Nick Cave — padre, figlio e spirito

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Musica

Nick Cave — padre, figlio e spirito

Un viaggio nel dolore di un uomo e nel suo rapporto con il padre prima, con la paternità poi, e con la Musa, lo spirito che non lo ha mai lasciato.

"…because once you've got one scar on your face or your heart, its only a matter of time before someone gives you another—and another—until a day doesn't go by when you aren't being bashed senseless, nor a town that you haven't been run out of, and you get to be such a goddamn mess that finally it doesn't feel right unless you're getting the Christ beaten out of you" ― Nick Cave, And the Ass Saw the Angel

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Ricordo molto bene dove mi trovassi e cosa stessi facendo quando venni a conoscenza della morte di Arthur Cave, il figlio di Nick, il 14 Luglio dello scorso anno. Ero in un discount nella suburbia di Sassari, passeggiavo per il lungo reparto attorniato da migliaia di prodotti alimentari dalle etichette deprimenti. Avevo in mano… Non ricordo, forse una bottiglia di qualche vino sottoprezzato, o forse una birra. Faceva caldo, indossavo un colorato costume da spiaggia e una camicia hawaiana. Nel momento in cui vieni colpito dalla bruttezza dell'esistenza è come se da qualche parte, nella tua testolina, spuntasse una polaroid pronta ad immortalarti per sempre. La prima cosa che feci fu continuare a leggere le etichette, un po' inebetito.
Più tardi mi resi conto di come la mia tristezza fosse causata dalla consapevolezza di un percorso lunghissimo che aveva affrontato Nick Cave, da poeta dannato a padre di famiglia.
Ho ricevuto un paio di fucilate dritte dritte al cuore quando, quel giorno, un paio di amici se ne sono usciti con frasi tipo: "Chissà ora, se ne uscirà con un album della madonna."

Ho passato gran parte della mia vita ad onorare il Nick Cave musicista e scrittore. Quel giorno mi resi conto che la mia adorazione, nel tempo, era mutata in una sorta di intimo affetto. E come ogni buon amico che si rispetti, ad un'affermazione come quella non potevo non incazzarmi—un'affermazione basata sul postulato secondo il quale la produzione di un artista è legata all'intensità degli avvenimenti drammatici che lo colpiscono. Certo, in alcuni casi è così, mi vengono in mente le Confessioni di Agostino, intrise di sofferenza nei confronti dell'amore divino. Stessa cosa vale per Leopardi con la sua Silvia. Ma è solamente nell'Ottocento che nasce, ufficialmente, la dicotomia dolore-creazione. Basti pensare alla pittura di Van Gogh; Edvard Munch è noto per essere stato un artista da sempre influenzato dai suoi traumi. A cinque anni assistette alla morte della madre, malata di tubercolosi. Nove anni dopo la sorella muore per la stessa malattia. Mettiamola sulla musica. Gustav Mahler nel 1907 è stravolto dal dolore per la morte della figlia ed è l'ultimo di una lunga serie di danze macabre iniziate con la morte della madre. Dal metabolizzato dolore, e dalla conversione dall'ebraismo al cristianesimo, uscirà una delle sue composizioni più note, Il Canto della Terra. Nel 1991 muore, dopo un terribile incidente, il figlio di Eric Clapton: Conor cade dal 53esimo piano di un grattacielo di New York. Si sa che da quel trauma nacque "Tears in Heaven", una delle ballate più note del decennio e della discografia Claptoniana. Per dirla con un noto giallista belga, "La scrittura è considerata una professione: ma io penso che non lo sia. È una vocazione all'infelicità. Perché se un uomo ha l'impulso di fare l'artista è per il bisogno di trovare se stesso. Attraverso i suoi personaggi, attraverso tutto ciò che scrive". Nick Cave ha scritto per tanti anni canzoni e romanzi, e poesie, ettolitri di sangue, ferite divenute oro. Ma da circa dieci anni questo classico fil rouge si era interrotto. Volutamente. Il suo percorso multimediale—passato dalla scrittura di sceneggiature alla composizioni di colonne sonore—ad oggi aveva assunto le forme di un pellegrinaggio verso uno stadio finale, quello dell'artista capace di non tradire la musa, ma di potersi finalmente godere la vita da uomo di famiglia. Lontano dalle droghe e dagli eccessi, ma ancora fieramente attivo. Questo percorso è illustrato chiarissimamente nel documentario uscito un paio di anni fa, 20.000 Days on Earth. Ma facciamo un passo indietro spazio-temporale. Esattamente di più di trent'anni. Andiamo in Australia.
Nel 1978 Nicholas ha solamente diciotto anni, sta passando una piacevole serata nel Dipartimento di Polizia di St. Kilda a Melbourne. Mentre la madre è in stazione per pagargli la cauzione per furto di auto, il padre Colin muore in un grave incidente autostradale. La morte del padre, con il quale aveva un rapporto difficoltoso, è stata rivissuta più volte in accezione biblica, addirittura mitopoietica. Nel 1996 Nick Cave scrive per la BBC un testo sull'intenso, perturbante rapporto con la religione cristiana, The Flesh Made Word. In esso il rapporto paterno è assunto in senso edipico, "And so, like Jesus, there is the blood of my father in me, and it was from him that I inherited, among other things, a love of literature, of words. And just as Christ was to his father, I am a generation further on, and – if you'll forgive me, Dad – in evolutionary terms, an advanced version. What my father always wanted to do was to write a book." (Cultural Seeds: Essays on the Work of Nick Cave).

