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Musica

Perché la musica di oggi è così lagnosa?

Rap e R&B ci stanno dando atmosfere sempre più narcotiche e patinate. Ci siamo chiesti il perché e ci siamo risposti che c'entrano il capitalismo ed Evangelion.

Di recente mi sono messo a riguardare la trilogia (in teoria dovrebbe essere una tetralogia, ma vabbé…) di Rebuild of Evangelion, una serie di anime che avevo a suo tempo consumato nella versione originale originale, lasciando che le atmosfere influenzassero gran parte dell'adolescenza. Senza starmi troppo a dilungare su cosa renda la saga di Shinji Ikari completamente diversa da qualsiasi altra roba di robottoni, devo dire che questa ri-visione mi ha turbato quasi più di quanto non fosse successo la prima volta. Questo perché mi è sembrato di ricevere dalla storia una visione della contemporaneità—magari inconsapevole, magari no—illuminante e inquietante. Una di quelle robe che magari hai sempre avuto chiare in testa, che ti paiono persino evidenti, finché vederle immortalate e complicate dal linguaggio di una qualche forma narrativa non te le fa risultare ancora più presenti e gravi. Shinji Ikari non vuole pilotare l'Evangelion, non è quella la sua prospettiva nella vita e, anzi, finché non gli si para davanti come condizione impellente non ha nemmeno idea che esista un Evangelion, che possa gravare su di lui la responsabilità di difendere l'umanità da esseri perfetti e indifferenti come gli angeli. Lo fa solo perché è suo padre, che non vede da anni e che fondamentalmente non lo ha mai cagato, a chiederglielo, anzi a imporglielo ricattandolo moralmente. Apparentemente, Shinji non ha talenti particolari che lo rendano una scelta sensata come pilota. Anzi, a dire il vero non pare proprio averne, di talenti.

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Viene messo lì, giovanissimo, costretto a conoscere la realtà e il mondo attraverso la lente deformante costituita una enorme bio-macchina distruttrice, un alter-ego elettronico incontrollabile. Come se imparasse a parlare, e descrivere il mondo, non da una creatura vivente, non dai suoi simili, non dai suoi genitori, ma da un apparato digitale. E attraverso questo, impara l'ansia del dovere-essere, una paranoia edipica che gli si impone addosso. È in questo che ho visto la contemporaneità, ho visto dei concetti espressi molto chiaramente in un libro che ho già citato alcune volte su queste pagine: Heroes — Suicidio E Omicidi Di Massa, di Franco Bifo Berardi, uno studio sul disagio mentale, soprattutto giovanile, di oggi, sulla sua diffusione virale e sulle sue relazioni col capitalismo.

Cito direttamente: "Quando il processo di apprendimento linguistico si riduce all'effetto di scambio tra macchina e cervello, esso si distacca dall'effetto emozionale (…) la conseguenza è una fragilizzazione psichica, dal momento che le parole non sono più in grado di afferrare significato, e il significato non è più radicato nella profondità del corpo". Questo rende anche impossibile "la percezione empatica dell'altro". In pratica: abituandoci a basare la costruzione della realtà tramite i computer (tramite l'Eva nel caso di Shinji), abbiamo problemi sia con la percezione della realtà che con la possibilità di stabilire scambi emozionali. Ancora più di Shinji, è emblematica Rei Ayanami: vuota, apatica e ancora più sola. Nella vita non ha altro che l'Eva, non produce affetti e non ha desideri.

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Il modo di reagire di Shinji è la lagna: è arcinota la sua tendenza a lamentarsi e piagnucolare, a compatire se stesso molto più dei destini del mondo, concentrarsi prevalentemente sulla sua solitudine. Mi sono chiesto se le generazioni più giovani fossero in qualche modo simili a lui. Mi sono risposto di sì, anche se spesso non lo sanno e anzi tendono a mascherarlo. Però emerge in molti campi, soprattutto in musica.

C'è infatti una caratteristica fondamentale del pop contemporaneo che la differenzia da quello di epoche passate. Per quanto mi riguarda, si tratta anche dell'elemento che me lo rende più faticoso da digerire, anche se quella che provo non è necessariamente repulsione, ma più una specie di confusione curiosa, di fascinazione "scomoda". Se non si capisce ora, si capirà a fine articolo. Ad ogni modo, il "problema" che ho con il pop di oggi è che è, per l'appunto… lagnoso. È un termine improprio e terribile, che preferirei non usare in presenza di uno migliore. Ma non esiste e ci dovremo accontentare.

