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Musica

Il mio amore per i rave è nato in una stalla

Un fienile, un impianto da 15mila Watt e un prato gigantesco. Quel posto mi ha insegnato tutto quello che so dei rave, cose che a Londra nemmeno si sognano.

Trasferirsi da un garage della Londra più umida all'autentica culla della cultura della musica elettronica che era Ipswich a metà anni Novanta non è stato esattamente l'innalzamento culturale a cui avrei potuto ambire. C'è da dire che da piccolo mi piacevano gli U2 e i Queen e al momento del mio trasloco a circa ottanta miglia dalla A12, una delle autostrade inglesi più importanti, dovevo ancora scoprire la magia delle casse, degli acetati e dei ritmi ossessivi, combinati all'ecstasy più scrauso della zona e all'erba di mia sorella maggiore.

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Ipswich era ed è tutt'ora, il capoluogo del Suffolk; un posto che gli stessi urbanisti si sono impegnati a progettare malissimo, con trovate ingegnose come l'Hollywood club a pochi passi da una pittoresca stazione dei treni, un megastore Staples di fronte alla strada, un negozio di abbigliamento BHS dentro un edificio classificato come patrimonio architettonico nazionale e infine un negozio di dischi trasandato e pronto per essere taccheggiato. Una volta raggiunta la pubertà e l'inevitabile abitudine al consumo massivo di erba, i miei gusti passarono dall'indie alla jungle, forse anche per aver assistito ad una performance di DJ Slipmatt a un evento per under 16 svoltosi nella struttura adibita al commercio del mais: un concentrato di teenager intenti a farsi l'uno con l'altro sconquassati da nubi di ormoni con in sottofondo il vociare di mia sorella su qualche festa al Sidewinder o l'AWOL. Ascoltavamo avidamente le compilation jungle su cassetta e rubavamo pacchi interi di nastri… Nella mia mente di teenager cominciava a palesarsi l'idea di partecipare a un rave.

Sfortunatamente, l'anno in cui ero finalmente cresciuto abbastanza da poter sembrare un diciottenne fu proprio quello in cui l'Hollywood cambiò gestione e fu convertito in un posto sudicio per celenterati con camicie di Ben Sherman. Il nome del posto era Kartouche. Il Kartouche divenne presto famoso per avere dei buttafuori capaci di picchiare a morte qualcuno, come accadde in un episodio. Nonostante la presenza del nostro apparentemente sterile gruppo, il locale conteneva quasi esclusivamente un'accozzaglia di rincoglioniti sbronzi dai 18 ai 48 anni e "celebrità" locali come Titus Bramble o l'attaccante della nazionale under 21 Kieran Dryer. Il Pub Brannigan dietro l'angolo offriva invece uno spazio pieno di neon per "Mangiare, Bere & Rotolare dal ridere", ma era più un luogo in cui la generazione precedente alla mia si ritrovava per stare al riparo dai cazzotti dei buttafuori. Da non sottovalutare la sua considerevole politica musicale incentrata sui remix di Shania Twain ed "Ecstasy," l'epico inno di ATB.

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Bisogna però rendere onore al merito ad Ipswich: è la città che ha visto nascere il negozio quasi leggendario della Red Eye Records a Eagle Street, la Certificate 18 Records, il leggendario batterista d'n'b degli Stupids Klute (con cui ho fieramente condiviso la scuola—sebbene in epoche totalmente differenti), e ho persino giocato a casa nientemeno che di Photek, la star di Metalheadz e ora collaboratore dei Daft Punk. Insomma, la crescente scena dance vantava una modesta presenza, anche se le serate decenti erano sempre poche e distanti. All'epoca dei miei sedici anni ero disperato perché la maggior parte delle richieste ai dj le facevo dentro alla mia testa in party immaginari, e gli album crossover jungle di Goldie e Roni Size non facevano nulla per indebolire questi sogni intossicati.

