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Musica

Il concerto che avremmo dovuto fare a Parigi

"Da mesi avevamo in programma quel sabato al Paul B. di Massy, un locale fichissimo appena fuori Parigi". Il racconto di Gigi Funcis, fonico di Ellie de Mon.

Erano mesi che avevamo in programma quel sabato al Paul B. di Massy, un locale fichissimo appena fuori Parigi. Viaggio in aereo, bel cachet, impianto della Madonna. Elli De Mon avrebbe fatto da spalla a un gruppo inglese, io avrei curato i suoni da un mixer enorme, attento a non versarci sopra il pastis.

Poco dopo la mezzanotte, sei ore prima dalla partenza, cominciano ad arrivare su WhatsApp messaggi zuppi di preoccupazione. Elli mi telefona proprio mentre sono lì, con la tv a volumi da rave e Twitter aperto: #fusillade #paris.

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La locandina dell'evento dopo i fatti di venerdì notte

Nel frattempo, le opinioni degli amici arrivano da più fronti e sono più o meno concordanti: siete pazzi, cazzo fate, state a casa. In effetti ogni cinque minuti arrivano notizie sempre peggiori: morti, ostaggi, esplosioni, aree evacuate, kalashnikov. Provo a fare qualcosa di utile, ma mi rendo conto che twittare #PorteOuverte ai miei followers non aiuterà nessuno. Tutta la questione che Internet annulla le distanze… Be', funziona se devi donare soldi o condividere foto di italiani dispersi, per il resto: bentornati al medioevo. All’improvviso appare Hollande e dice che chiuderà le frontiere. Ok, ci diciamo, fine della storia. Dato che ormai sono le due passate, concordiamo di risentirci alle cinque e mezza, forse anche un po’ sollevati dal fatto che il viaggio in Francia sia saltato.

Aperti gli occhi, apprendiamo dal sito Easyjet che il traffico aereo è regolare. Hollande, quando blaterava di frontiere, si riferiva al flusso di immigrati, mica a noi. Poco dopo il promoter francese scrive che il live si farà, perché lo stop imposto dall'amministrazione riguarda solo le attività del centro. Sembra che due dello staff del Paul B. fossero al Bataclan, mentre gli invasati sparavano a quei ragazzi. Potevamo essere noi. Quei ragazzi potevamo essere noi. È un pensiero che ti fa stare proprio di merda. Almeno Facebook ci informa che tutti quelli che conosciamo a Parigi non sono stati coinvolti. Un bel respiro e ci incamminiamo per l'aeroporto.

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Il volo parte con due ore di ritardo ed è mezzo vuoto, cosa che mi inquieta parecchio, ma continuo a ripetere a Elli che oggi è il giorno più sicuro di tutti perché statisticamente parlando… [inserire cagate]. Tanto lei non mi ascolta. Passa tutto il viaggio a riflettere su quel bordello e a chiedersi se esista qualcosa di non retorico da poter dire al microfono. Scendiamo dall’aereo, accendiamo i cellulari e arriva un sms del promoter.

Il governo ha imposto la chiusura del locale per ragioni di sicurezza. Perfetto. Siamo a pochi chilometri da dove sono appena morte più di cento persone, Parigi è blindata, il clima fa schifo, abbiamo il volo domattina presto e per finire il concerto manco c’è. Siamo sconfortati, sospesi in un limbo grigio e teso. Così saltiamo su un taxi - mai visti così tanti taxi liberi - e andiamo in hotel, convinti di avere una topaia nella squanfida catena Ibis Budget. In realtà ci hanno riservato due camere in un Ibis Hotel, praticamente la versione con più comfort, dove scopriamo che nessun canale televisivo, nel pomeriggio dopo gli attentati, manda in onda nulla a riguardo. Forse preferiscono lasciare la gente tranquilla. Alen, il tizio della reception, ci parla del ragazzo di sua sorella: era allo stadio e lì per lì non si è accorto di niente, credeva che quelle esplosioni fossero tifosi un po’ più molesti del solito.

Appena Elli dà la notizia su Facebook, un tizio di Parigi che conosce le scrive: “Hey, that's not fair! Don't let them drop Paris!”. E così Eric e Patrice ci caricano in auto per portarci ad un house concert improvvisato in periferia. Non vogliono stare a casa, hanno bisogno di fare qualcosa, hanno bisogno di condividere. Sembrano tranquilli e di buon umore, ma mentre parliamo ho l’impressione che ci tengano ad esserlo soprattutto per noi. Eric mi racconta che alcuni amici della figlia erano al Bataclan e sono riusciti a scappare. Ad un certo punto, solo per un attimo, pare che gli si strozzi la voce, come se l’angoscia volesse uscire a frantumargli il sorriso. Ma non c’è rabbia nel suo viso. Solo tanta voglia di capire e di non lasciarsi comandare dalla pancia. Passiamo pure a prelevare Nathalie, moglie di Eric, per poi arrivare da Gauthier, un architetto sulla cinquantina che vive in un loft stupendo.

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Ha una casa super, tutta bianca, tipica degli architetti con la fissa per lo spazio. All'inizio Gauthier ha un'aria un po’ malinconica, ma diventa più sereno man mano che le persone entrano e lo salutano. Sta suonando un gruppo di giovanissimi, figli degli amici che ci hanno invitato.

Parlo del casino successo con Patrice, che è un fotografo di origini vietnamite. Ha paura che tutti vadano fuori di testa e che il governo se ne approfitti. È strano, perché sono cose che diciamo commentando tragedie distanti, ma quando abbiamo paura spesso mettiamo l’elmetto e iniziamo a scrivere in maiuscolo. Patrice no. Stappa pure una bottiglia di Le Pey, un vino eccezionale. Ogni volta che finisce un pezzo, il pubblico applaude e fischia. Sarà pure una cosa a cui siamo abituati, ma questa sera assume un valore magico. Lo senti, che per loro è indispensabile essere qui ed essere così. Essere vivi. Di punto e in bianco Patrice, Gauthier, Nathalie e un altro tipo imbracciano gli strumenti e si mettono a fare rock&roll. Qualcuno balla ed è davvero un momento intenso, di caciara pura. Alla fine chiedono a Elli, a cui avevano pregato di portare il sitar, di suonare qualcosa. Lei chiude la serata suonando due raga indiani. È l’unica musica che le va di suonare, in questa situazione. Salutiamo e ci facciamo riaccompagnare a casa, perché siamo ovviamente a pezzi. Eric e sua moglie ringraziano e fanno presente quanto sia stata importante questa serata assieme.

Arrivati in hotel, saluto Elli e mi cappotto in camera. In tv stanno parlando di Baudelaire. Spengo, perché il vecchio Charles è un po’ troppo old style per me. Conosco solo quel famoso verso, la mort nous tient par des liens subtils, o qualcosa del genere. Erano anni che non pensavo a quella frase. Forse non l'avevo mai capita.