Pop. Non si vede, dai tempi di Brand:New, nessuno scampo a questa supremazia assoluta del vecchio rock all'interno della critica alternativa italiana, e non c'è nessuno in grado di far appassionare il telespettatore ad argomenti che non siano vecchi di cent'anni. Eppure riusciamo ad appassionarci di cucina grazie a format dinamici e ben sceneggiati, è possibile che nessuno riesca a rendere interessanti anche argomenti un po' meno conosciuti? A parità di spesa e senza perdere molto nella resa, le reti potrebbero investire quelle noccioline che mettono in format che riprendono sempre gli stessi argomenti iniziando a mettere sul piatto qualcosa di leggermente diverso, e non dico che si dovrebbero trattare per forza scene sconosciute o l'estremo underground, ma anche solo tirare avanti l'orologio di qualche annetto o uscire dalla comfort zone non sarebbe male.

Per farlo, però, serve innanzitutto avere pazienza e iniziare a introdurre un nuovo linguaggio, nuove grammatiche verbali e musicali, nuovi termini, nomi, verbi e aggettivi che raccontino mondi più attuali. La musica ha sempre accompagnato, scosso e raccontato la vita politica di un Paese, la condizione sociale di alcune frange di popolazione, e più in generale ha sempre puntato a cogliere lo spirito del tempo. Per rimetterci al passo coi tempi, è ora che lasciamo che l'alternativa alla narrazione mainstream sia qualcosa di realmente attuale e vivo.

Segui Virginia su Twitter: @virginia_W_