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Musica

Portare la dance music in Afghanistan è un'impresa impossibile

Il producer Shuja Rabbani ci racconta la lotta dei musicisti afghani per ampliare gli orizzonti culturali del loro Paese.

Il 5 agosto del 2013, nel momento in cui le truppe americane si ritiravano dall'Afghanistan, la città di Bamiyan ha ospitato una festa lunga quattro ore in cui si sono esibiti giovani artisti afghani, con il supporto delle Nazioni Unite. Per secoli, Bamyan è stato un posto famoso per le sue enormi statue del Buddha, che un tempo erano le più alte del mondo, scavate nella roccia alle pendici della città. Quando si tenne il Bamyan Music Festival, però, purtroppo erano già state ridotte in poltiglia dai bombardamenti del 2001 ad opera dei talebani, che le ritenevano idolatria.

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Ora, dodici anni dopo la distruzione dei Buddha, migliaia di persone si sono radunate sotto alle loro ceneri per una giornata di musica e festeggiamenti. Un enorme palco adornato di luci al LED era stato montato all'aperto, dal quale il sound system pompava musica rock, pop, hip-hop, insieme a sonorità afghane tradizionali, e il tutto si espandeva nell'aria da quei muri di pietra fino alla terra fertile. C'era solo una cosa strana in tutto quel contesto: tra un concerto e l'altro non c'era musica.

Quando l'organizzatore Basir Hamid iniziò a parlare del festival su Twitter, Shuja Rabbani, un producer di musica elettronica, prese la palla al balzo per dire la sua: "Sembra tutto fighissimo, ma dov'è il DJ?" Passano due anni, e Rabbani ancora si chiede la stessa cosa: "In Afghanistan non sanno cos'è un DJ," mi dice quando lo becco su Skype. "Non sanno nemmeno che si può far musica mettendo insieme sample. Ed è qui che voglio intervenire io."

Rabbani ha 35 anni ed al momento fa un lavoro d'ufficio che lo impegna a tempo pieno, ma in realtà lui si considera un producer e un blogger politico. È diglio dell'ex presidente dell'Afghanistan Burhanuddin Rabbani, assassinato nel 2011 nella sua residenza da bombardieri suicidi talebani. Suo fratello è l'attuale ministro per gli affari esteri afghano. La relazione di Rabbani con la sua famiglia non è semplice: quando parliamo di come ha lasciato il suo Paese per andare in giro per il mondo diventa parco di parole, e mi chiede di limitare al minimo i riferimenti alla sua famiglia—meglio concentrarsi sulla musica. "Da dove vengo non è un segreto, ma non voglio certo approfittarne," mi scrive. "Penso di non essermi guadagnato mai nulla in maniera facile, non mi è arrivato niente gratis, ed è per questo che parlo di mio padre soltanto in rare occasioni, su blog che trattano di politica." Anziché proseguire la carriera dei suoi, Rabbani ha scelto di intraprendere la sua crociata personale: portare l'EDM a uno Stato in cui non solo è assente la scena elettronica, ma, a quanto dice Rabbani stesso, impaurito da quella musica.

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Poco tempo fa il producer afghano ha pubblicato l'LP Alpha Male sulla propria label, Rabbani Records. Il lavoro è collocabile da qualche parte tra EDM e dubstep, con qualche incursione di musica indiana: vedrei bene suonato Alpha Male in un club di Mumbai. Mentre però in India, così come in Pakistan, c'è una club culture interessante, Kabul è una città in cui i club attuali sono aleatori, rari e nascosti in zone di sicurezza all'interno del distretto diplomatico di Kabul. L'ansia della sicurezza è diretta conseguenza del terrore di attacchi talebani, che si sono sempre opposti alla musica popolare o non-religiosa. Nel 2012, 15 uomini e 2 donne sono stati decapitati da militanti talebani che li avevano sorpresi mentre ballavano ad una festa. Lo scorso luglio, un musicista di nome Ahmad Sarmast è stato mutilato da un attacco kamikaze talebano durante una performance dell'Afghanistan Symphony Orchestra.

