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Musica

Mike Paradinas e la Chicago senza Rashad

Abbiamo chiesto all'uomo che più di tutti ha spinto il footwork in Europa come sia messa la scena dopo avere perso uno dei suoi fondatori

Quando Mike Paradinas ha fatto uscire Bangs & Works Vol 1 ci fu un vero terremoto nel mondo della musica dance. La compilation di Planet Mu presentò al mondo uno strano nuovo sound che veniva dal sud-est di Chicago e spaccava in tutte le maniere possibili. Era il Footwork, una derivazione della Ghetto House che, a quanto si diceva, esisteva già da un bel po’ di tempo, solo che fuori da The Chi non la conosceva praticamente nessuno. Almeno finché Mike non ha preso le sue ventiquattro tracce preferite e non le ha messe nella compilation. I producer della scena si erano allontanati dal 4/4 liscio del juke aggiungendo ritmi sincopati e un attitudine belligerante al campionamento per creare qualcosa che funzionasse bene con le mosse complicate e frenetiche dei ballerini che a Chicago erano soli sfidarsi nelle juke battle.

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Ne era venuta fuori una roba astratta e avanguardistica, un po’ difficile da digerire da orecchie vergini. Per un momento sembrò che il futuro fosse tornato, proprio quando avevamo oramai messo in conto la prospettiva che non avremmo mai provato entusiasmo per qualcosa di davvero nuovo. Cinque anni dopo, il footwork americano continua a esercitare una forte influenza sulla musica europea, specialmente inglese, ma la stampa musicale sembra avere smesso di coccolarlo. La scena di Chicago sta ancora cercando di fare i conti con la morte prematura di uno dei suoi padri fondatori, DJ Rashad, e noi abbiamo deciso di chiedere all’uomo che ha portato questa musica in Europa di spiegarci qual è, secondo lui, il futuro del genere.

Noisey: Per caso in questi ultimi è capitato di imbatterti in delle neonate mini-scene footwork o magari delle serate footwork fisse con tanto di battle?

Be’, c’è una label di Dalston chiamata We Buy Gold che ne organizza una. Ci ho messo i dischi un po’ di tempo fa.

E quindi, com’è una serata footwork in Inghilterra?

Be’, era a Dalston, per cui c’erano un sacco di persone che non erano venute necessariamente per la musica, credo che molti fossero confusi, ma altri ci stavano parecchio dentro. Comunque è andata piuttosto bene.

Come ballava la gente?

Intendi se qualcuno ha provato a fare del vero footwork? Nah, più che altro c’era gente sbronza che se la rideva. In tutta onestà non credo di avere mai visto degli inglesi ballare in quel modo, mettendosi di impegno, semmai giusto abbozzare un po’ di mosse e solo se molto sbronzi, ma con buoni risultati, direi. In UK ha preso piede in maniera diversa che in Giappone, per dire.

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Che intendi?

Be’, da queste parti il footwork ha toccato un terreno su cui avevano già messo radici tutti gli stili di musica che discendono dalla UK hardcore, fino alla dubstep e tutto quello che è venuto dopo. La differenza è che in Giappone c’è invece una grossa scena footwork, e fanno le cose in maniera un po’ diversa. In generale, la cultura giapponese ha l’abitudine di inglobare elementi della cultura pop occidentale prendendosi il pacchetto completo, e in questo caso, oltre alla musica, si sono presi tutte le caratteristiche della scena, ballo compreso.

Qui invece non è successo?

C’è proprio una base differente. Da una parte ci sentiamo storicamente un po’ in colpa ad appropriarci di culture diverse e importare roba, preferiamo inventarci le nostre scene, fare qualcosa di nostro anche a partire dagli elementi nati altrove. Voglio dire, ricordi che merda si beccarono gli Hijack nell’86 perché rappavano con l’accento americano? È un’impostazione culturale che dura ancora oggi. In secondo luogo, dal momento che in Gran Bretagna balliamo tutti proprio male, tutti ingessati, era difficile che il ballo footwork funzionasse. Insomma, qua per scioglierci abbiamo bisogno di farci ammerda, il che non è proprio la migliore base di partenza per un tipo di danza così atletica.

Mentre in Giappone la fanno pari pari?

Be’, diciamo che riescono ad andare bene a tempo. Però sai, i Giapponesi tendono sempre a esagerare un po’, no? Infatti la roba che producono è un po’ più folle, non somiglia troppo a quella di Chicago né a quella europea. Ci tengono molto alle radici del genere, per cui spesso escono cose più legate alla Ghetto House.

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Come pensi che abbia reagito la scena Chicagoana alla morte di Rashad? Cos’è cambiato?

