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Musica

L'uomo che scoprì Prince

Owen Husney è stato il primo manager di Prince e ci ha raccontato di quando, appena diciottenne, informò l'etichetta di voler produrre tutto da solo.

Prince a un incontro coi fan. Il suo manager Owen Husney è l'ultimo a destra.

Il mese scorso ho parlato con il primo manager di Prince, Owen Husney. Si tratta dell'uomo che scoprì Prince quando era ancora un adolescente che viveva in un seminterrato a Minneapolis, l'uomo che ha assicurato a Prince il suo primo contratto discografico e che lo ha aiutato a trovare i musicisti per la sua band. Husney era lì durante la lunga sessione di registrazione del primo album di Prince, For You, al suo fianco quando il testardo diciottenne informò l'etichetta di voler produrre tutto da solo, nonostante la sua mancanza di esperienza.

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Prince suonò tutto da solo in For You—comprese le campane tibetane—e il mese scorso l'album è stato finalmente ristampato in vinile, che è il motivo per cui ho deciso di telefonare. Volevo sapere come Husney si sia imbattuto nel minuto ma appassionato ragazzino, e come fu realizzato For You. Tutte queste cose assumono un significato tutto diverso a posteriori della morte improvvisa di Prince. Quattro settimane dopo la mia conversazione con Husney, Prince è scomparso. Non sarà l'album che gli ha portato la fama e l'adorazione di tutto il mondo (questo avvenne l'anno dopo, con il suo album omonimo), ma si tratta senza dubbio di una raccolta coraggiosa e armoniosa. La sua nascita, però, è stata tutt'altro che semplice.

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Quando Owen Husney incontrò Prince Rogers Nelson a metà anni Settanta, era in una buona posizione per svoltare la carriera del giovane prodigio. Negli anni Sessanta Husney aveva fatto da manager e chitarrista per la band garage rock The High Spirits, che conquistarono una hit con la cover della vecchia canzone blues “(Turn on Your) Love Light”—il cui successo portò loro fama e un tour negli USA.

“Avevamo le groupie, avevamo un piccolo bus, non avevamo i miliardi ma, sai, era una vita abbastanza folle", spiega. "E parliamo degli anni Sessanta, te ne accorgevi quando stavi avendo successo, diciamo, e noi ce ne approfittavamo". Da questo si può capire che gli High Spirits dovevano darci piuttosto dentro. Dopo la band, Husney si fece le ossa nell'industria in diversi ruoli—come il booking agent, ma mise in piedi anche una ditta con cui produceva locandine e pubblicità per le band; andò in tour con Sonny & Cher e servì al catering di un locale di Minneapolis da cui passarono tutti, da Janis a Stevie agli Stones agli Who.

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“Quando cominciai a gestire Prince, avevo già sentito tutte le possibili discussioni tra manager e artista mentre disponevo la mortadella sui vassoi nel backstage", racconta ridendo. "Ascoltando tutte queste discussioni, mi ero fatto un'idea di come funzionava il rapporto manager-artista".

Nel 1976 Husney ricevette una telefonata dal suo amico Chris Moon, proprietario di un piccolo studio in città. Moon gli parlò di Prince in questi termini: "Ho la Next Greatest Thing". In quel periodo Husney era impegnato e disilluso—aveva sentito quella frase un milione di volte—ma quando ascoltò i demo di Prince, attirarono la sua attenzione. Le canzoni erano blandi esercizi da dieci minuti, ma il talento si notava immediatamente. "Cacchio, se riuscissi a mettere le mani su di lui…" pensò Husney. Da qui lasciamo a lui la parola…

Owen Husney: Così chiesi a Chris Moon: "Chi c'è nel gruppo?" E lui rispose: "È un tipo da solo, ha appena compiuto diciott'anni, ha suonato e cantato tutto lui. L'ho aiutato con qualche verso, ma praticamente ha scritto tutto lui". E io feci: "Ok, dammi il suo numero immediatamente. Punto. È fatta". [Ride]. Così lo chiamai. Stava a New York da sua sorella e stavano cercando di trovare un'etichetta con quei demo. Non ce l'avrebbero mai fatta.