Sono ovviamente necessarie delle precisazioni: non è un fenomeno comune a tutta la musica pop, ma principalmente ai generi che negli ultimi anni hanno attraversato processi d'evoluzione più profondi, e sono (ri)emersi come fenomeni estetici e codici di figaggine sotto forme intimamente mutate: tendenzialmente il rap, l'R&B, certa elettronica da club che sta all'incrocio con questi mondi, e gli ibridi più versatili come la trap. Per comodità si potrebbe dire che si tratta della musica di derivazione "nera", ma in molti casi ciò di cui parlo è colato via da quegli argini. In realtà, dato che provare a operare una divisione netta tra i generi è una cosa sempre meno sensata, è difficile anche definire fin dove arriva. Se non altro, però, si può identificare da dove è sgorgata. Ma cosa si intende per "lagna"? Anzitutto: non sto necessariamente dando al termine un senso esteticamente negativo. Anzi: persino il fatto che mi risulti indigesta, è in realtà il segno di uno stimolo nuovo e non ancora del tutto assimilato, di una capacità di generare qualche tipo di interesse. O almeno, così voglio interpretarlo. La nuova "Lagna" pop è fondamentalmente quel senso di cantilena stonata, lenta, ripetitiva, un lirismo tutt'altro che drammatico per quanto contenga una specie di tristezza irrisolta, di malinconia incerta sulle sue stesse origini. Di apatia riprodotta in gesti meccanici, vuoti perfino quando sono significanti di violenza. Sta nelle melodie auto-tunate e intrise di purple drank, nei synth melo-plastico-tetri, nei beat strascicati di 808.

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Ascoltate una qualsiasi traccia di Future come una a caso di Drake, ascoltatele bene: dentro il vuoto narcisistico del loro immaginario non risuona niente, è una superficialità che fa qpaura, ma è quasi impossibile biasimarli per questo. In fondo stanno riflettendo una condizione diffusa e continua, un materialismo spaventato dalla sua stessa disillusione tanto da rimuovere ogni consapevolezza del mondo, che si riproduce in tutti noi. È come se la generazione corrente fosse da una parte bombardata eccessivamente di informazioni tanto da non sapere più costruire una mappa convincente del reale, dall'altra troppo consapevole dell'orrore del passato e di quello del presente da farsi qualsiasi parvenza di illusione utopica. Ma implicitamente si lamenta, si lagna. L'impegno espressivo è urgente ma non vitalistico, anzi puzza di morto.

In realtà all'origine di questi suoni ci sono anche, come sempre, una serie di componenti squisitamente tecniche: la diffusione dell'auto-tune, ad esempio, ha di fatto portato verso la melodia anche gente che non sapeva per un cazzo cantare. La costruzione di melodie da parte di chi non ha senso melodico ha generato una strana frizione e risultati per forza di cose sgraziati. Coperta però dallo scintillio digitale del plug-in, questa sgraziatezza si trasforma in una immobilità narcotica. L' R&B, risuscitato cinque anni fa dopo anni di oblio, è quindi tornato in versione digitale, il suono del consumismo contemporaneo traslato in una banalità zombie. Allo stesso modo groove, privato di soul, si trasforma in uno sballottamento forzato, come se si stessero colpendo direttamente i nervi per far muovere gli arti di un corpo inerte, senza che uno stimolo esterno abbia stimolato reazioni emotive reali. È una lagna anti-erotica.

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Il fondamento della lagna, come si diceva, è il narcisismo. Oltre che dallo scontro tra coscienza, virtualizzazione e quantità di informazione, è frutto di una disillusione per le possibilità, sia individuali che collettive, di modificare il reale in senso duraturo: l'effetto è che, nell'apatia generale non ci si scorda di volere avere accesso al godimento. Il classico materialismo rap si sublima così in una incapacità iperbolica di guardare oltre se, anche quando si parla di amore. Prendete un qualsiasi testo da Views, e notate come ogni sentimento espresso sia in realtà macchiato di un egoismo a consapevolezza intermittente, inserito in un contesto melodico che stiracchia l'emozionalità fino a trasformarla in una anaffettività tutta superficiale, anestetizzata, contraria alle profondità, che in qualche modo percepisce se stessa come più autentica.

Nell'R&B è anche l'influenza di caratteri caraibici, più o meno derivanti o contaminati dalla dancehall, a influenzare in parte l'ipnotismo stonato del nuovo corso. La trasposizione degli elementi melodici e ritmici più immediati nel mondo del deficit d'attenzione digitale, però, lo immerge in un materialismo che sotto la soddisfazione e l'autocompiacimento sembra contenere un urlo atroce, soffocato sotto la superficie. Anzi: anestetizzato dalla superficie. Quello che sopravvive sopra è un'espressione emotiva tra il nostalgico e il grottesco, ma dilatato dall'upgrade HD e trasformato in qualcosa di troppo lagnoso per essere vero. Il che lo rende ancora più vero.

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La violenza meccanica della trap più stradaiola, forse, ne esprime ancora meglio la contraddizione, e appunto, non è un caso che questa di nuova tristezza sia sorto dalle comunità afroamericane e dalla loro di musica. Nelle periferie di Atlanta e Chicago sanno che eoni di concious rap non hanno portato a un cazzo di niente. Il successo planetario di artisti neri non ha cambiato un cazzo di niente. Neanche avere un presidente nero ha cambiato un cazzo di niente… Non pare quindi esserci alternativa a un semio-capitalismo sempre più alienante. Ma tanto chi la vuole? Per campare ti tocca ancora essere scaltro e sfacciato, spaccarsi la schiena non paga, gli sbirri continuano a spararti solo per il colore della tua pelle. Essere gangsta è quindi ancora un rifugio, i soldi e quello che ci puoi comprare sono ancora l'unico assoluto, anche se mettersi in quella posizione vuol dire ricoprire un ruolo oramai peggio che banale, una trappola come le altre. Nella caricatura grottesca di un mondo sensato, essere la caricatura grottesca di un rapper è, quindi, fin troppo sensato.

