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Musica

Diego Angelico Escobar - Concret

Parliamo di musica come architettura e contaminazione con il producer italomessicano, autore del mix di oggi.

Diego Angelico Escobar è un ragazzo che si è fatto notare un po' di tempo fa per un progetto ambizioso di architettura sonora costruito con il nome Concret, e concretizzatosi in un disco, Play The City, in cui raccontava i suoni di Milano, meticolosamente raccolti. Ora Diego, dopo aver concluso questo racconto, ha deciso, poverino, di andare a vivere in Messico e di dedicarsi alla produzione. Le sue influenze sono sempre state tantissime, e sempre nuove, l'ho incontrato la scorsa settimana quando è tornato, per poco, a Milano per suonare con i Dada Disco nell'evento del salone organizzato da Rolloverbeethoven, e gli ho fatto GIUSTO DUE DOMANDE per capire il suo universo musicale e introdurre al meglio il mix che ha fatto per noi. Alla fine della chiacchierata eravamo abbastanza ebbri e pieni di concetti astratti e concreti, e io avevo un'ora e mezza di registrazione da sbobinare, ma ne è valsa la pena.

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Noisey: Allora Diego parlami del passaggio dall'architettura alla musica, cos'è successo?
DE: Dopo l'esame di Stato ho deciso di dedicarmi alla musica, però da quando ho preso la triennale ho iniziato a fare l'architetto. Nel frattempo però ho sempre fatto musica, alla fine è da 15 anni che suono, ho fatto il batterista in un po' di gruppi (Cats, Yut, I've killed the cat, Mercury Drops ecc..) e ho registrato quattro dischi, ma solo quando ho passato l'esame di Stato ho deciso di far musica a tempo pieno. Lo so che è buffo da dire, però anche con l'architettura volevo fare tutto per benino. Poi che io abbia "fatto il giro largo" per avvicinarmi alla musica magari da una parte mi penalizza, perché ci sono arrivato un po' tardi, ma dall'altra mi dà una visione un po' più ampia, trasversale.

Però il tuo primo progetto musicale solista, Concret, è comunque molto legato all'architettura.
Sì, solo ora che ho girato un po', che ho iniziato a mettere dischi in un po' di posti, mi rendo conto che è il momento di fare musica per la gente. Prima il mio scopo era quello di fare musica per la città, tant'è che il mio esordio è stato strano, Play The City, un album di 84 minuti con i suoni della città. È da poco uscito un videoclip (qui sotto, NdR) girato da Alonso Velasco Benton e con contributi di Giulia Margarita Dalla Bona (designer/architetto che cura la parte visuale di Concret) che riassume abbastanza bene lo spirito del progetto.

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Come hai materializzato il concetto di prendere i suoni della città? Io mi immagino che tu abbia voluto essere il più obiettivo possibile, anche se l'obiettività a un certo punto è sempre relativa. Come ti sei giocato la carta soggettiva, della scelta?
La cosa più difficile è stata quella, cioè se tu vuoi fare musica per la città la sfida è quella di tradurre i codici sonori, i rumori, cercando di essere più scientifico possibile, non si tratta di prendere suoni e metterli a caso in un pezzo che hai già, che è una cosa che fanno in molti. Quindi c'è stata tutta una prima parte di ricerca, cioè trovare posti significativi, che avessero caratteristiche interessanti non solo da un punto di vista sonoro.

Che luoghi hai scelto quindi?
Parco Forlanini, Piazzale Loreto e via Tortona, tre punti che avessero differenze di suono e urbanistiche, che avessero anche una storia, quindi Piazzale Loreto, con tutto il suo significato storico e poi perché è una piazza che ha perso il suo significato di piazza ed è diventata uno svincolo, oltretutto in una zona ricca di contaminazioni culturali, di traffico, di conflitto. L'Italia del dopoguerra. Anche via Tortona a suo modo è così, ma la contaminazione è di un tipo diverso, più del giorno d'oggi, oltretutto pertiene a un'altra classe sociale, e così il parco, che è vicino all'aeroporto, è un punto in cui la natura urbana, avulsa dalla città, è contaminata dallo scambio aeroportuale, un'infrastruttura, un luogo di arrivi e di partenze.

