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M.I.A. ci parla di "Borders" e delle minacce ricevute per la maglia del PSG

"C'è gente lassù a cui quello che faccio dà parecchia noia"...
Ryan Bassil
London, GB

Le immagini sono tratte dal video di "Borders".

"Borders" di M.I.A ha lasciato molti a bocca aperta. Da quando è uscito, lo scorso novembre, il video che ha diretto lei stessa richiama immagini della crisi umanitaria in atto—per cui persone provenienti da Paesi in via di sviluppo di ogni angolo del mondo sono costrette ad affrontare pericoli tra le mura di casa e minacce a volte più pesanti durante la ricerca di un posto in cui stare al sicuro. Molto spesso i rifugiati non hanno con sé che pochissimi vestiti, un telefono cellulare e la speranza molto delicata che la barca sulla quale si trovano raggiunga la propria destinazione.

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Nel video di "Borders" guardiamo in faccia le molte forme della migrazione di popoli—chi attraversa il deserto, chi si arrampica sul filo spinato, chi affronta il mare aperto. Non solo la traccia in sé espone con fermezza alcuni aspetti della crisi in atto, ma il video, in particolare, attesta la solidarietà di M.I.A.—come artista, oltre che come rifugiata, essendo lei arrivata a Londra dallo Sri Lanka quando aveva nove anni—con i cittadini del mondo. O, almeno, questo è il modo in cui "Borders" è stata interpretata.

La squadra di calcio Paris Saint Germain, come vi avevamo raccontato, in una lettera del 21 dicembre dello scorso anno, ha minacciato di muovere azioni legali contro di lei per via di una maglia che indossa nel video, in cui lo sponsor ufficiale del PSG, "Fly Emirates" è stato modificato con la scritta "Fly Pirates". Tra le altre cose, nelle quattro pagine della lettera si legge: "Ti sei approfittata della nostra popolarità e reputazione per implementare il tuo ascendente come artista e, di conseguenza, i profitti del tuo lavoro." Il resto della lettera del club indirizzata a M.I.A. è reperibile qui (tramite il suo Twitter).

Questa minaccia è stata una sorpresa per molti. Come puoi chiedere a un'artista come M.I.A. di rimuovere un video incentrato sulla crisi umanitaria e su ben altri problemi soltanto perché vi figura una versione taroccata di una maglietta ufficiale di calcio? Non hanno forse i legali del PSG questioni un po' più importanti a cui dedicarsi? Abbiamo chiamato M.I.A. (che non è nemmeno alla sua prima causa legale, dato che era già stata coinvolta in un contenzioso con la NFL per via del suo dito medio alzato durante il Super Bowl) per chiederle alcuni chiarimenti sulla situazione attuale, sul suo nuovo album e sul significato e le idee dietro al video di "Borders".

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Noisey: Insomma, tutto sto casino per una T-shirt. Suppongo che tu abbia trovato quella maglia taroccata del PSG in qualche mercato in Qatar?
MIA: Sì, ma sono stata io a trasformare la scritta in Fly Pirates. Ci ho messo io stessa quella P. La maglia che avevo comprato era quella ufficiale, con il marchio Fly Emirates, ma davvero avrebbe potuto essere la maglia dell'Arsenal o del Real Madrid, non è rilevante. Mi interessava lo sponsor, non la squadra. Alla fine ho scelto quella del Paris Saint Germain perché ho parecchi amici a Parigi e volevo un collegamento con la città. Non mi aspettavo affatto che sarei andata nei guai per questo.

Nessuno ti aveva avvertito della possibilità di ritorsioni di questo genere?
Quando ho girato il video ero molto consapevole della difficoltà di portare avanti l'intero progetto, sapendo che stavo facendo qualcosa di borderline che poteva essere frainteso in parecchi modi. Sapevo che alcuni si sarebbero aspettati che uscissi con un video sui pirati somali. Un sacco di gente mi ha chiamato mentre ero a girare in India: artisti, registi, giornalisti e così via, ma io ho voluto fare tutto per conto mio. Non avevo mostrato a nessuno la versione finale, prima che uscisse. In molti mi dicevano cose tipo "e adesso che farai, girerai un video con africani che muoiono di fame e un appello da rifugiata alle Nazioni Unite per fare qualcosa?"

