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Musica

È un Paese per vecchi

È come se questo inizio 2016 ci stesse comunicando che è il momento di reclamare un ricambio generazionale.

3, 2, 1… Vecchi!

Il contenuto di questo articolo non è pensato per far arrabbiare nessuno, nemmeno per dare dei vecchi alle persone che sono vecchie o a chi ama i vecchi, io amo i vecchi, da quando mia nonna è morta per me ogni vecchio è mia nonna, i vecchi vanno rispettati, non serve che li si chiami anziani per rispetto, serve che li si tratti bene e non ci si dimentichi di loro, perché un Paese in cui i vecchi sono dimenticati dà in questo modo un'evidente prova di inciviltà.

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Tuttavia.

Il rispetto dovuto ai vecchi non significa che questi debbano stare dappertutto, che il loro potere sia talmente sciamanico che quel rispetto si trasforma poi in devozione, e in convinzione che qualsiasi cosa faremo non saremo MAI all'altezza di questi vecchi, anche se in parte è vero. Non ci sarà nessun David Bowie, nessun Lemmy, nessun Tupac. A meno che qualche festival non decida di invitare i loro ologrammi come headliner.

Da qualche ora è uscita la lineup del Primavera Sound, che ricordo personalmente come il luogo in cui, gli scorsi anni, sono riuscita a litigare, farmi rubare il telefono, bestemmiare per il freddo e perdermi quaranta concerti, tutto questo solo nella prima ora di festival. Se lo scorso anno ho riso perché, ancora una volta, c'erano robe che mi ascoltavo da adolescente, quest'anno—sarà perché l'adolescenza si allontana, sarà perché inizio gennaio non è stato un bel periodo per riflettere sul passato e sul presente della musica—ecco, scusate se quest'anno mi è sembrato una presa per il culo.

TUTTI VECCHI TRANNE I RAPPER

Me la metto via solo perché sono consapevole che il Primavera non sia mai stato una roba all'avanguardia, è più il festival in cui notoriamente si va per assumere qualche droga che ti farebbe venir voglia di metterti sul divano di casa ad ascoltarti i tuoi dischi vecchi, e arredare la tua comfort zone con pensieri semi-onanistici tipo madonna che pezzaccio "Climbing Up The Walls" senti che giro di basso porca troia non ne fanno più di dischi così.

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Non ne fanno più e mica lo dici solo tu sul tuo divano o in fila per i cessi chimici al Forum o mentre posti i pezzi di Bowie su Facebook, lo dicono anche le statistiche: proviamo a indovinare chi domina il mercato discografico. Tu guarda: i vecchi e i morti. Per la prima volta nella storia, comunica questo articolo, le vendite di ristampe hanno superato quelle di nuove uscite. Chiedersi perché succedano queste cose è compito di chi per lavoro si occupa di musica, e non solo della sottoscritta o dei miei colleghi (seppure finora non abbia ancora visto molto più che prese d'atto a riguardo), ma di chi si occupa di gestire il mercato musicale. Qualche giorno fa il presidente di Universal Music Italia, Alessandro Massara, si è lamentato in questa intervista che l'Italia è un Paese per vecchi (tu guarda, Massara ed io andiamo più d'accordo di quanto m'immaginassi!) e che gli artisti che passano in radio sono sempre gli stessi. Giusto, ma da che mondo è mondo le major stipulano accordi con le grosse radio per i passaggi in radio dei pezzi dei loro campioni, e le radio di conseguenza iniziano a farsi concorrenza a chi ha più ascoltatori livellando al ribasso la qualità e la varietà della proposta. È un cane che si morde la coda, nonostante le belle parole di Massara, che punta sulla giovane artista Joan Thiele per il futuro. Joan, speriamo che le tue virtù riescano a compensare questo. Joan, non dimenticarti che Jovanotti e Vasco sono parte del problema. Combatti Joan, sei tutti noi!

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È chiaro che non c'è un artista, non me ne voglia Joan, in grado di compensare, quantomeno in Italia, il dilagare dei vecchi. Siamo un Paese troppo piccolo per non sentire con dolore le connessioni strette tra major e media, che non possono essere combattute con dichiarazioni a vanvera su Internet, perché esistono a livello molto più radicato di quanto ci immaginiamo.

Fuori dal panorama del nostro Paese però non va tanto meglio. Il più grosso festival al mondo vive, se non di ologrammi, di reunion. La reunion è l'evento principale che muove le masse. Non vediamo l'ora di rivederli. Torniamo indietro e riguardiamo sempre la stessa scena, come nell'Invenzione di Morel o in quella puntata di Black Mirror. In parte probabilmente la distanza dalla concretezza della realtà musicale, dal vinile, dalla carta stampata, dalla sensazione tattile della musica è il primo passo verso il prenderla in considerazione come elemento fondamentale del proprio paradigma culturale.

Il rapper Fedez con un ragazzino del suo fan club.