Noisey: Perché i demo erano troppo lunghi e fuori fuoco?
Già, sicuro. Quei due ragazzi avevano lavorato sodo, ma non erano riusciti a raggiungere gli standard commerciali. Di solito quando si tratta di persone con grande talento come Prince, tendono a fare canzoni lunghe per mostrare a tutti che possono fare qualunque cosa. A ogni modo, lo chiamai e lo trovai molto timido, parlava a monosillabi e frasi spezzate, ma mi accorsi subito che era una persona speciale. Non gli dissi altro che: "Torna qua, ho appena sentito il tuo demo e ti posso già dire che credo in te. Ma ti serve qualcuno che ti protegga. Ho vissuto in questo mondo, e rischia di mangiarti vivo". Era totalmente nuovo, ma io credetti in lui.

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Quale fu il passo successivo?
Ai tempi viveva ancora con il suo migliore amico, André Cymone, nel seminterrato della mamma di André [Cymone finì a fare il bassista per Prince prima dei Revolution]. Era inizio autunno del '76 e ancora non sapeva se fidarsi o meno di me, ma io cominciai semplicemente a lavorare. Quando tornò a New York per la prima volta dopo la mia telefonata, venne a casa mia dove tenevo un pianoforte e varie chitarre. Non appena varcò la soglia mi resi conto che sarebbe diventato un grande.

Che aspetto aveva? Che impressione ti ha fatto?
Indossava jeans con la piega in mezzo. [Ride] Degli stivali marroni. Era tutto molto ben abbinato, pur non trattandosi di vestiti di classe, perché non se li poteva permettere. Capì tutto da subito appena ci siamo incontrati, e aveva questi occhi grandi, davvero magnifici, non voglio dire letteralmente a mandorla, ma erano davvero occhi bellissimi. Le sopracciglia erano molto scure. Non era molto alto, come tutti sanno. E aveva un'afro gigantesca. Ma era molto riservato. Penso abbia suonato un po' la chitarra a casa mia, forse anche il piano brevemente, ma principalmente voleva parlare. Ci studiammo a vicenda. Era evidente che si trattava di un giovane molto intelligente. Non c'erano stronzate, aveva la maturità emotiva di un quarantenne che dirige una grande azienda, e anche se non era in grado di capire il lato affaristico della questione, aveva ben chiari i suoi obiettivi. Conosci Little Richard? Naturalmente.
Ho visto delle foto di Little Richard quando era in una band e non era ancora diventato Little Richard. Sono tutti seduti in sieme, uno di loro guarda a destra, uno a sinistra, uno in basso, e poi c'è un giovanissimo Little Richard, e i suoi occhi guardano dritti dritti nell'obiettivo. E si vede il fuoco, si vede che c'è qualcosa in più. Questa fu la sensazione che ebbi con Prince. C'era una determinazione, una scintilla d'intelligenza. Comprendeva i concetti. Ed era soltanto uno venuto da Minneapolis Nord—praticamente fresco di diploma superiore. La maggior parte dei ragazzi a quell'età passa il tempo a guidare a duecento all'ora, a fare cose stupide, a mettere alla prova il proprio testosterone. Lui non era così. Dopo aver sentito il demo e averlo conosciuto di persona, capii subito che dovevo muovermi a fargli firmare un contratto.

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Qualcuno cercò di portarmelo via regalandogli una chitarra dorata [per convincerlo]. A dir la verità non ho mai saputo se quella fosse una stronzata o no, ma stavamo per firmare il contratto, ci saranno stati trenta centimetri di neve, il vento ululava, e lui arriva con un altro tizio. Apre una custodia, e dentro c'è una chitarra dorata, e dice: "Qualcun altro mi ha offerto un contratto e mi ha dato questa chitarra dorata". E io gli ho detto solo: "Sai cosa? Non sono qui per una cazzo di chitarra dorata. Vai da lui e firma con lui, sono stufo di te, vattene". L'ho guardato uscire nella neve. Mi sentivo come se l'amore della mia vita mi avesse abbandonato—anzi, l'avessi cacciato. Ma dovevo resistere. Per più di un weekend non riuscii a mangiare, e mi struggevo: "Dov'è? Dov'è? Perché non telefona?" Mi sentivo fisicamente male. Poi lunedì o martedì ricevo una chiamata, è Prince che dice: "Va bene, dai, andiamo. Andiamo a firmare". Incontrasti i suoi genitori? Come vivevano loro?
Lui non abitava più con loro. Aveva un patrigno con cui non penso fosse in buoni rapporti, penso lui non lo trattasse molto bene, ma non conosco i dettagli. Per cui scappò di casa e si trasferì nel seminterrato di André. E la mamma di André era un pilastro della comunità nera. Lavorava al YMC o al YMCA, dirigeva attività e programmi. Era una caposquadra. Non si faceva mettere i piedi in testa: "Hai fatto i compiti? Vuoi sbrigarti con questo? Hai finito con quello?" André e Prince vivevano nel seminterrato e per gestire le loro serate romantiche avevano tracciato una linea con la vernice in mezzo al pavimento e a Prince non era permesso entrare nella zona di André e viceversa. Ci misero anche una tenda. [Ride.]