E insomma, consapevolmente ho deciso di tracciare una linea di demarcazione tra ciò che poteva essere considerato "figo": fornire armi a queste persone per farle diventare pirati, separandoli dalla schiera di gente disarmata, come i migranti e i rifugiati. Il progetto dietro al video era teso a definire la differenza tra queste due realtà. Quando ho deciso di indossare quella maglia, ho pensato che potesse essere un riferimento a quel frangente—chiaro che avrei potuto girare un video "figo" sui pirati, sarebbe stata una cosa spettacolare e tutti ne avrebbero colto il lato "cool". Invece ho scelto di comunicare qualcosa che credevo più urgente, ovvero che questa gente non è quella roba. Non si tratta di persone violente, armate, arrabbiate e sul piede di guerra. Per me era importantissimo chiarire quel punto, ed ecco perché ho girato il video in quel modo.

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Infatti questa demarcazione è piuttosto chiara. E soprattutto è chiaro l'intento di umanizzare un tema che viene demonizzato, il più delle volte, dalla stampa.
Non volevo contribuire ad alimentare la confusione che il più delle volte si fa tra la gente in difficoltà e quella che rappresenta una minaccia per la società. Il punto è questo. Molto spesso i due piani si confondono e, nella pratica, accade che persone che già vivono una situazione difficile si trovino immischiate con conflitti, gruppi armati o pirati. Quella maglia era un po' una risposta a chi mi chiedeva perché non facessi un video fighetto sui pirati somali. Ecco perché: perché non è quello di cui abbiamo bisogno in questo momento. È assurdo, però, che io stia avendo problemi proprio per via di quella maglia. Per quel che ne so è anche realistico vedere i migranti indossare maglie di squadre di calcio. Cosa vogliamo farci? Non possono negarlo, a meno che la loro intenzione sia di cancellare ogni immagine legata al loro marchio dalle televisioni che trasmettono in quei Paesi.

Alcuni articoli riguardanti la lettera che hai ricevuto, incluso quello che abbiamo pubblicato noi, ipotizzano che tu abbia scelto quella maglia di proposito, come elemento critico nei confronti degli investimenti di Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Ci siamo sbagliati?
No, ecco, il proposito non era quello. Pensavo più al quadro generale, che riguarda le migliaia di persone che continueranno a morire durante la migrazione, se non facciamo qualcosa. Siamo in pieno inverno. Chiaramente penso anche a quelle 1.200 persone morte in uno stadio in Qatar, ma credo che si parli di tutt'altri numeri per quanto riguarda i rifugiati, e che è lì che dobbiamo agire. La stessa cosa è successa ai Tamil che hanno lasciato lo Sri Lanka tra il 2009 e il 2010, e ancora sono dietro alle sbarre, molti di loro sono morti all'altezza di Christmas Island mentre tentavano di raggiungere l'Australia. Ecco, per me è questa l'entità del problema.

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Su Instagram hai scritto che è assurdo che il Paris Saint-Germain FC volesse rimuovere ogni collegamento con la crisi in atto, dal momento che gran parte dei giocatori di calcio sono migranti di seconda generazione.
Ecco, sì! C'è gente che viene dall'Angola o da Haiti, per dire. Come possono prendere le distanze da questa causa, se conoscono le storie personali dei propri giocatori?

Quindi ora cosa succederà?
Non ne ho idea. Trovo abbastanza arrogante il loro tentativo di mettere le cose in questi termini. Non puoi sottoporre a controlli polizieschi chi indossa una maglia, non puoi controllare quando e come la indossa. Se rappresenti una fetta di popolazione, che ne so, se fai un film sui samurai giapponesi, non puoi fare a meno di utilizzare gli abiti che userebbe un samurai. Credo che per parlare di migranti, di rifugiati, di gente che vive in zone di guerra più in generale, non puoi fingere che le maglie sportive non siano parte dell'uniforme. Come puoi pretendere di controllare una cosa del genere? Ovviamente non posso permettermi di affrontare una causa. Sono stata in causa per quattro anni di fila, finora. Se devo affrontare un altro anno così non so come potrei reagire.