In questo senso, anche i cliché lirici del rap, nel cosmo rap trap/drill diventano una specie di mantra reiterato a forza, una serie di formule automatiche oramai ridotte a significanti puri, una preghiera scollegata dalla realtà che produce la mappa iperreale di una nuova dimensione, che sotto l'influsso ipnotico e scintillante di "ghiaccio" & oro e la fattanza da erba & codeina diventa anestetica. È l'unico modo di reagire alla disumanizzazione, rincorrendo anche disperatamente una mascolinità in crisi, che si alimenta e distrugge di continuo in un circolo vizioso col narcisismo. Il fatto che questo sentimento si sia riversato tutto nel mainstream è tutto determinato da quanto è espressione dello zeitgeist più autentica in circolazione. La vera violenza del rap di oggi non è tanto nell'arroganza espressa quanto nel modo in cui esprime una superficialità angosciante. Quindi pure quando si tira fuori tutta la cazzonaggine che si ha in corpo (tipo in "Stoner" di Young Thug), quello che dobbiamo sentirci è una presammale nascosta.

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È per lo stesso motivo che anche molti dei producer di avanguardia post-club fanno uso della stessa emozionalità "finta" nello stesso modo in cui sfruttano il potenziale manipolatorio del sound design cinematografico per sfiorare il "panico". Il rovescio della medaglia è il suono sparato e inverosimilmente preso bene della EDM: musica ancora più irreale, figlia di una cultura preadolescente che ha scoperto l'MDMA (anzi, un surrogato meno empatogeno dell'MDMA) in ritardo sul resto del mondo, e non ha ancora capito che il down è ogni volta dietro l'angolo e sta già rosicchiando come un tarlo sonoro la musica stessa. Il "nuovo" rap e il "nuovo" R&B sono invece già lì. Da un sacco di tempo. Anche personaggi più liminali come Kanye sono intrisi di quello spirito tragico-apatico-narcisisitco. Anzi, Kanye, con le sue psicosi ne è immerso fino al collo e tende forse a parlarne troppo onestamente, ma di questo abbiamo già parlato altrove.

Comunque, è interessante anche notare come gli epigoni europei (dalla Dark Polo Gang ai PNL) abbiano riproposto inconsapevolmente quel "male", ma raffreddando gli animi fino a risultare davvero grotteschi, ma stavolta nel senso più negativo del termine. L'unica aggiunta interessante viene da Yung Lean e i suoi Sad Boys, che per quanto facciano una versione mega-hipster del rap, aggiungendo patine arty e una post-ironia che li rendono quasi metalinguistici, anche se probabilmente non gli frega niente di esserlo. Ad ogni modo, per quanto rivendichi lo stesso culto delle firme e della fattanza, la cricca svedese non nasconde nemmeno la propria depressione incurabile, l'abuso di vuoto che spinge verso l'abuso di tutto. Non se la menano di essere i più cazzuti, loro, casomai di essere i più tristi in circolazione.

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È uno strumento di protezione ironica, ma è anche la verità. Yung Lean non finge di spassarsela nel rap game, d'altronde non ha davvero niente da cui doversi emancipare: è un maschio bianco e borghese di un ricco paese europeo. Basta leggerne la storia per capire quanto non ci sia tragedia se non quella della banalità che porta all'assenza di affetti. È il "benessere" schiacciante della Scandinavia, un genere di pressione verso l'omologazione dei desideri che, anziché basarsi sull'esclusione/competizione di classe (o razza, o genere) come in America, fa leva sulla soddisfazione immediata dei bisogni e sull'inerzia esistenziale. E infatti, neanche musicalmente i Sad Boys hanno fatto nulla, se non prendere qualcosa che esisteva già e provare a svuotarlo ulteriormente, avendo paradossalmente il coraggio di ammettere la loro apatia.

Ma su entrambe le sponde dell'oceano stanno macchine cariche d'ansia, e in entrambi i casi l'unica risposta pare essere quella di insistere sugli stessi meccanismi malati. Questo perché non pare esistere un linguaggio che gli sfugga, uno che possa aiutare a costruire dei rapporti basati sulla comprensione e l'inclusione dell'altro. Se pure esistesse non c'è nessuno a insegnarlo, non c'è nessuno a costruire una dimensione in cui i corpi, i desideri, gli affetti possano interagire davvero. Resta solo da affrontare un mondo indifferente, fino al disastro. Nel caso di Shinji Ikari, dare le estreme conseguenze alla lagna è pilotare l'Eva fino a sfinirsi. A quel punto, però, il mostro va in Berserk, inizia a comportarsi secondo un istinto primordiale che è solo distruttivo.

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