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Ah! Vecchia scuola. Quindi una volta corteggiato con successo Prince, il passo seguente è di trovare un avvocato e il produttore David Z [Etta James, Neneh Cherry, Billy Idol], oltre ai musicisti per la band…
Dovevamo accorciare quelle canzoni, e poi ci servivano soldi. Allora l'avvocato conosceva un paio di persone, e io misi insieme una presentazione e andammo a proporci—uno era un dottore, l'altro era un avvocato, e ci diedero 50 mila dollari. Così fummo in grado di comprare a Prince ogni strumento di cui avesse bisogno. Lo tirammo fuori dal seminterrato e lo mettemmo in un piccolo appartamento a Minneapolis Sud.

La tua agenzia pubblicitaria stava avendo successo a quei tempi. Ti preoccupava l'idea di abbandonarla?
Credevo in Prince abbastanza da andarmene dalla mia agenzia—che faceva i milioni di dollari—e dedicare la mia vita a lui. Gli volevo davvero bene come essere umano. La gente dice: "Ma non era uno strano?" Be', sì, siamo tutti strani. Non ho mai incontrato un artista che non fosse strano. Quindi il fatto che sembrasse un po' distaccato e silenzioso—non con me, ma con tutti gli altri—non mi ha mai dato fastidio. Mi faceva piacere che fosse così. Se fosse stato uno da "Hey, vieni qua, facciamoci una canna e divertiamoci", non avrei saputo gestirlo! [Ride] Così dopo che ebbe firmato un contratto, completammo il demo tape.

Una storia interessante sul demo: c'è una canzone sul primo disco intitolata "Baby", per cui lui voleva un'orchestra. L'unica orchestra che consocevo in città a quel punto era l'orchestra di una stazione radio, e la convocai. Quando andai in studio per vedere come procedeva, Prince stava dando di matto, e i tizi avevano tipo novant'anni, tutti, non erano esattamente adatti. [Ride] Prince insisté e insisté—non so se fosse in grado di scrivere musica a quel punto, ma ci lavorò fino a riscrivere e riarrangiare tutto nel modo in cui voleva lui. Un ragazzino di diciott'anni che prende questi suonatori d'orchestra con anni di esperienza e riscrive le parti e li convince a suonarle.

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Quindi adesso che i demo sono all'altezza, metti insieme una cartella stampa e cominci a proporlo in giro?
Sì, chiamai Warner Brothers. Avevo già lavorato per loro con la mia agenzia pubblicitaria, così telefonai direttamente a Ross Thyret [il presidente] e dissi: "Visto che ti devo un favore, senti qua: Columbia Records ci paga l'aereo. Vuoi sentire questo giovane genio che ho per le mani? Ti va di ascoltarlo già che passo di lì, spesato dalla Columbia?" E lui mi rispose: "Certo, assolutamente!". Quindi a questo punto avevo un appuntamento alla Warner Brothers da giocarmi, così chiamai Columbia dicendo: "Hey, Warner Brothers ci paga il viaggio e siamo in città spesati da loro, volete sentire il demo di questo giovane genio di Minneapolis?" Poi chiamai A&M Records, e dissi: "Sentite, sono in città per delle presentazioni alla Columbia e alla Warner, volete sentire anche voi?" Ma sapevo fin dall'inizio che saremmo andati con la Warner. Era l'etichetta migliore per gli artisti a quei tempi. Le altre label erano fredde. Ma mentendo ottenni appuntamenti con tutti.