Ha unito la gente, ha dato a tutti una nuova motivazione. I producer oggi vogliono portare avanti il Footwork in memoria di Rashad, portare avanti quello che lui aveva iniziato. Oltre a questo, direi che continuano a produrre tanto quanto nel 2006/07.

Che altro sta accadendo da quelle parti?

Be’, molti si sono spostati sull’hip-hop, gente come Young Smoke e DJ Nate… Un botto di autotune… Traxman e RP Boom stanno seguendo l’esempio di Rashad e Spinn e stano girando un sacco fuori da Chicago. Hanno suonato molto in Giappone e anche qui, grazie a Tim And Barry. Non conviene a nessuno rimanere confinati dentro Chicago, ma sinceramente ho incontrato parecchie difficoltà a farli spostare. L’idea di prendere un aereo per andare a suonare fuori gli è parecchio aliena.

Ad ogni modo, in alcuni casi, è solo perché preferiscono passare più tempo in studio e non vogliono sbattersi a cercare date in giro. Li capisco, io odio suonare live e fare il DJ. Poi costa anche molto farli arrivare dall’America.

Ma c’è qualcuno che pensi farebbe il botto se solo si degnasse di venire in europa?

Be’, se ce n’è uno davvero sottovalutato è sicuramente DJ Diamond, è un gran producer, ha sempre delle ottime idee. C’è sempre qualcuno che vuole semplicemente fare le proprie cose aspettandosi che queste generino automaticamente una carriera, ma non funziona sempre così.

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E di nuovi producer che ti hanno colpito ce ne sono?

Be’, con Planet Mu abbiamo un po’ di cose in uscita, c’è JLin, una ragazza che fa anche lei footwork. È una grande. Rick Owens ha usato la sua musica per una sfilata lo scorso marzo, e da quel momento in poi se n’è rimasta in Europa, se la sta cavando bene.

E qualcuno che invece sta proprio cambiando il genere dall’interno?

C’è Lil Jabba, un austrialiano che fa parte di Teklife ed era amico di Rashad. Lui fa cose molto interessanti.

Ovvero?

Be’, fa footwork con un feeling completamente diverso. Non usa lo stesso tipo di campionamenti, anzi, è tutto basato più sui synth. È un approccio che può portare risultati un po’ annacquati, ma lui riesce a renderlo oscuro e interessante.

Ma quanto in là è lecito spingersi? Personalmente credo che molte cose più recenti di Traxman o Spin stiano smussando troppo gli angoli, come se cercassero di rendere il footwork più “musicale” e digeribile, con tutti quei campioni orchestrali e jazz. Mi ricorda un po’ quello che successe alla drum&bass alla fine degli anni Novanta.

Non sono d’accordo. L’unica, per così dire, “gentrificazione” del footwork che mi viene in mente sono certe robe recenti di Earl o della roba europea un po’ più farraginosa, fatta da gente che non ha bene idea di cosa campionare e come costruirci intorno una traccia solida. Comunque no, Traxman è hardcore, i suoi sample sono più Dilla che LTJ Bukem.

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Secondo me l’ultima uscita di Rashad su Hyperdub, Double Cup, era molto interessante perché, una volta tanto, era un producer di Chicago a farsi influenzare dagli inglesi e non il contrario, c’erano elementi jungle e acid.

Sì, fu il suo primo tour europeo a dargli parecchie idee, ma in realtà sono tanti i producer di Chicago che inseriscono influenze brit nei loro pezzi. C'è Young Smoke, ad esempio, che ha contaminato molto il suo stile con la dubstep. Fatto sta che spesso le influenze inglesi sono talmente stravolte che si fa fatica a riconoscerle.

Domanda da un mlione di dollari: ma qual è la differenza tra juke e footwork?

Juke è quello che metti su per far ballare il footwork alla gente, infatti è venuto prima il ballo, poi la musica. Allo stesso tempo, il juke è musica da party più dritta, mentre molti producer con cui ho parlato sostengono che il footwork sia più sincopato, il juke è da festa, il footwork da battle. Allo stesso tempo, il footwork è footwork ma la parola juke si può usare per parlare del footwork e della ghetto house insieme.

C’è per caso un nuovo volume di Bangs & Works in cantiere?

Non ancora. Ci ho provato, ma ci costa parecchio perché gli artisti vogliono tutti essere pagati in anticipo. Ne abbiamo fatti due e ci ho sempre rimesso dei soldi. Amo il footwork ma, purtroppo, perdere dei soldi vuol dire anche perdere possibilità di fare uscire altri artisti.