Fu così che nell'estate del '99, dopo aver sperimentato un club del posto chiamato Essence (tipe che smascellano in reggiseno e occhiali Nike, per terra solo tappi di bottiglia d'acqua, finestre chiuse, due enormi ventilatori e un pizzico di droghe di prima scelta), una parte di noi si diresse ad una fattoria del Suffolk di proprietà di un mio vecchio compagno di scuola. Quel posto sarebbe diventato da lì a poco uno dei luoghi più importanti della mia gioventù. L'evento era il Grinchout e consisteva in due immensi spazi vuoti ricavati nei fienili sulle rive del fiume Orwell, un impianto da 15mila Watt e un prato gigantesco fatto apposta per bere stranezze e dedicarsi a congressi sessuali, ai vertici c'era un gruppo di ragazzi più grandi di me che mi apparivano come veri e propri veterani della scena jungle. In sostanza era la cazzo di festa più vicina al concetto che avevo di festa e ora mi trovavo finalmente lì.

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Anche se ho evitato abilmente le fasi hip hop, funk e da porchettaro, devo però aver fatto del mio meglio per sfasciarmi il più possibile, giusto in tempo per strusciarmi con la mia fidanzata in un campo umido nonostante un gruppo di amici stesse giocando a girare più veloce possibile intorno ai nostri corpicini ingrifati a bordo una Ford Escort (e forse così facendo hanno rovinato la festa a tutti con rumori molesti). Era il tipo di evento che viene frequentato da soli giovani, con pochi o nessun adulto sul posto che abbia responsabilità o abbia vissuto per più di due decenni. Ciò che i ragazzi facevano fuori dalle strutture è divenuto tanto leggendario nella mia mente quanto l'atmosfera rave in cui il tutto era immerso.

Con gli anni, le varie storie su questi rave sono state ricordate, ripetute e abbellite fino ad includere: consumo intensivo di assenzio, mangiare vespe vive, sonnambulismo, divorare patate crude dalla terra di un campo adiacente, giochi come la "rappresaglia d'acqua bollente", uno sfortunato partecipante lasciato per tutta la sera nella benna sollevata di un escavatore, un raver che caga sulla strada, una macchina che si pianta dentro un muro di mattoni… insomma ci siamo capiti. Il consumo di droghe di serie A non ha mai fatto nulla per frenare la nostra indole distruttiva nei confonti di noi stessi e degli altri, per questo è da considerarsi un miracolo che di fatto nessuno sia mai morto per una festa nelle campagne del Suffolk (o nel rientro a casa completamente impasticcati). AH, ho rotto uno zigomo a mia sorella durante un episodio di trampolino sotto ecstasy, ma la colpa era sua.

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Ad ogni modo, è stata la combinazione di musica e atmosfera che per me ha costituito la vera magia. Il ricordo delle sudate attraverso la maglietta della Rawkus Records per via dell'ascolto su un VERO IMPIANTO di tracce come "Special Treat" di DJ Die mi è rimasto finché l'abitudine da teenager di fumare erba non giunse anche essa ad una fine. "Wormhole" di Ed Rush & Optical o "Junglist" dei Rebel MC's erano classiconi che avevo sempre ascoltato su nastro in varie compilation, ma non avevo mai sperimentato le vibrazioni di queste traccione sparate da un impianto tra quattro mura—e posso assicurare che era una sensazione senza pari né precedenti. Era una questione strettamente di basse frequenze, con gli MC Brockman & Bias o Mandray e Boomer che, ogni weekend, mostravano a tutti che i rave del Suffolk non avevano nulla da invidiare a quelli della grande città ad un'ora di macchina verso sud (il commento di tutti, di solito era: che festa della madonna, cazzo!)

