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Musica

Saluti da Hackney

Era il tetro quartiere di Throbbing Gristle, dove Chris Carter & Cosey Fannny Tutti hanno mosso i primi passi. Oggi torniamo da quelle parti con Carter Tutti Void.

“C’era ancora un sacco di antagonismo… sembrerà esagerato ma… dal dopoguerra! C’era ancora un sacco di gente che aveva fatto parte delle camicie brune, anche il custode del parco” sono le parole con cui nel documentario di BBC4 Synth Britannia Cosey Fanny Tutti descrive la Martello Street della metà degli anni Settanta. A quei tempi, mentre i primi vagiti punk stavano iniziando (metaforicamente) a incendiare king’s road e le tensioni razziali (letteralmente) quelle di Portobello, lei e suo marito Chris Carter atttraversavano il quartiere solo per chiudersi tra le mura della Death Factory, studio, casa e nascondiglio dei Throbbing Gristle.

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Non è retorica, ma pura verità: Hackney è il quartiere in cui è nata la musica industriale: è tra quelle mura che gli (oggi) coniugi lavoravano con Genesis P-Orridge e Peter Christopherson alle fondamenta di un’estetica che riprendeva lo scarto, l’eccesso e la violenza della società contemporanea per riformularle in qualcosa che servisse proprio a resistere a tutto questo. Erano a arrivati lì in momenti diversi: Cosey insieme a Gen quando ancora erano una coppia, nell’ultimo periodo dell’esistenza di Coum Transmission, il collettivo di performance art da cui poi sarebbe nata la band. Chris iniziò a bazzicare quelle parti molto più tardi, quando cioè era già nato il progetto di trasformare Coum in una “band” multimediale dedita all’anti-musica.

Il suo apporto fu fondamentale: nel 1975 il modo migliore per criticare il rock’n’roll e le forme convenzionali era quello di buttare via tutte le chitarre e fare iniziare a produrre rumore ripetitivo il più lontano possibile dagli stilemi del pop, qualcosa che non si limitasse a protestare contro l’estetica e le ritmiche della vita postmoderna, ma che li riproducesse all’interno di una lente deformante, trasformandone la violenza oppressiva nel suo esatto opposto. Era la industrial music: un suoni ripetitivo e che da aggressivo si poteva trasformare in un assoluto elettronico, correlato di un immaginario estremo che, lungi dall’estetizzare e godere della sua stessa crudeltà, riportava la realtà nella sua assoluta bruttezza, allo scopo di generare forme trasversali. di reazione.

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A riguardare le foto d’epoca, non si potrebbe pensare scenario migliore per il terrorismo dei TG: uniforme e squallido, grigio, opprimente. Tra le officine e i garage e il clangore dei treni che passano a ogni minuto, Genesis e soci passeggiavano per Hackney convinti di stare solo producendo un ritratto della realtà che li circondava. Tutto era nato lì, compresa la durissima estetica della “fabbrica di morte”, che, oltre al nome della loro casa era anche la tenera allegoria con cui i nostri raccontavano il mondo postmoderno. Nonostante i London Fields comincino proprio a lato di Martello Street, infatti, la prospettiva che l’architettura del quartiere generava era claustrofobica e alienante, una catena di montaggio residenziale in cui si ritrovavano a convivere—non senza tensioni—svariate frange del proletariato e del sottoproletariato, outsider di vario genere, immigrati e travellers.

Se da una parte c’era, appunto, chi come i Throbbing Gristle se ne stava chiuso in fabbrica a produrre suoni di resistenza, dall’altra ad Hackney il National Front faceva il record della densità di voti per km quadrato, sfruttando quelle tensioni per caricarle ulteriormente. “Era tetro, a dir poco” dice Chris, e non doveva aiutare la consapevolezza che molti dei palazzi della zona avessero gettato le proprie fondamenta sopra ai Plague Pits, le fosse comuni sorte durante la peste del 1665 in quella che ai tempi doveva essere una brulla zona di campagna. Il sotterraneo della Death Factory stava allo stesso livello di penetrazione del terreno, il che contribuì al cupissimo nome dell’edificio.