Oggi insegno [music business] all'UCLA e insegno ai miei studenti come mentire—perlomeno finché non si fa male nessuno. "Hey, ho visto la tua ragazza con un altro al bar!" Questa è una bugia maliziosa. Ma quando nessuno si fa male e puoi aiutare qualcuno a raggiungere una certa posizione—hey, divertiti!

Saggio insegnamento. Riuscisti ad attirare l'attenzione di tre etichette, ma la prescelta era Warner. Da quello che ho saputo, ottenesti un contratto piuttosto vantaggioso.
Anche se avevo già scelto Warner Brothers, sapevo che per Prince serviva un accordo molto remunerativo, perché a lui serviva molto sostegno. Ci voleva una guerra al rilancio, al termine della quale avrei comunque scelto Warner Brothers. [Ride] Penso che questo reato sia già andato in prescrizione e nessuno possa più denunciarmi per questo. L'unica etichetta a cui ci proponemmo che non ci volle fu RSO Records, quella dei Bee-Gees. Conservo ancora la loro lettera di rifiuto: "Pensiamo che l'artista abbia talento, ma non vediamo in lui molto futuro, quindi lasciamo perdere". Pensavo che se fossi stato in grado di scatenare una guerra al rilancio avrei potuto fare un botto di soldi e avrei avuto tre album per far crescere Prince, cosa che oggi nessuno fa. Abbiamo firmato per tre album e, sono sicuro al 99 percento, fu il contratto di un artista esordiente più ricco della storia.

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Qual era la cifra?
Penso che la cifra totale superasse abbondantemente il milione di dollari. Volevano prendere anche parte dei suoi diritti, ma io non capivo bene di che cosa si trattasse. Continuavo a dire di non essere preparato per discuterne, perché non sapevo che cosa cavolo fosse e volevo andarmene di corsa a comprare un libro sulle licenze e capirne di più. Sapevo che se avessi detto: "Che cosa vuol dire diritti?" avrebbero chiamato un altro manager immediatamente. Alla fine si arresero, e il motivo per cui Prince possiede i suoi diritti è che io non sapevo cosa fossero! [Ride.]

È noto che Prince lottò per produrre da solo il suo primo album nonostante l'inesperienza, dev'essere stata una bella battaglia.

Volevano che lo producesse Maurice White [fondatore degli Earth, Wind & Fire] e provarono con un paio di altri nomi, forse Norman Whitfield [The Temptations, Marvin Gaye]. Ti dirò la parte davvero interessante di Prince—e non c'era malafede in questo suo atteggiamento: aveva già studiato Maurice e Norman e tutti gli altri. Sapeva tutto di loro, e non voleva la loro impronta sul suo suono—voleva sviluppare un suono tutto suo e io ero d'accordo con lui. Mi scrisse anche un biglietto che diceva: "Owen, ho grande rispetto per questi artisti e questi produttori, ma sono in grado di decostruire la loro musica e dirti che non è l'impronta che voglio sul mio suono".

Così mi toccò dire al capo della Warner Brothers che nessuno può produrre questo artista sconosciuto che non ha mai fatto un album: si produrrà da solo. Andai e lottai. Concordammo un test, avrebbero mandato a prendere Prince a Minneapolis e gli avrebbero fatto registrare qualcosa tutto da solo. Ma a Prince dissi soltanto: "Hey, hai uno studio a disposizione, va' a registrare un pezzo". Arriviamo e Prince registra una traccia di batteria perfetta, si alza e ci suona sopra il basso. Attorno allo studio c'è un gruppo di persone che guarda, e lui non lo sa ma erano i migliori produttori dell'epoca: Lenny Waronker, Russ Titelman, Eddie Templeman, più un paio di rappresentanti della Warner Brothers. E rimasero tutti di sasso. Così superò il test.