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Quindi hai scelto posti significativi per l'identità urbana, ma pur sempre contaminati.
Sì, perché non puoi prescindere dalla contaminazione quando parli di metropoli. Se dovessi fare un altro progetto simile il contrasto ideale sarebbe la campagna, il bosco. Parlando di suoni è complicato, cioè se avessi scelto posti chiusi non avrei parlato della città, ma delle scelte di chi vive la città. Ho scelto invece spazi pubblici perché quelli parlano veramente della città, e non puoi prescindere dalla contaminazione in questo caso. Pensa se dovessi farlo a Città del Messico, ce ne sarebbe molta di più.

Esatto, ma paradossalmente per Milano era più complicato forse trovare quest'aspetto perché non è una città con un'identità forte, con quartieri particolarmente connotati. Per Città del Messico magari è più semplice.
Be' io ho iniziato da Milano perché ci sono nato, segnava l'inizio e la fine di un percorso. Sarebbe stato troppo presuntuoso partire da un'altra città solo perché aveva una struttura più evidente. Chiaro che dopo aver vissuto a New York e a Città del Messico vedo più differenze: New York è uno stereotipo, è facile da tramutare in musica, è un set cinematografico sia visivamente che acusticamente, sono paesaggi familiari, mentre Città del Messico ha ancora una fortissima componente di folklore, addirittura precolombiano, che vive insieme alla modernità più assoluta. Questa simbiosi è la cosa più interessante.

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Sì, c'è già un immaginario, mentre per Milano no. Quindi è molto più concreta la cosa. Non è neanche mistificabile la cosa, perché da una parte è talmente brutta, destrutturata, che devi partire dal poco che c'è.
Esattamente, per me la Milano più stereotipabile, più storicamente riconoscibile è la Milano degli anni Cinquanta-Sessanta, quella dell'immigrazione, delle industrie, io ho voluto lavorare sugli strascichi di quel periodo storico, quando qui c'erano i calabresi, i pugliesi che venivano a cercare lavoro e c'erano fabbriche, zone di operai, industriali. Mia madre che è arrivata a Milano da Città del Messico mi raccontava la forza dell'operaio, dell'industria, c'erano i fumi, c'era la sirena delle otto del mattino che sanciva l'inizio della giornata lavorativa, che era un po' come la campana della chiesa. Oggi è una città difficile, quindi ho voluto cercare una continuità anche nella discontinuità col passato.

Be', noi abbiamo sicuramente un problema di memoria storica, di scarsa valorizzazione delle nostre eredità culturali, quindi un processo di recupero è fondamentale, ma difficile.
Poi conta che Milano è proprio ridotta ai minimi termini quando la si concepisce, anche dall'estero. Ma l'Italia in generale: è vista solo come le sue quattro F: food, furniture, fashion e Ferrari. Se togli questo rimane solo, appunto, il fondo concreto, quello su cui ho lavorato io.

Spiegami come hai proceduto concretamente.
Delle zone che ho scelto ho registrato un'ora in diversi momenti del giorno, e quell'ora l'ho divisa in 60 minuti, poi ogni minuto l'ho diviso in secondi e ho tirato fuori la frequenza media dominante e il livello di decibel, quindi sia l'intensità che la nota che ne usciva, secondo l'intensità ho deciso quale sarebbe stato il suono dominante e quale invece il basso, la parte percussiva, rispettando le proporzioni.

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Tu riconosci a posteriori quando ripassi in quei posti il lavoro che hai fatto?
Sì, soprattutto se lo penso come doveva essere nel progetto originale, che era molto più ambizioso, dovevano essere delle colonne sonore, delle vere colonne che distribuivano questi suoni alla città, se questo disco fosse riprodotto come da progetto iniziale sarebbe stato davvero completo.

Ora mi hai detto che ti stai dando più alla musica "per gli altri", quindi una dimensione completamente diversa.
Sto lavorando a un EP con un produttore messicano che si chiama La Royale & Yesco, l'etichetta si chiama Electrique Music, gli ultimi pezzi che ho fatto li ho proprio pensati per la dimensione da club, mentre prima ingenuamente non ci pensavo nemmeno.