Questi erano i miei primi approcci con l'esperienza rave, la mia introduzione ad un mondo che mi ha sempre attratto e che avrebbe poi continuato a farlo. Avendo preso parte ad eventi club negli ultimi 15 anni in qualità di raver, lavoratore, DJ o promoter, posso riassumere ogni ricordo con l'immagine di gente che balla drum 'n' bass della Full Cycle dentro ad un fienile nel Suffolk. Erano le storie, come quella del dj alla prima ed ultima data al Blue Note di Londra che si è messo a suonare Grooverider pur di non vedere i propri molari frantumati nella polvere, ad essere diventate la vera e propria valuta sociale. Così come lo erano gli argomenti cruciali di discussione quali l'approccio singolare che aveva MC Bassman con il microfono (e ad essere onesti anche con le donne) o, soprattutto, tutte quelle raccontate nei sedili posteriori della Vauxhall Nova di qualcuno mentre ci si dirigeva verso una luccicante alba sotto MDMA. Queste esperienze uniche sono ben differenti da quelle avute quando sono tornato nella capitale.

Guardando indietro, la mia memoria ha trasformato l'intera esperienza in qualche forma di utopia rave. Cosa ridicola, considerando che cosa fosse realmente. Il ricordo di dormire su qualcuno strafatto di mille pasticconi, o provare a parlare alla mia ragazza in preda ad una crisi psicotica indotta dalle droghe , o guardare qualcuno mangiare pastasciutta gelida caduta a terra alle 6 di mattina, o la vista di una ragazza con le labbra gonfie e sanguinanti dal masticamento eccessivo, o la macchinetta del fumo usata come arma in faccia a chiunque per rifugiarsi dietro alla consolle. Tutte queste storie non sono che piccoli frammenti di memorie. Dopo tanti anni, rimane solo il ricordo dell'eccitazione collettiva verso una musica illuminante e ad alto volume e c'è anche l'inizio di una cultura che avrei continuato a seguire, su cui tutte le mie esperienze passate si concentrano.

Risale a poco più di due anni più tardi la mia prima volta al Fabric, luogo in cui ebbi un'esperienza quasi mortale con alcuni spacciatori vestiti Evisu. Persi il mio Nokia e dovetti aspettare tipo tre ore sulle scale sperando di poter raggiungere il mio gruppo di amici, che era partito da un bel po'. Non per criticare il clubbing ad alti livelli o la professionalità di chissà quali istituzioni, ma ad un'ora e quindici minuti di macchina verso nord sarei stato coinvolto in qualcosa di più intimo e personale, senza dover pagare 15 sterline, rischiare di non entrare o essere pestati da un armadio di steroidi alto 2 metri e mezzo piazzato davanti alla porta. Molto può essere detto sulle situazioni bizzarre dei rave di campagna, ma questi problemi, lì, non esistono. E giuro che di situazioni bizzarre ne ho sperimentate tante…

Negli anni seguenti, cominciarono ad essere venduti biglietti d'ingresso e l'evento fu messo al bando dalla polizia del Suffolk. Al tempo sembrò quasi una strana vittoria, aggrappatasi ai fantasmi del 1988, un'epoca in cui eravamo tutti troppo giovani per averne fatto parte e che ci era pervenuta confusamente dai report della BBC guardati in tenera età. In qualità di adolescente, poter avere la fortuna di fare esattamente ciò che ti andava di fare in mezzo ai tuoi coetanei, era un vero e proprio trionfo della pubertà, e con attorno meno loschi figuri di quanti ne potresti trovare in un club nella zona del centro di Londra con tanto di dj strapagati dall'industria dance.

Nel mio ricordo più nitido di questo lieto periodo sto camminando dietro al fienile, lontano dalla zona di ballo, con la schiena piena di sudore freddo da ecstasy. Mentre sono in cerca dei miei amici, un giovane raver senza una gamba vestito di una tuta della Kappa entra nel fienile, posa le stampelle e comincia a muoversi sul cazzo di ritmo drum 'n'bass sfoggiando delle mosse che avrebbero fatto invidia al ballerino più dotato e in forma che ci sia. È l'immagine che meglio riassume la sensazione che quella cassa, quei piatti, quei pad e quel rullante ti trasmettevano rimbalzando sulle pareti dei fienili nel cuore del Suffolk. Ogni preoccupazione o stronzata che ti dovessi portare sul groppone nella tua vita frastornata era messa da parte, anche se per pochi minuti.