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Andai da loro e mi dissero: "Senti, è chiaro che è in grado di fare un disco. Magari ci costerà un album di aggiustamento, ma ci arriverà". Nessuna etichetta oggi lo farebbe. Non si prenderebbe questo rischio. Prince probabilmente oggi non avrebbe successo, soltanto per le costrizioni che gli imporrebbero. Noi conquistammo territori nuovi: il più ricco contratto per un artista emergente, lo stesso artista che produce il proprio disco, e convincemmo l'etichetta che avrebbe suonato tutti gli strumenti.

Quindi il piano era di mantenere l'intera produzione a Minneapolis e registrare con l'ingegnere del suono Tommy Vicari [Michael Jackson, Whitney, Justin Timberlake]. Ma Vicari non poteva stare in studio per vari motivi, e tu non volevi mandare Prince a LA. Alla fine accettaste il compromesso di registrare l'album a Sausalito, dall'altra parte della baia rispetto a San Francisco, ma le cose non andarono del tutto lisce…
Esatto. Circa una settimana dopo aver iniziato a registrare a Sausalito, Prince torna a casa e mi dice: "Non riesco a lavorare con l'ingegnere". E io dico: "Dai, Warner Brothers ci ha dato tutto quello che volevamo, e adesso mi devo liberare del loro ingegnere?! Bloccheranno tutto! È tutto finito!" Lui mi dice: "Be', lo devi licenziare. O lo farò io per te".

Perché non gli piaceva?
È un ingegnere del suono incredibile, ha vinto dei Grammy, è uno di prima categoria. Non significava che non fosse in grado, solo che non era sulla stessa lunghezza d'onda. Un'altra parte interessante di Prince è che ha la rara capacità di assorbire tutto quello che succede attorno a lui. È molto, molto speciale e credo che sia uno dei suoi attributi più importanti. Dopo due settimane in studio con Tommy Vicari aveva già imparato: "Ok, ho capito come si fa". [Ride] Così dovetti comunicarlo alla Warner Brothers.

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E loro l'hanno presa male?
Oh, sono impazziti. A un certo punto i Warner si sono innervositi così tanto, perché non li chiamavo e non facevo sapere come stava andando, che il Presidente della Warner Brothers e il Vice Presidente della Promozione, Russ Thyret e Lenny Waronker vennero su. Volevano sapere cosa stava succedendo. Prince sta registrando la prima canzone di For You, intitolata "So Blue", e non c'era il basso. Lenny dice: "Questa sarà fantastica quando avrà il basso", e Prince lo guarda e dice: "Non ci sarà nessun basso. Andatevene. Andate via dal mio studio". Cacciò via il Presidente e il VP della Promozione—il tizio che fa in modo che la gente ascolti il disco, sai. [Ride] Buttati fuori dallo studio, così! Quindi toccò a me uscire in strada, con la voce tremolante, ma loro mi guardarono e mi dissero: "Abbiamo capito. Lascialo stare. Lascia che faccia come vuole".

Wow. Furono molto comprensivi.
Senz'altro! Ecco perché la Warner Brothers faceva così tanti successi. Se guardi alle hit Warner Brothers negli anni Settanta, ce n'è una dopo l'altra. E finì così, non ci disturbarono più. Lui passo molto, molto, molto tempo a lavorare sull'album, voleva che fosse perfetto, il che, a dir la verità, è una cosa indesiderabile, perché gli album perfetti possono risultare sterili; le imperfezioni danno profondità.

Parliamo delle canzoni…
Fece una canzone, una canzone a cappella intitolata "For You": sono tipo trenta voci di Prince sovrapposte e sovraincise, è una bomba ed è la prima canzone dell'album. La maggior parte delle sue canzoni, "My Love Is Forever", "So Blue", "In Love", le avevamo fatte ascoltare in versione demo prima di farle uscire nei grandi giochi. La determinazione e la creatività di Prince, le ho viste raramente così totali in questo campo. Sinceramente penso che Michael Jackson sia stato piuttosto incredibile per quanto è riuscito a fare, scrivere, conquistare, sempre mantenendo il controllo di quello che faceva. Prince è allo stesso livello di John Lennon e Bob Dylan? Forse sì, forse no. Se non lo è, ci arriva molto vicino. Ha avuto una carriera molto lunga che è maturata, e il pubblico l'ha accompagnato in questo viaggio nel corso degli anni, ed è maturato assieme a lui.