Questa violenta opposizione all'obiettivo che Rabbani sta tentando di raggiungere dà a tutta la sua battaglia un sapore donchisciottesco. Se la musica elettronica non inizia a farsi strada in Afghanistan, come potrà mai essere considerato sicuro suonarla o ballarla? Rabbani, dal canto suo, non ha mai suonato live. "Ecco, questo è il mio prossimo obiettivo," mi dice: "fare in modo di suonare dal vivo." Per ora, in ogni caso, il producer sta lavorando sul suo live da lontano: è al sicuro negli Emirati Arabi Uniti, in un luogo a miglia e miglia di distanza dal suo Afghanistan.

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A dire la verità, lo stile dell'album di Rabbani Alpha Male è calzante per il panorama di Dubai, piuttosto che per le strade trafficate e strette di Kabul. "Il mio lavoro non è influenzato dalla musica afghana," racconta Rabbani ridendo, ammettendo di aver declinato ogni offerta per remixare musica Rabab, un genere tradizionale che ruota attorno allo strumento a corde da cui prende nome. Dice che la musica indiana, piuttosto, è da considerarsi un punto di partenza innegabile per i suoi lavori, tanto che alcuni passaggi suonano come un musical di Bollywood composto da David Guetta. "Adoro la musica indiana," mi dice raccontandomi di quanto sia forte l'influenza dello Stato indiano, uno dei maggiori fornitori di aiuti umanitari, sull'Afghanistan. "Gli afghani si rendono conto al 100% di come stanno le cose nell'industria della creatività indiana. Se la dance culture esplodesse in India, non ci vorrebbe molto per portarla anche in Afghanistan."

Per ora il compito di portare la club culture nel suo Paese è stata una battaglia in solitario per Rabbani, e anche se i social network l'hanno aiutato sa che ci vorrà più di una hit per avere un impatto nella realtà da cui proviene. "La nostra cultura contemporanea è inesistente," mi racconta. Come esempio mi cita la scena di rapper afghani di stanza a Berlino—Slaimon, sadiQ e Kaliban sono artisti che potete ascoltarvi se fate un giro su YouTube—che non trovano nessuno disposto ad ascoltarli a Kabul. "Il pubblico generalista," mi dice, "mantiene i suoi gusti tradizionali, che corrono in direzione opposta a quanto succede in Occidente, alle influenze occidentali che necessariamente arrivano, soprattutto portate dagli espatriati afghani." Gli show televisivi come Afghan Star (un programma ispirato al format di American Idol) e The Voice Afghanistan vedono concorrenti che portano sul palco canzoni tradizionali suonate con strumenti tradizionali. "E non c'è niente di male in questo," mi dice Rabbani, "ma credo che ci debba essere un'urgenza artistica di uscire dai quei confini."

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È sempre più evidente che i musicisti facciano leva su forme d'arte occidentali—in particolare sul rap—per dar nuova linfa alle tradizioni sonore afghane e ispirare un senso di partecipazione politica ai giovani. Un'artista che è riuscita a raggiungere fama internazionale è la rapper Sonita Alizadeh, che nel 2014 aveva pubblicato un video in cui rappava vestita da sposa, denunciando i tentativi della sua famiglia di costringerla a un matrimonio combinato. Il video è andato virale in poco tempo, e come risultato Alizadeh ha guadagnato una borsa di studio per studiare musica negli Stati Uniti. Le donne che fanno rap sono state forse le più fortunate all'interno della nuova scena musicale afghana: oltre ad Alizadeh ci sono anche Soosan Firooz e Paradise che usano l'hip-hop per parlare dei propri diritti.

