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Musica

Il Primavera Sound di Porto è il fratello sano di quello di Barcellona

Il nostro report di tutti i concerti che siamo riusciti a vedere da sobri.

Tutte le foto, laddove non specificato, sono di Martina Ravasio.

Capita a tutti i non più giovani della mia generazione di sentirsi prossimi ai 30 anni e di dire addio alle brutte abitudini: come Paul McCartney ha detto addio all'erba, io ho detto arrivederci (almeno per quest'anno) al festival non-italiano preferito dagli italiani che non è lo Sziget ma il Primavera Sound di Barcellona. Divelta da un anno di pesantissimo lavoro (a questo non crederanno i numerosi commentatori di VICE che con arguzia e fantasia scrivono sotto ogni articolo "Ma vi pagano per questa roba"?) ho deciso che le mie piccole ferie di fine maggio le avrei spese a fare un cazzo anziché a provare quanto il mio corpo resista a scelte difficili, droghe e transumanza, come successo invece ogni anno (sono almeno tre, che mi ricordi) che mi sia recata al grosso e violentissimo festival.

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Ho deciso quindi che la mia vecchiaia avrei voluto spenderla in un festival più modesto, con una pre-selezione non operata da me di artisti che suonano al Primavera di Barcellona. E così sono andata a Porto. Il festival di Porto è la versione ridotta del fratello maggiore: meno scelte, meno droghe, meno gente, meno palchi, meno artisti, meno sbattimento, meno figa, meno orari disumani, meno droghe l'ho già detto?

Questo si nota già dall'inizio, quando arrivo al giovedì in orario preserale al palco NOS (il primo giorno erano in funzione solo due stage, tranne che per uno spoken/acoustic della signora Smith, dotata evidentemente di molta più energia della sottoscritta) in cui, al mio arrivo, inizia Mac DeMarco, sotto a una collina di famiglie, portoghesi che immettono nel proprio corpo vino, birra e poco altro. Il parco in cui si tiene il festival è molto più carino della zona del Forum di Barcellona (c'è, ad esempio, del verde) e i due palchi principali, NOS e Super Bock, sono in due arene naturali per cui uno se desidera può stare sdraiato per esempio io che di Mac DeMarco non è che sono proprio sta fangirl sfegatata. L'unico appunto è che c'è un vento a trenta gradi sotto zero che porta la brezza marina fino praticamente sopra alle teste del pubblico trasformandola in una cosa simile a pioggia gelida e io ovviamente ho appena letto Preparare un Fuoco di London e credo che la morte per congelamento sia giusto dietro l'angolo. Corro a comprare delle giacche extra mentre i componenti della band di Mac DeMarco invitano le ragazze del pubblico ad aggiungerli sui social network e, mentre sto cagando più i banchetti che i suoi riff liquefatti il mio corpo è calamitato per due minuti sotto il palco dell'acustica Patti Smith che sta cantando giusto la mia sua canzone preferita, ovvero questa.

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Introducing Andy

Torno piena di giacche e cibo dalla cumpa che ho lasciato indietro (vorrei uscire sempre con la band di Mac De Marco) e migriamo, purtroppo senza canadesi, poco più in là per farci pervadere dalla sensualità di FKA Twigs, per cui non sono particolarmente emozionata dato che praticamente ho visto più lei che i miei cugini di secondo grado negli ultimi mesi. Ricordo che la prima volta (al Primavera dello scorso anno) ho pensato fosse una dea, la seconda una presuntuosa inutile e stavolta diciamo che è stata la media delle prime due. Dato che la versione portoghese del PS, come vi ho detto, elimina tutte le frange estremiste, FKA risulta comunque uno degli act più sperimentali del festival, ciononostante anche il pubblico portoghese sembra fingere di capirla, anche se in realtà qui ascoltano tutti cose di 20 anni fa.