Un'altra delle ragioni per cui si avvicina il prepensionamento è che ci siamo allontanati dalle strade, o forse le strade si sono allontanate dalla musica, non so bene com'è successo, ma i rapporti tra i due mondi si sono raffreddati. C'è questo documentario bellissimo sulle gang di New York che hanno ispirato i Guerrieri della Notte in cui si racconta l'origine dell'hip hop, ragazzini che si ammazzavano di botte per le strade e che ad un certo punto hanno iniziato ad ammazzarsi di battle di breakdance, poi di freestyle e tutto il resto di seguito. Strade che avevano il loro suono, identità che avevano il loro suono. Se ultimamente vi è capitato di passare per una qualsiasi manifestazione vi renderete conto che l'urgenza di chi fa sentire le proprie recriminazioni non ha, da qualche tempo, il proprio suono, se non la solita drum'n'bass da rave o qualcosa di assimilabile agli Ska-P. La distanza in questo senso non è incolmabile, è solo uno dei tanti modi in cui la nostra estetica politica dovrebbe reinventarsi. Il punto è che questa reinvenzione non dovrebbe stare al fondo della lista delle priorità, anzi, dovrebbe essere quasi una preoccupazione essenziale quanto quella contenutistica. La musica, in questo senso, è sempre stata un'arma potente, e di riflesso il riconoscimento binario che si aveva, qualunque fosse l'àmbito della tua lotta—politico, sociale, personale—era il primo scalino per creare nuovi punti di riferimento, nuovi eroi musicali. Bowie ne è l'esempio più eclatante perché ha incarnato talmente tanti zeitgeist da essere parte di essi, parte della storia che stava raccontando attraversandola col proprio corpo e con la propria arte, e la stava raccontando a chi si identificava anche solo con un suo pezzo o un suo abito.

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Ma David Bowie è morto, come Lemmy, Glenn Frey e molti altri. Come Ettore Scola, per il cinema. È come se questo inizio 2016 ci volesse comunicare che è giunta ora di reclamare quel ricambio generazionale che è più o meno dal 1994 che nessuno ha più il coraggio di costruire, perché il nostro ultimo eroe è morto a 27 anni 21 anni fa. Per i successivi dieci anni abbiamo cresciuto tutti quei gruppi alternativi che ora riempiono il cartellone del Primavera Sound, nessuno dei quali è partito con l'idea di rappresentare molto più che una cameretta in cui soffrire da soli, la stessa in cui ci sediamo per mettere su i vecchi dischi. Ci siamo abituati ad un ascolto più intimista, personale, a spaventose scene di silent disco che dividono e isolano gli individui tipo in The Lobster. L'identificazione è ancora più difficile se chi hai davanti è un muro, sia esso un DJ o una band. Aggiungiamo al quadro che, come dicevo prima, la concretezza dell'esperienza musicale è andata perdendosi in una sovradisponibilità di dati non tangibili, tanto che la rappresentazione più realistica di cos'è la musica oggi è una nuvola.

Su quella nuvola ci sono tutte queste cose non reali a cui dovremmo rapportarci: pezzi in streaming, Boiler Room, cantanti morti, ologrammi, documentari, simboli di epoche passate. Non a caso più ci si spinge verso le avanguardie più la riflessione sull'inconsistenza è accentuata e più si sente il bisogno di ridare un posto a tutto questo passato, un posto che non stia in alto sulla nostra testa, ma solido sotto ai nostri piedi, e questo lo dicono gli artisti più lontani dal volersi erigere a icone, ironicamente però sono loro gli unici che in realtà stanno a rappresentare urgenze concrete.

Per quanto questi artisti siano in grado di portare con sé riflessioni e rappresentazioni molto più concrete di tanti altri, non è a loro che va affidato il compito di salvare capra e cavoli, anche perché la natura stessa delle avanguardie è di stare lontane dal centro della scena, quindi non esistono soluzioni immediate al problema. Ora diamo la linea alla pubblicità progresso in cui vi dico che probabilmente sta in mano anche un po' al singolo individuo, per la prima volta, e questo è molto bello in realtà, la possibilità di cambiare almeno un pochino il corso delle cose. Il modo in cui fruiamo della musica è molto lontano dal toccarci concretamente perché non permettiamo che lo sia. Per molti la musica è un accessorio, un accompagnamento, consumiamo musica in continuazione senza darle un significato più grande. E consumandola ne perdiamo tutto il potenziale, tipo quando strofini le ali a una farfalla e le togli quella polverina del cazzo che la fa volare (se lo avete mai fatto vi capisco, l'ho fatto anch'io, ma ora siamo grandi ed è il momento di viversela in modo più antispecistico). Consumandola, la trasformiamo in fantasma, ma in un fantasma molto più inconsistente di quelli che dominano il paradiso (o l'inferno) della musica, in un fantasma sfigato che sta in purgatorio.

Ora che molti dei veri fantasmi sono tali, l'unico modo per non produrne altri di qualità inferiore è cercare di concretizzare, in tutti i sensi possibili, il nostro rapporto con quest'arma potentissima che potremmo avere in mano e invece stiamo lasciando in qualche armadio vecchio perché non è comoda, è pesante, sicuramente più pesante di tutta la leggerezza che vivere in una nuvola ci permette. Ma i vecchi continueranno a morire fino al momento in cui ci renderemo conto che non abbiamo più nulla sotto i piedi e sta tutto sulla nostra testa, quindi forse sarebbe ora di prendersi con un certo anticipo.

Segui Virginia su Twitter: @virginia_W_