Al telefono chiedo a Rabbani se la sua missione per portare la musica dance in Afghanistan sia in qualche modo un'azione politica. "Non particolarmente," mi risponde, "anche se i temi politici trovano sempre il modo di infilarsi nel mio lavoro." Mi parla di quando durante le elezioni del 2014—che lui chiama "selezioni"—fece uscire una traccia in cui si prendeva gioco dei candidati inserendo pezzi dei loro discorsi nel pezzo. I suoi album oltretutto possono essere letti anche come un tentativo per smantellare le pesanti barriere di genere che pesano molto sulla cultura afghana: Rabbani sovverte tematiche come l'iper-mascolinità affiancandole a movimenti estetici più puramente femminili. Sulla copertina del suo album Alpha Male c'è una donna afghana che porta una rosa nella canna di un fucile. Le tracce, al contrario, hanno titoli machisti in maniera iperbolica, come "Warlordick," "Sextremist," e "Snitch Bitch." Rabbani racconta che gli piace giocare con le dicotomie inventate dai media: "La società afghana è giudicata in base a come i media la ritraggono," mi dice. "Ho voluto per l'album una copertina femminile e tematiche da macho, per sottolineare che nessuno di questi stereotipi riflette veramente il modo di pensarla delle nuove generazioni."

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La relazione di Rabbani con i media è complessa: il suo nome è molto riconoscibile, e questa è un'arma a doppio taglio. "Vengo sempre giudicato dal mio cognome," mi dice. "E cerco di far capire che sono Shuja prima di essere Rabbani. Il mio cognome però è legato a doppio filo ad una figura politica molto importante, quindi per me è complicatissimo scindere le cose." Nonostante la sua frustrazione, Rabbani è fiero di aver raccolto un po' di successo sui social. "Mi seguono figure politiche, persone del mondo dello spettacolo," mi dice Rabbani con un tono leggermente sarcastico. Il suo ultimo video, per il singolo "Prisoner Of My Dance Floor," un pastiche di angeli, diavoli, teschi e animali 3D, è uscito lo scorso mese e, mentre sto scrivendo, ha raggiunto circa 30.000 visualizzazioni su YouTube. Quando non si occupa di rispondere ai suoi 300K follower su Twitter, o di scrivere sul suo blog, la sua attività è la promozione dell' hasthag #EDMA (EDM Afghanistan). A volte spinge solo l'hashtag e ottiene robe come 2000 retweet. Chiaramente c'è qualcun altro là fuori che sente le sue stesse esigenze.

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Nel suo CV, Rabbani dice che la sua label è la "prima etichetta discografica fondata da un afghano." "Prima di fondare Rabbani Records, facendo le mie ricerche mi rendevo conto che non c'era nemmeno un artista afghano sulle grosse piattaforme musicali, come iTunes, Google Play o Beatport. Ci sono grandi artisti afghani che non fanno nulla per arrivare al resto del mondo. È più facile scaricare la loro musica illegalmente sui siti di torrent." Al momento Rabbani è l'unico artista della sua label, anche se lancia in continuazione messaggi ai musicisti afghani tentando di comunicare l'estetica della label. Non è semplice avviare questo processo, comunque. Si ricorda di aver letto che i Kabul Dreams—"la più grande rock band afghana post-9/11," non avessero etichetta. "Volevo dar loro una mano, ma i generi che facciamo sono totalmente differenti."

Rabbani sa bene che il suo sogno di portare una scena EDM a Kabul non si realizzerà da un giorno all'altro. La musica elettronica non è nemmeno una cosa così diffusa in Afghanistan, un Paese in cui meno del 50% degli abitanti ha accesso a Internet. "Ho un vantaggio su gran parte dei miei compaesani," mi racconta, ricordandosi del suo primo computer e dei programmi di musica che ha avuto la fortuna di poter usare. "Ma mi rendo anche conto che questo vantaggio ora si può estendere ad altri, dato che le tecnologie sono a disposizione di molti più giovani, rispetto a quando sono cresciuto io."

E se band come i Kabul Dreams, rapper come Sonita Alizadeh e producer come Shuja Rabbani stanno a simbolo di qualcosa, è probabile che la prossima generazione di musicisti afghani sia più avvantaggiata ad esprimersi con mezzi moderni. Rabbani guarda ai cambiamenti nella situazione musicale del suo Paese anche con un certo senso d'orgoglio, che lo porta a voler insistere nella sua battaglia: "Voglio spianare la strada ad altri, con quello che faccio," mi dice alla fine della nostra conversazione. "E lo farò ispirandoli con la mia musica o portandoli ad un'audience mondiale. Ecco come vorrei portare il cambiamento in Afghanistan."

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