Parlando di vecchiaia, mi sposto nel palco a fianco e, con abili ancheggiamenti e grazie alla scelta della solitudine, riesco ad arrivare alle prime file al concerto degli Interpol, in cui mi rendo conto che: A- Paul Banks è davvero disseminato di nei B- Non ha ancora imparato a cantare C- Ha smesso di tagliarsi i capelli a un certo punto ma comunque si mette il gel all'indietro quindi sembra uno dei cattivi di Yattaman. Nonostante questa sia una delle band che mi han plasmato il carattere quando ero piccoletta, soffro (e anche loro) dell'assenza del buon vecchio Carlos (sostituito per un breve periodo con David Pajo che pure se n'è andato—sospetto che Banks e Kessler siano dei pali in culo non indifferenti) e questa loro inutilità acquisita si sente. Sono talmente poco utili che i visual che fanno da fondo al concerto sono praticamente quelli di Kid A dei Radiohead. Ciononostante mi sento nostalgica e urlo pure "Stella-a" come i veri veri fan, ma nonostante l'entusiasmo dimostrato per pagare pegno alla mia tardo-adolescenza dentro mi sento anziana quindi decido di rinunciare a sentire per la terza volta Caribou e di andarmene a casa.

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Montagne e triangoli… Mancano solo un paio di corna di cervo e siamo a posto.

Il venerdì avevo già deciso che sarebbe stato il giorno in cui mi sarei data allo SFASCIO VERO, e cerco di farlo nonostante sia reduce da una cocente delusione al pomeriggio quando ho tentato di comprare dell'erba in zona stazione e mi è stato dato un sacchetto di cose verdi amalgamate con della colla il cui odore era qualcosa di molto simile a quello che ci deve essere in una fabbrica di scarpe Hogan. Ben fatto Virginia.

La giornata però inizia bene perché si va a sentire Patti Smith, di nuovo lei, che stavolta fa tutto il suo Horses. Nonostante Patti sia la donna che suona più in giro negli ultimi 40 anni, a tutti la sua forza e la sua dolcezza, ma soprattutto la sua convinzione fanno un effetto particolare, e così nonostante "People Have The Power" ti venga da disprezzarla di per sé, quando lei ti urla "BELIEVE IT!" non puoi fare a meno di guardarla con una lacrima che scende per quanto impressionante sia il vigore dell'anima che mette in ciò che fa. Almeno, a me una lacrima è scesa.

Per fortuna che poi sono andata a sentire quel simpaticone di José Gonzales, che mi rendo conto essere favoloso per un pubblico di padri di famiglia che apprezzano ancora la musica che tutti amavamo nel 2006, ma io voglio ribellarmi a questo buonismo e ritengo che JG sia solo uno con la chitarra che fa le canzoni di altri in acustico. Ho bisogno di un bicchiere di porto rosso per poter fingere entusiasmo anche durante "la canzone delle palline" o la cover di "Teardrop" e infatti eccomi qui talmente entusiasta che sembro una papera con disturbi mentali.

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Sto talmente rimbambita di porto per la successiva mezz'ora che nemmeno gli Electric Wizard mi ripigliano come si deve, nonostante vincano il premio per i quasi più duri e capelloni del festival (secondi solo al mistico Alex Hacke, storico bassista degli Einstürzende Neubauten e mio idolo assoluto). Boicotto volontariamente Sun Kil Moon che nonostante tutti i miei colleghi recensori musicali abbiano eletto a musicista dell'anno 2014 per me resta solo un orrendo misogino che non merita nulla. Come al caro vecchio Primavera spagnolo, anche qui il palco affidato al festival-partner All Tomorrow Parties è decisamente il mio preferito. Resto qui per ascoltarmi altri anziani: gli Spiritualized, che tutto sommato portano a casa il mio set preferito del festival, a livello emotivo. A quel punto una mia amica di cui non faccio il nome mi domanda se mi piacciano anche "quelli che hanno il disco col prisma e l'arcobaleno".

