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Musica

Cosa abbiamo ascoltato davvero questa settimana

Come ogni settimana, ecco un mucchio di roba che dovete assolutamente ascoltare, solo perché lo abbiamo fatto anche noi

Lo sapete bene, qua si piglia un sacco sul serio il lavoro, tanto che certe volte ci sovraccharichiamo di musica di cui vorremmo parlare, roba che finirebe per schiacciare i nostri poveri corpicini sotto il proprio volume, se solo non avessimo questa bella rubrica in cui essenzialmente ognuno scrive quello che vuole. Insomma, la settimana è finita ed ecco un mucchio di roba che dovete assolutamente ascoltare, per il semplice motivo che lo abbiamo fatto anche noi.

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FRANCESCO BIRSA ALESSANDRI

Una settimana un po' pigra e un po' del cacchio, devo ametterlo. La novità che mi ha illuminato di più le giornate è stata il nuovo di Xosar su Opal Tapes, che suona tutto ruvido e sporco e la cassa non sembra una cassa. Bello davvero. Bello è anche il nuovo dei Liturgy, band che ora, per un motivo o l'altro, tutti si vergognano di avere ascoltato. Hanno tradito le aspettative di chiunque, specie dei post-metallari che li vedevano come nuova speranza. Gli alfieri del metallo vero invece li hanno sempre odiati. In barba a tutti, loro se ne sono usciti con un album decisamente originale, fiero di essere bastardo e di accettare input in ogni orifizio. Un atteggiamento che solitamente si premia in tutti gli artisti ma che, chissà perché, in loro pare non poter essere tollerato. Poi c'è anche il solito tritacarne di Beppu, Persuasion che mi stufa meno di quanto mi stufasse il precedente, e anzi a tratti spacca. Poi c'è Pearson Sound con l'LP omonimo, che non mi aspettavo così: psichedelico e raveggiante, ma monolitico e pure solenne a tratti, simile alle ricerche menemoniriche di Lee Gamble, di quando esplora i passaggi l'entrata e uscita di fase dell'endorfina nel cervello. L'unica entrata davvero nuova sono stati un gruppo di pazzi di Manchester di nome Cerberus Future Technologies, che fanno acid techno a cazzo di cane con di mezzo roba noise brutta e stranezze varie. Comunque parte della settimana l'ho passata anche studiando lavori di Terre Thaemlitz come Tranquilizer, e facendomi colonne sonore per tremendi viaggi in autobus notturni (tipo Two Dogs In a House, Shit And Shine o quella manata del disco dei The Body con The Haxan Cloak). In realtà, a pensarci bene davvero, gran parte della settimana l'ho passata ad asocltare uno dei miei grandissimi amori d'infanzia, cioè gli Oxbow. Non c'è un loro disco che mi dilanii dentro meno degli altri, però a sto giro mi sono concentrato molto su Serenade In Red, quello con l'ospitata di Marienne Faithfull. Perché non siano strafamosi in tutto il mondo, non me lo spiegherò mai….

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MATTIA COSTIOLI

Questa settimana, nonostante Kendrick Lamar e Earl Sweatshirt (mi riservo di parlarne tra due righe), la prima pagina del mio cuore è soltanto per Cuushe. Se state leggendo queste righe (davvero, le state leggendo?) allora vi interesserà anche la première di Cuushe, a cui ho fatto anche qualche domanda. La parte migliore ho deciso di riservarla solo a voi impavidi che leggete questa rubrica ed è la mail in cui mi ha chiesto cosa significhi “grammaticalmente disgraziati scampi”. È nouvelle cousine, ecco cosa significa.
All’esterno della mia sfera emotiva personale, la musica che mi ha portato più tempo ed energia l’ha composta senz’altro Kendrick Lamar, e immagino che per digerire il suo disco ci vorrà un bel po’ di tempo. Non sto a linkarvi disco e tracce perché sarebbe davvero stucchevole, quello che mi colpisce è la possibile di realizzare un prodotto che è un successo planetario, nel senso più commerciale del termine, senza avere nemmeno un singolo che possa andare in radio, né la velleità di andarci. Quindi forse sì, un’alternativa a Radio Italia, per ridurla ai minimi termini, esiste.
L’altro pezzo grosso di cuore di questa settimana è dedicato a Earl Sweatshirt e, ora che ho anche imparato la pronuncia perfetta del suo congnome (che è Felpa, letto proprio così come si scrive) posso dire che è il mio rapper preferito, quindi spero che gli sia riuscito di comporre qualcosa di ugualmente struggente a “Chum”.
Dalle nostre parti è uscita l’anteprima del nuovo disco di Yakamoto Kotzuga, che è una vera perla e potrete ascoltare dal 24 marzo. Yakamoto ci realizzerà presto un mixtape a tema sarà palestre comunali in cui il giovedì sera ci sono i corsi di ballo latino-americano.
L’altro disco che questa settimana ho piacevolmente riscoperto è Mean Love dell’inglese trapiantato a Brooklyn, ma di origini sudanesi Sinkane. Fa un pop estremamente rilassante ed è riuscito pure a farmi passare la delusione procuratami da questa eclissi, la title-track è anche il mio brano preferito. Settimana prossima suonerà al Biko, ma ho anche un paio di biglietti da regalarvi quindi ne riparliamo più avanti.