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Per tutti gli anni Ottanta e Novanta, però, un certo tipo di tensioni sono andate attenuandosi, con i conservatori che andavano via via sparendo per fare posto a una quantità sempre crescente di immigrati, diventando un ennesima manifestazione di quella varietà culturale per cui Londra era all’avanguardia. Allo stesso tempo, nuove tensioni sono arrivate: le famigerate rivolte del 2011 hanno visto in Hackney uno dei quartieri più colpiti: macchine date alle fiamme e negozi saccheggiati per giorni, nel contesto di un’esplosione di rabbia le cui cause furono decisamente male interpretate da chi di dovere.

Nel frattempo era cambiata anche la musica di Chris & Cosey: sciolti i TG nel 1980, il duo si era messo in proprio e aveva lasciato il quartiere. Anche loro erano diventati più mutliculturali, più aperti. Puntando anzitutto su un suono decisamente più ballabile, nel suono dei loro lavori anni Ottanta si sente la volontà di lasciar respirare le influenze dub, e le poliritmie afro-cubane in versione robotizzata che li avrebbero resi pionieri di tutta la musica dance che conosciamo oggi, dalla acid house in giù. Ma la tensione di martello Street non li ha mai abbandonati: ha fatto sì che, per quante sembianze sexy e godereccie potesse prendere, il loro sound non perdesse mai gli spigoli, che restasse denso e pericoloso, psichedelico al buio. Da lì sono seguiti mille altri progetti, collaborazioni, la reunion dei Throbbing Gristle e il definitivo nuovo scioglimento dopo l’abbandono di Genesis P-Orridge e la morte di Peter Christopherson. Ultimamente hanno deciso di nuovo di mutare pelle, e invertire la sigla: lasciati i nomi per i cognomi (Carter Tutti), i due coniugi hanno deciso di tornare a un suono più sperimentale e rumoroso, senza assolutamente disimparare tutte le lezioni assimilate in questi anni.

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Ma Hackney, come si è detto, non la vedono più: si sono trasferiti in campagna, lontani dal rumore e dalla pressione della meccanica urbana. Nel frattempo Hackney cambiava ancora una volta, recuperando un nuovo tipo di tensioni, stavolta più subdole e strane. La gentrification che ha colpito praticamente tutta East London è ora arrivata anche qui, creando strani paradossi: da una parte le condizioni economiche che ne hanno sempre determinato l’atmosfera stanno, come si è visto, ancora una volta degenerando, e non è detto che non diano vita a ulteriori disordini. Dall’altro, la solita alleanza di speculatori e ragazzini ricchi sta facendo leva sulla popolazione “tradizionale” per cacciarla dal proprio quartiere e aprire altre caffetterie. Sono in molti a cercare di arginare quasto problema, battendosi perché chi ha fatto vivere il quartiere per tanti anni non venga spinto ai confini del disagio. Tensioni, ancora tensioni.

Anche la musica dei Factory Floor è tesa, nervosa, frenetica: a differenza dei Throbbing Gristle, loro hanno sempre fatto uso di percussioni autentiche e beat “umani”, incanalando quella stessa inquietudine tribale post-moderna in una specie di moto aerobico-psichedelico. L’ultimo, omonimo album della band è stato registrato in uno spazio molto simile alla Death Factory: un grosso casermone industriale (a East London, dove se no?) in via di demolizione, un ambiente pieno di suggestioni e riverberi che potesse dialogare bene con il loro suono. Anche il modo in cui lo hanno composto è assolutamente figlio de Throbbing Gristle: lunghe improvvisazioni intorno a groove ripetitivi, lasciandosi rapire e catturare per poi editare i risultati remixandone le tracce. Ma se il suono dei Throbbing Gristle era puro realismo, quello dei Factory Floor è pura evasione, fuga psichedelica in un tunnel onirico.

Questo non ha impedito a Nik Void, fondatrice e chitarrista dei Factory Floor, di unirsi a Carter Tutti per una serie di live e di dischi: col nome di Carter Tutti Void i tre hanno realizzato ora un nuovo album di nome F=(x). Gli ingredienti li potete immaginare: poliritimie, rumore, loop psichedelici ed echi metallici. L’andamento non è frenetico ma ipnotico, e regna sovrana la tensione: quella stessa che si sentiva per le strade di Hackney e che ancora oggi rende l’Inghilterra il paese strano e contraddittorio che è. Il prossimo live italiano del trio sarà a #C2C15. Non vogliamo perdercelo perché ci teniamo a sentire i clangori industriali di East London rieccheggiare con quelli di Torino.

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