Con gli Spiritualized iniziano a salire alcuni effluvi di sostanze assunte against all odds e per la fine del set la psichedelia pervade il mio corpo intiero, non fosse che il Destino vuole che tocchi al toccante set di Antony and the Johnsons, che posso descrivere con due parole: POETICO / SCESAZZA. Un'ora di concerto in cui il lui/lei Antony si vede in penombra vestito con un immenso lenzuolo mentre vocalizza alla perfezione davanti a un'orchestra gigantesca e vestita di bianco quanto lui, mentre dietro di lei immagini di asiatici con maschere di fango in preda a deliri mistici e una luna pienissima fanno da cornice a questo momento che, ripeto, è stato tanto poetico quanto una scesazza. Alla fine del concerto, risalendo il prato, notiamo alcuni cadaveri lasciati marcire dalla sonora scesazza della sacerdotessa Antony. Per non morire anche noi, ci si avvia verso il rovescio della medaglia: Run The Jewels.

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Non ho molte parole per descrivere RTJ se non che credo non mi sarei risvegliata dal torpore della famiglia Jonsons se non in questa maniera. Il pubblico sembra capirli e Killer Mike e El-P sono parecchio diversi da ogni altro rapper che ho visto live finora: pochissima componente G e un bel po' di autoironia e di politica. Tutto con una 36" chain invisibile e massiccia attorno al collo. Si fugge rapidamente a sentire il finale del live di Ariel Pink che nonostante sia sprovvisto degli Haunted Graffiti è sempre una bestia urlante da palco e gasa a modino. Per la prima volta sto al palco Pitchfork, l'unico sotto a un tendone e non in una conca naturale—lo stage che mi piace di meno, ad essere onesti—e aspetto qui l'inizio del set di Movement, che per la mia condizione psicofisica dovrebbe essere appropriato.

La band australiana arriva sul palco, le persone sobrie attorno a me li definiscono "musica da froci milanesi" ed effettivamente se fossi stata più sobria di quello che ero credo avrei concordato. Ma che vuoi, alle tre di notte hai solo bisogno di bassi enormi e loro ce li avevano. Non fosse che alla quarta canzone succede che rivelano al pubblico che il set è finito e arrivederci. Lasciano una banda di esseri umani finalmente in stato di giusta euforia col pene a mezz'asta e con l'amaro in bocca. Praticamente un coito interrotto. Questo momento di pausa forzata mi permette di guardarmi attorno, e mi accorgo che iniziano, per la prima volta durante il festival, a palesarsi persone palesemente in stato alterato, situazioni imbarazzanti, somiglianze improbabili, donne vestite interamente come un sacco di piumoni firmati Desigual che al buio sembrano splendide attrici e alla luce assomigliano più a Mister Limburgo dei Biker Mice. L'effetto è divertente e straniante, quasi come l'arrivo improvviso sul palco del DJ che chiude la giornata, Marc Piñol, che ovviamente prendiamo per il culo da bravi italiani dicendo che è pignolo. Talmente tanto lo si prende per il culo che la nostra credenza si avvera e ci rendiamo conto che Marc sta mettendo esattamente lo stesso pezzo da quaranta minuti (alcuni sostengono che lo rimettesse perché non era soddisfatto della precisione con cui l'aveva messo la volta prima… Quando uno è Piñol). La serata si conclude con questo coito interrotto grazie alla pignoleria di quel DJ precisetto.

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Un leprotto.

Il terzo giorno è quello più hardcore tranne per me che sono una pignola come Marc Piñol quindi inizio il mio giorno bevendo succhi di frutta e comprando la cena all'unico banchetto che offre cibi vegan con larghissimo anticipo (un wrap di tofu e spinaci che sembra un rotolo di carta igienica bagnato). Per comprare la cena salto il concerto di Thurston Moore in cui mi hanno detto che non c'era molto di esilarante (io ho sempre preferito Lee Ranaldo, anche se si è stufato dell'elettricità). Il primo duro impatto con la realtà sono gli orrendi Foxygen che rappresentano tutto quello che odio nella musica e mi ci fumo su una sigaretta mentre mi lamento di quanto sia fastidioso il cantante, di quanto sia fastidiosa la loro musica e di quanto sia incomprensibile tutto quel pubblico che li sta osannando e che li osanna anche nella mia povera patria. Il senso dei Foxygen continua ad essermi ignoto e, borbottando come una vecchia strega, mi dirigo nel posto giusto per me: quel covo di vecchie streghe che è il concerto delle Babes in Toyland.