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SONIA GARCIA

Domenica pomeriggio sono andata dal buon Ghedalia Tazartes che avevo già visto al Terraforma lo scorso giugno, e da cui mi ero pure fatta sgridare perché parlavo (ingiustamente, la voce era bassissima). Ad ogni modo, concerto disteso, sereno, la perfetta purificazione domenicale di cui avevo bisogno.
Poi che altro è successo? Ah minchia, Kendrick Lamar. È stato già tutto scritto qui e se sono rimasta a bocca aperta pure io, vuol dire che è davvero accaduto un miracolo. Tra lunedì e martedì ho ascoltato tutta la sua discografia, ma tutta nel senso tutta, anche se devo dire, non sono stata tra i nove milioni e sei ad essersi pompati To Pimp A Butterfly su Spotify perché non lo uso. Ripresa dallo svarione Kendrick ho voluto dare una possibilità a Killawatt e al suo nuovo LP, la cui componente tamarra ha purtroppo battuto quella carina/accettabile, quindi possibilità sprecata. Ho rinvenuto alcune psichedelicate che invece si sono rivelate assai più appaganti: Drowning in the Sky di Yuzo Iwata, praticamente una specie di Eno giapponese che fa ballate psych/garage calde e benevole; i Khfiva, usciti per Male Activity, il cui ambient mi ha trascinato lontanissimo dalla terra, e, dato che l’ultimo degli OvO mi ha aperto la testa, mi sono spulciata le vecchie release No=Fi e ho trovato Dan Melchior con All At Sea. Ah giusto, mi è piaciuta di brutto pure la cassetta dei Blood Bright Star/Obsidian Towers, bella tetra e melmosa, uscita per Constellation Tatsu, etichetta che mi sono riproposta di tenere d’occhio.
L’altro giorno è uscita l’intervista ad Ariel Kalma e, tanto per non fermarmi con la botta da space music, mi sono fatta passare dell’ottima musica dal mio ex, perché va riconosciuto che ha dei gran bei gusti della madonna.

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I Burning Star Core, ad esempio, non li conoscevo e si sono sposati perfettamente con l’emorragia psichedelica del momento, così come quel capolavoro tantrico di Well Oiled degli Hash Jar Tempo. Vietato averlo conosciuto prima, chiaramente. Poi c’erano i lugubrissimi Black Tape For A Blue Girl, che non sarebbero stati niente male, se non fosse per l’ostentata atmosfera dark goth/neofolk, facilmente dissolvibili nella sfiga. Mi ha salvato solo Dälek, e tutti i suoi viaggi cervellotici nello sventramento dell’hip hop, con From Filthy Tongue of Gods and Griots e Absence. Tutto brutto, dai.

VIRGINIA W. RICCI

Cose che ho ascoltato e comprato questa settimana: scopro solo ora le playlist di Jakarta Records e questo comporta che A mi innamoro e B praticamente ascolto solo quelle da sette giorni a questa parte. Oltre alla loro ultima compila che è in free download qui ci sono due playlist in particolare che mi hanno fatto amare questa label di sede in terra teutonica ma dal cuore ovviamente black, come il mio. Tutta la settimana che impazzisco dietro a questo mix assemblato da Jannis Stürtz (uno dei fondatori di Jakarta Records) con vinili arabi anni Sessanta/Settanta:

PARTE 1:

PARTE 2:

Poi: è uscito il nuovo disco di Panoram, producer spaziale di Roma che conoscevo già per il suo debut, di un annetto fa, Everyone is a Door (molto attuale perché la copertina è un’eclissi)
Il nuovo lavoro si chiama Background Story ed è dolce, inquietante, irreale, alieno e mi è piaciuto un sacco per tutti questi motivi.
Non c’è bisogno di dire che ho ascoltato Kendrick Lamar, anche se sto aspettando IL NUOVO DI FRANK OCEAN, CAZZOO, l’unico disco per cui sono davvero in attesa frenetica da fan e che, se sarà una merda, posso chiudere definitivamente con la musica. Intanto ovviamente ho riascoltato tipo 3000 volte Channel Orange, ma questo lo faccio ogni settimana. Ho riascoltato tantissimo IOSONOUNCANE e le ultime uscite Boring Machines, ho ascoltato anche Current 93 e arrivata qui mi sono messa a piangere. Per tornare allegra mi sono data al rock californiano, ho ascoltato White Fence, il progetto di Tim Presley, l’amico magro di Ty Segall. Ho comprato tutti i dischi di Ian William Craig, in particolare qui c’è A Turn Of Breath, album che si chiama come una raccolta di poesie di Paul Celan, il mio poeta preferito. Per finire, fate un giro nel Bandcamp di Panabrite e comprate tutte le sue produzioni, se come me vi piace turn off your mind, relax and float downstream. L’ultimo lavoro, Disintegrating Landscape, è un continuum di 45 minuti che diventa una coperta di suoni e quando finisce ti lascia intorpidito come appena sveglio.