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Un paio di anni dopo afferma che "the loss of my father created in my existence a vacuum, a space in which my words began to float and collect and find his purpose" (The Secret Life of The Love Song, 1998). Colin Cave era un ottimo insegnante di letteratura inglese, ed al figlio era riuscito a tramandare l'amore per i classici. In 20.000 Days on Earth Nick descrive simbolicamente l'eredità culturale paterna, raccontando l'aneddoto che più lo lega al padre: quando Colin si metteva a leggere Lolita di Nabokov. Cave parla di una vera e propria trasformazione del Colin uomo nel Colin artista. È il primo contatto con la più grande ossessione archetipica di Nick: la Musa. L'opera Lolita è tornata più e più volte nella vita di Cave. Nel video qui sotto si ha come la sensazione che Cave avesse deciso di superare il dolore sostituendosi, in un certo senso, alla figura paterna.

"Nabakov wrote on index cards, at a lectem, in his socks"

Più che nelle carriera musicale, il rapporto dicotomico sofferenza-arte derivante dall'evento paterno è da rivedersi piuttosto nella sua carriera letteraria. The Death of Bunny Munro (2009) prima di essere un romanzo aveva le forme di una sceneggiatura che sarebbe dovuta diventare un film di J. Hillcoat, amico e noto regista australiano, con il quale Cave aveva già collaborato per la scrittura di The Proposition.