Caspita, dev'essere estenuante.
È estenuante soprattutto quando sei una mamma single con un bambino piccolo e allo stesso tempo cerchi di fare qualcosa con la tua musica, di fare un lavoro creativo. Il tempo perso su cose del genere, soprattutto quando sono irrilevanti, è una fatica. Preferirei passare quel tempo andando a Calais a giocare a calcio con i profughi, creare una squadra e chiedere al PSG di finanziarla, se ci tengono davvero, anziché dover affrontare tutto questo iter processuale per una maglietta.

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Vedi qualche soluzione all'orizzonte?
Credo che entrambe le parti potrebbero convenire: ok a voi importa di questa cosa, e anche a me, giusto? Perché stiamo il prodotto finale, il derivato artistico, e oltretutto è un po' tardi per farlo, dato che è già fuori e sotto gli occhi di tutti. Non credo che il video abbia avuto una ricezione negativa in alcun modo—tranne che per l'articolo cui fanno riferimento loro, e dio solo sa chi ha pagato perché uscisse un articolo del genere—perché non ho mai tirato in causa la maglia e non ne ho infangato la reputazione.

Nel frattempo c'è anche un sacco di gente su Twitter che chiede quella versione della maglietta.
Sì, quello sembra essere stato il dettaglio del video che è rimasto in testa a più gente, ai francesi di sicuro, da quello che vedo su Internet, su Instagram e dagli still del video che girano. Se prendi un'immagine da un video, non importa che tu la usi per il tuo sito, per un blog o per il tuo account Instagram, quell'immagine rimarrà come riferimento anche per altri. E per questo in tanti mi chiedono della maglia, ma io quella maglia non l'ho sfruttata, con quella maglia non ci ho fatto soldi. Il mio video è su Apple, non guadagno con le visualizzazioni. Hanno pagato per avere un video e io gliel'ho dato, ecco tutto. Che in qualche modo il messaggio del video abbia conseguenze positive per chi è in difficoltà, questo è tutto ciò che chiedo. Da qui, tornare indietro e difendere la scelta di quella maglia mi sembra un po' complesso. Devo concentrarmi sul lato positivo. Per quanto mi riguarda, la mia situazione personale è una storia giudiziaria di cause contro questa gente, contro squadre sportive. Sono queste persone che continuano a darmi addosso. Non so davvero che fare. Probabilmente dovrei sposare un calciatore.

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A parte quella maglia, "Borders" è stato un mattone in faccia alle discussioni intorno alla crisi umanitaria. È di questi temi che tratterà il tuo prossimo disco Mahtadatah?
Da qualsiasi cosa raccogli i frutti che poi andranno a riversarsi nei tuoi lavori successivi. Concettualmente, ci tengo che il margine entro il quale lavoro sia sempre ampio, geograficamente, psicologicamente, fisicamente, emotivamente, e partire da lì. È interessante far uscire queste cose e vedere dove risuonano, se hanno colpito i punti cui miravi originariamente.

Prima mi hai detto che, “la gente pensa che M.I.A. debba fare un video cool sui pirati o cose del genere," in realtà il tuo modus operandi è usare i tuoi mezzi per far luce su questioni serie. Pensi che altri artisti siano spaventati dall'idea di trattare temi delicati come l'immigrazione e la crisi, che abbiano paura di essere accusati di volersene approfittare?
Credo che in realtà il timore sia quello di risultare pesanti, noiosi. In tanti non parlano di questi temi perché non è sexy. Se avessi fatto un video in cui stavo mezza nuda in vestiti succinti e poi avessi indossato, in una scena, la maglia del PSG, credo che non avrei avuto questi problemi. Il problema è che il mio video non era sexy, anzi, in un certo senso era respingente, credo. [Con la voce impostata] "Non è sexy e mi terrorizza, allarme rosso—devo andarmene da questo terreno minato!"