Le tre splendide riot grrrls oramai cinquantenni sembrano ora una bibliotecaria, un'insegnante di sostegno e un'assistente sociale, ma restano comunque la band che emotivamente più mi gasa e gasa pure un sacco di gente che sembra King Buzzo tra il pubblico (alcuni recanti addirittura cimeli di tour delle ragazze di più di 20 anni fa)

Gasata come poche, il calo serotoninico si fa sentire tutto quando mi sposto al palco principale per capire esattamente che musica fa Damien Rice. Ora ve lo spiego. In pratica è come se Bruce Springsteen avesse molto meno testosterone e non avesse una band ma solo una loop station. Con l'aiuto di questo aggeggio Damien Rice riesce a suonare per tante volte di seguito sempre la stessa canzone cercando di farla passare per tante canzoni diverse perché a volte ci sono più layer di voce&chitarra e altre volte invece è più scarna. Fine. Ah però quella scena di Closer.

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Finita l'agonia corro dalla mia sicurezza che sono i gloriosi Einstürzende Neubauten, potenti e complessi, pieni di tubi, vetri e stavolta (ad ammissione dello stesso Blixa) anche di tecnologia per cui mi metto come i veri nerd vicino al mixer "per sentire bene" e mi godo un'ora di concerto impeccabile. Faccio credere alla mia amica Giulia che il bassista degli EN sia in realtà uno dei Rammstein e questa ed altre buffissime gag ci portano a vivere la vita con spensieratezza fino ad arrivare al non utile concerto dei RIDE, inspiegabilmente pieno di gente—ulteriore prova che a questo festival band a caso vengono trattate come headliner e che al pubblico basta vedere qualcuno nel palco grosso e pensano sia grosso. Non ho cagato i KVB che pure mi piacevano ma li avevo già visti. Però sono fighi, quindi se non li conoscete ascoltateveli.

Tappa obbligata dagli Shellac che suonano praticamente ad ogni Primavera Sound da quando questo festival esiste, anche perché Steve Albini è tipo la cellula madre di vari concetti che reggono la proliferazione di band che partecipano ed esseri umani che assistono a questo festival. Dopo di loro facciamo un salto a sentire i New Pornographers, un'altra parentesi nostalgica e anziana di questo festival nostalgico e anziano che a Porto si sente ancora di più che è nostalgico e anziano come la Nazione in cui ci troviamo.

Foto nostalgica.

Meno male che c'è uno che non è né anziano né nostalgico, ovvero il mio eroe Dan Deacon, vero re di questo festival, che con un batterista incredibile tira su un set tra l'astronautico e l'hardcore. Purtroppo non riesce a fare tante gag col pubblico perché c'è troppa gente davanti al suo palco (alcuni secondo me rimasti lì dal concerto dei Foxygen e appartenenti al pubblico di alghe che forma lo zoccolo duro dei Foxygen, e si sa che le alghe non hanno arti quindi non hanno avuto modo di muoversi da là sotto). Credo che i batteristi mi emozionino, o forse sono solo lui e Lori Barbero.

La mia serata si chiude con i magistrali Underworld, altre persone che appartengono a un'altra epoca e che rifanno tutto un disco di un'altra epoca, dubnobasswithmyheadman, che risale a più di vent'anni fa come parecchie altre cose di questo festival. Ma questo è più o meno quello che funziona del Primavera: il trucco è che gioca con la tua emotività proprio nel momento in cui ti senti più fragile ovvero quando sei ubriaco/drogato/felice/triste/solo (ci si sente sempre soli ai concerti). E forse questa subdola via d'accesso ai sentimenti che abbiamo sepolto in età adolescenziale è il modo in cui questo festival, benché non proponga niente di nuovo da anni, tiene sempre più esseri umani ancorati alla sua corte.