Il romanzo, in breve, tratta del rapporto on the road tra un timidissimo ragazzino e suo padre, Bunny Munro appunto, un alcolizzato, misantropo, commesso viaggiatore ossessionato dalle donne. Una storia nella quale Nick Cave ha voluto pastichizzare ogni istinto misogino del maschio, nel quale ogni uomo potesse rivedersi. Ma non solo, il romanzo apriva al pubblico femminile le possibilità di entrare nella testa del maschio (The Exchange: Nick Cave, The New Yorker). Uno squisito gioco letterario, in cui i legami con Colin Cave sono periferici, ma reali. Il padre di Nick sognava di diventare uno scrittore, forse un erede di uno dei suoi autori preferiti, Vladimir Nabokov. In quel disegno edipico che vede Nick Cave sostituire la figura paterna, qui addirittura si potrebbe parlare di prosecuzione di questa. The Death of Bunny Munro viene paragonato a Bret Easton Ellis, a Cormac McCarthy per l'inossidabile esigenza di un destino manifesto, tragico (inevitabili richiami alle sue scorpacciate religiose, in particolar modo al Vangelo di San Marco), eppure non si può non rivedere in quegli stream of counsciosness gli stessi elementi che caratterizzavano quelli di Humbert Humbert. "Rebecca Beresford ha smesso di parlare a Bunny da anni, dopo un incidente a un barbecue sulla spiaggia di Rootingdean che aveva visto coinvolte una mezza bottiglia di Smirnoff etichetta blu, una salsicetta cruda, la sua figlia di quindici anni e un clamoroso malinteso. La cosa aveva scatenato una collera che un anno di pentimento e servilismi non era riuscito a disinnescare. Bunny sospettava che, da un certo punto di vista, Rebecca Beresford fosse morbosamente gelosa di sua figlia. Questa superava a tal punto la madre in bellezza che, quando sfilava giovane e provocante sulla spiaggia acciottolata di Rottingdean con il suo bikini striminzito, l'effetto su ogni maschio presente era talmente poderoso che sembrava quasi di sentire gli occhi che saltavano fuori dalle orbite e il sangue che si ridistribuiva fragorosamente nei corpi. Rebecca Beresford poteva solo farsi da parte, perplessa e piena di vergogna, mentre gli ultimi residui della sua bellezza l'abbandonavano per sempre come inquilini terrorizzati in fuga da una casa stregata." (The Death of Bunny Munro)

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Nel 1976 nascono i Birthday Party, la protoleggenda di Cave, prima del Big Bang che furono i Bad Seeds. Ma già TBP furono percorsi da una serie di catastrofici eventi. Leggendo la formazione storica, si riconoscono i nomi di Mick Harvey e Rowland Howard, un po' più in sordina quello di Tracy Pew, se non si è dei fan della band almeno. Harvey e Cave sono stati compagni di liceo e d'arme per quasi venticinque anni, un matrimonio, dicono alcuni, crollato a causa del solito clichè, quello dell'amante (Warren Ellis). Ma questa è un'altra storia. Una cosa che mi ha sempre affascinato è stata la forte contrapposizione attitudinale dei due musicisti, perché Harvey fin dagli esordi si è rivelato un personaggio distante dalle attrazioni della droga e dell'esagerazione (anche se predisponeva una certa passione per l'alcool), una figura perennemente concentrata sul lavoro e la composizione, preciso al rasoio, qualcosa riscontrabile nei suoi concerti da solista. Tracy Pew segue e sorpassa Cave e Howard nella gara di scorpacciate drogate. Difficili da contestualizzare in un solo genere i maledetti TBS: dark e post-punk su album, in live erano una bomba iconoclasta capace di farsi la nomea di una delle band più casiniste d'Australia.
Dopo un tour europeo devastante si torna negli studi di registrazione, con un Nick Cave sempre più distante con la testa. Ossessionato dai testi biblici, il Vecchio Testamento lo porta ad una ricerca altra, verso la Musa. Tracy Pew degenera in uno stato confusionale. Dopo un concerto Pew viene incarcerato per falsa identità e guida in stato di ebrezza, ubriaco e strafatto fradicio. Otto mesi di carcere, ed in mezzo la prima collaborazione con Barry Adamson, futuro bassista dei The Bad Seeds, e la registrazione del live che spostò la lancetta della band un passo verso l'inferno: Drunk on the Pope's Blood, in collaborazione con Lydia Lunch. Pew torna, con addirittura tra le mani un piano di disintossicazione. Album memorabile, nel quale Pew suona con il suo stile, come in She's hit, fa gracchiare le corde del suo basso, dando l'impressione che stia abbassando l'accordatura nel momento stesso in cui suona il riff. Difficile resistere alla tentazione. Qualche tempo dopo Pew si allontanò dal mondo della musica. Si iscrisse all'università di Melbourne dove studiò Filosofia e Letteratura. Il tempo di resistere un anno, poi di nuovo a suonare il basso per Nick Cave. Quando morì nel 1986 a causa di un'emorragia cerebrale dovuta ad un attacco epilettico, Cave era già al terzo album con i TBS, ma aveva solo 29 anni.
Non stiamo qui a raccontare tutta la vita di del Re Inchiostro. Prendiamo la macchina del tempo ed attraversiamo la vita di Nick per fotogrammi: guardiamolo mentre fugge dall'eroina berlinese e si rifugia in Brasile. Le immagini della della redenzione, il primo figlio Luke, avuto dalla cantante Viviane Carneiro.