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L'anno scorso hai scritto su Twitter che avevi girato un video in Africa che poi non è stato reso pubblico per via di accuse di "appropriazione culturale". Ci hai pensato mentre giravi “Borders”?
Mi ha aiutato. Il video che è stato censurato—e censurato ovunque—era per una traccia intitolata “Platforms”. Ed era un modo per testare le piattaforme in questione. E queste piattaforme hanno reagito con una censura all'unisono: Apple, YouTube, Vevo, fai un nome, ci ha censurato il video. Perché diceva la verità. Con “Borders” stavamo sulla sottile linea che va dalla verità alla fiction, diciamo.

In che senso?
A sud dell'India ci sono 132 campi di rifugiati Tamil, sono lì da sempre. La gente che sta nel mio video, quel gruppo di ragazzini nei campi sono una seconda generazione, sono nati e cresciuti lì—non ci sono arrivati con i barconi, sono stati i loro genitori a farlo. Ecco da quanto stanno in quei campi, in quei Paesi. Ma sono a tutti gli effetti dei rifugiati: hanno un coprifuoco, hanno bisogno di un pass per uscire, per cercare un lavoro, devono farlo, anche se non sono a tutti gli effetti cittadini. Immagini quanti problemi ho dovuto affrontare per farli comparire nel video. All'inizio volevo girare alcune scene nel campo perché volevo che i ragazzini Tamil fossero il punto focale del video, la narrazione, che comunicassero loro il messaggio, che passasse tutto tramite loro. Poi ho avuto tanti di quei problemi burocratici che ci ho rinunciato, peccato, perché sarebbe stata una cosa bellissima. Quel giorno era anche l'anniversario dell'indipendenza dell'India e i Tamil dello Sri Lanka sono ancora considerati un pericolo. Durante lo shooting ci siamo dovuti spostare dalla zona Tamil Nadu a Pondicherry perché avevano alzato tutte le misure di sicurezza antiterroristiche.

Alla fine abbiam raccolto dei ragazzini dalla strada, ma è stato bello poter dire di aver lavorato con loro. Questi ragazzini vengono dalle baraccopoli, vengono dal ghetto, sono i ragazzi delle classi infime, e qui stanno a rappresentare qualcuno che sta ancora peggio di loro. È stato incredibile da parte loro prestarsi a questo e sono molto grata perché il risultato è fantastico.

Quando dici che c'è gente che vuole mettere a tacere certe cose che tu, ad esempio, porti in superficie, perché pensi che questa gente—la NFL, il PSG o chi per essi—ti stia così addosso?
Non lo so. Probabilmente c'è qualcuno lassù che mi odia. Sento il peso di questa forza sulla mia testa, ma credo che renda il gioco ancora più interessante perché in fin dei conti non me ne importa niente. Chiaro, credo che potrebbero trovare un modo migliore per sprecare i loro soldi. Quante volte la stampa parla male dei calciatori? Di tutte le situazioni in cui sono coinvolti? Perché vogliono far casino con me, che non c'entro nulla? La loro lettera dimostra che sono preoccupati del posto in cui sto portando il nome della loro squadra, e questa è roba da pazzi.

Oltretutto, adesso che la lettera è sotto gli occhi di tutti, è evidente che siano loro in torto marcio. Diciamo che quantomeno il PSG non ne esce bene, ecco…
Non ne esce affatto bene. In particolare dal momento che sono già passata da questo iter processuale contro squadre trecento volte più grandi della loro, mi spiego? Tutta la NFL. Non solo una squadra. Non solo i Giants. Ho avuto tutta la NFL contro. E ho vinto. Quindi se vogliono starmi addosso per una maglia, mi sembrano completamente fuori di testa. Mi sembra una battaglia ridicola da combattere in questo momento.

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