Quindi com'è la scena a Città del Messico? C'è un sacco di fermento culturale mi immagino.
Sì, oltretutto come dicevamo la componente della tradizione, del folklore, è importantissima. Mentre in Italia essere radicati alle proprie tradizioni è visto sempre come una deriva nazionalistica, destrorsa, lì invece è fondamentale, pensa che La Royale & Yesco, alla fine del suo set di Boiler Room, ha detto "Viva la musica mexicana" anche se il suo set non era di musica tradizionale, però erano solo produzioni sue o suoi remix di artisti messicani. Tu pensa un DJ italiano che alla fine del suo set dice "Forza Italia!"… Sarebbe visto in tutt'altro modo. Lì c'è bisogno di riscatto, di affermazione, questo permette che ci sia una valorizzazione del proprio patrimonio culturale, una cura, che qui non c'è.

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Sì, ci manca molto in Italia un orgoglio di questo tipo. Partigiano.
Ci manca anche la meritocrazia, in Messico funziona solo così: devi dare prova del tuo livello di preparazione, anche per suonare in un posto. Non gliene frega niente di chi sei, di quanto seguito hai, gli interessa come suoni, il tuo livello di avanguardia, il tuo apporto. Un'identità artistica forte, che è la cosa più difficile da avere.

Esatto, come nel macrocosmo anche nel microcosmo funziona che qui si venga bloccati nella costruzione della propria identità, si finisce molto spesso per fare operazioni ancillari ad altre culture o a filoni che funzionano.
Da una parte però è più interessante venire fuori qui. Ci sono molte situazioni ricchissime in Italia, anche discograficamente, ma spesso succede che siano in piccoli centri. L'underground italiano, paradossalmente, nasce nei paesini, non nelle grandi città, per esempio la Slow Motion di Pescara è un'etichetta assurda: dentro ci sono Mammarella, Rodion… Gente che in Italia suona in locali come il 65 Metri Quadri, che è un posto molto bellino e con un'attenzione grandissima, ma è piccolo, mentre in Messico sono super rispettati e conosciuti, adesso Mammarella viene a fare un tour in Messico e tutti lo acclamano.

Quindi ora che stai a Città del Messico cosa combini? Come stai strutturando il tuo progetto?
Adesso sono in un periodo strano. Concret come progetto artistico non è solo mio ma anche di Teo Q-pha (sound designer e producer) + Theo Patrick Hall (violoncellista e musicista), e stiamo tentando di portarlo avanti, l'EP che sto mixando è a nome Concret, allo stesso tempo sto lavorando anche con Soni Ceron con cui ho il progetto SON/CRET, abbiamo suonato al Flying Circus con Mano le Tough, BLOND:ISH, Lee Burridge, Bob Moses ecc. e aperto il set di Aeroplane, con lei vorrei dedicarmi più al dj set vero e proprio, professionale, spettacolare, stravagante, cerchiamo di far ballare in modo molto viscerale, con qualcosa tra la techno e la disco più cruda. È uno sfogo. Poi sto facendo anche la colonna sonora di un cortometraggio horror, ho ripreso qualcosa dalle nostre gloriose colonne sonore degli anni Settanta. Ho un altro progetto con un ragazzo che sta a New York, che si chiama Matteo Gatti (aka Plastic Health), quindi abbiamo chiamato il nostro duo Los Gatos Escobar. Ho in ballo anche un progetto disco-house live con Capri, un produttore Argentino incredibile. E poi sono parte di un'agenzia booking che si chiama Tráfico grazie alla quale posso far suonare gente che trovo davvero valida. Insomma, cerco di produrre cose che mi interessano, di divertirmi e di fare le cose per bene, che è importante soprattutto in un momento in cui la musica elettronica ha così tanto peso e così tanti occhi puntati addosso.

Cos'hai messo in questo mix?
Ho fatto un mix di quello che sto suonando adesso, degli artisti e delle etichette che vanno dal g-house, cioè un miscuglio fra musica nera e house music, e altre contaminazioni tra hip hop e techno, le cose che metto nei miei set insomma. Dopo la minimal e l'elettronica pulita ora è tornata la voglia di fare musica sporca, che è la cosa che mi piace. È un mix che ho fatto tutto d'un fiato, senza pensare troppo, e ne sono molto contento.

NOISEY MIX - CONCRET by Noisey Italia on Mixcloud