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Il ritorno a Londra, l'uscita di Let Love In ed il successo commerciale di Murder Ballads amplificato da MTV che a ruota trasmette il duetto con Kylie Minogue.
E poi la lunga parentesi dei Grinderman, l'entrata di Warren Ellis e l'inevitabile addio del fraterno Mick Harvey, fino ad arrivare al 2013, con Push The Sky Away e la sua emblematica cover: la moglie nuda di Cave si stringe il corpo mentre il marito tiene aperta una tenda che fa entrare una bianchissima luce. Scriveva bene Gianni Sibilla a definirlo "Forza Tranquilla" questo album, da una parte l'oscuro muro di suono impersonificato da Ellis, dall'altra le liriche ed una voce che facevano dedurre il tempo del riposo e la fine dell'epica.

E invece la vita sa essere uno scherzetto del cazzo. A rileggersi Bunny Munro capisci quanto le cose a volte siano l'esatto opposto anche nella tragedia che tu, artista, ti stai scrivendo. Il finale di Bunny Munro, "la pioggia batte con forza e nubi nere tuonano e lanciano fulmini crepitanti nel cielo. La folla piange e grida sotto gli ombrelli gocciolanti […]" è quello della tragedia e della morte. Ma è un padre che deve morire ed è un figlio che deve battere le mani nervose sul corpo esanime, mai il contrario. Ad Ovingdean Gap succede che muore uno dei tre figli di Nick Cave, e chi ha visto 20,000 Days on Earth si ricorderà bene questa scena del padre che sale le scale di casa, entra in una stanza leggermente illuminata dai colori di un televisore acceso. E di un padre infilarsi trai due figli e mangiare un pezzo di pizza con il sorriso stampato sulla faccia. Questo era diventato Nick Cave: un papà.

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D'altronde Sick Bag Song, uscito in Italia per Bompiani, è una raccolta di appunti e pensieri scritti sui sacchetti degli aerei presi nel lungo tour del 2014, nei quali Cave si descrive come "un piccolo dio di terracotta che trema su un piedistallo". E nelle quali si scrive di muse ispiratrici. I démoni addormentati che si leggono in SBS si sono svegliati e con un po' di sensi di colpa sono emozionato e curioso per il nuovo album in uscita, Skeleton Tree. "Jesus Alone" è il primo singolo, con tanto di video, ed il cambio di tono rispetto a Push The Sky Away è inevitabile.

"You fell from the sky
Crash landed in a field near the River Adur
Flowers spring from the ground
Lambs burst from the wombs of their mother
In a hole beneath the bridge
She convalesce, she fashioned masks of clay and twigs
You cried beneath the dripping trees Ghost song lodged in the throat of a mermaid
With my voice I am calling you"

Non credo ci sia bisogno di fare la parafrasi del testo. Torna la visione più dolorosa e biblica del poeta australiano, per nulla distante dai testi scritti nel 1989, E l'Asina vide l'Angelo. Il video desaturato risalta rughe nuove sul viso di Cave. Uno statico piano nei quali dominano accordi minori, il violino alla fine è un lamento.
È successo quello che dicevano i miei amici: tutta questa tristezza gli farà tirare fuori qualcosa di buono. Forse non mi sarei dovuto prendere male un anno fa, è una frase che ha umanità e suona di empatia, se vista in questo modo. E cioè che, al di là del bene e del male, tutti facciamo qualcosa per buttare fuori il nero che vive dentro di noi: c'è chi lo fa scopando, chi riempiendosi lo stomaco di zuccheri, chi dipingendo, qualcuno semplicemente non ci pensa, e poi c'è chi scrive.

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