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Hai degli aneddoti su certe canzoni in particolare?
C'è una canzone chiamata "Baby" sull'album, che registrammo anche come demo. È quella dell'orchestra. Immaginati questo: lui ha appena compiuto diciottanni e ha scritto una canzone su quando hai messo incinta la tua ragazza e ora che si fa?, oddio, il dilemma, e poi, alla fine della canzone, dice: "Spero che il nostro bambino abbia i tuoi occhi". È dolcissimo, e sai, Prince è un superfico maestro del funk, ma in molte delle cose che scrive c'è una grande tenerezza di fondo. Se ascolti le parole, ti vengono i brividi. "So Blue" è la stessa cosa. Penso che in quel periodo avesse scoperto Joni Mitchell e che quello fosse il suo tributo a Joni.

Ma aveva anche un lato duro.
Certo. La prima cosa che Prince mi ha detto dopo la firma del contratto era che non voleva essere etichettato come artista R&B. Erano stati in pochi prima di lui ad abbattere certe barriere. Marvin Gaye, Sly and the Family Stone avevano abbattuto le barriere tra radio bianca e radio nera, ma lui non voleva essere etichettato. Se eri un artista nero, a quei tempi, dovevi rivolgerti prima al pubblico nero, cioè alle radio nere, e poi da lì potevi costruire e allargarti. Lui non voleva seguire questa strada e si vede bene nel suo secondo album, dove c'è "I Wanna Be Your Lover", che sfondò nella radio di massa. Non voleva i muri. I muri lo infastidivano. Voleva soltanto fare grande musica e aveva le capacità per riuscirci.

Tua moglie in quel periodo curava i capelli di Prince, vero? Un'attività di famiglia.
Be', ci trasferimmo tutti, capre e cavoli, a Sausalito e a Los Angeles e, sì, ci prendevamo cura di Prince perché era molto giovane. Ci assicuravamo che facesse colazione, pranzo e cena; che le lenzuola fossero pulite, che avesse i capelli a posto. Ci pensava Britt, lui ne ha parlato anche nella lettera che mi ha scritto.

È davvero incredibile pensare che non aveva nemmeno vent'anni.
Incredibile. Non so nemmeno se avesse la patente in quel periodo. Sul serio. Avevo rappresentato altre band che vivevano insieme e facevano concerti da un annetto—quello è un conto, ma lui non aveva nulla. Zero. Non c'era niente prima. Viveva in una cantina.

Ora insegni alla UCLA. Che cosa consigli ai giovani artisti?
[Sospira] Hai cinque ore? Per prima cosa, Prince è un'anomalia. Non tutti possono avere la sua sicurezza, mandare affanculo la gente e ottenere che si facciano le cose a modo loro. Penso che la cosa più importante che vorrei dire ai musicisti di oggi sia: lavora con altra gente, scrivi canzoni, buttati, fatti esperienza lavorando con più persone possibile—non ti rintanare e pensare che farai tutto da solo, o di non volere nessun aiuto in fase di scrittura. E guarda, oggi puoi approfittare dei social media. Non c'era nulla di tutto questo ai tempi di Prince. Questo è un vantaggio che si può utilizzare. Ti darò il consiglio che dò sempre al primo giorno di lezione. Rendetevi conto di questo: ci sono due parole in show business. Non è show art, non è show friends, è show business. Occupatevi della cazzo di parte affaristica, perché cercheranno di fottervi.

Riguardo all'accordo con Warner Brothers, era per tre dischi, ma poi lui firmò di nuovo, e fu quello il contratto contro cui finì per ribellarsi, quando si scriveva "schiavo" sulla guancia?
Su questo fatto posso darti solo ipotesi, perché sono d'accordo con Prince. Diciamo che tu sia un artsita e che tu produca questi quadri favolosi. E tu venga da me dicendo: "Owen, mi servono dei soldi, voglio lasciare il mio lavoro e dipingere". E io trovo che tu sia un grande artista e che tu debba poter dipingere. E tu mi dici: "Puoi prestarmi un po' di soldi per continuare con i quadri?" Allora io ti presto 25 mila dollari così per un paio di mese non devi lavorare e puoi solo dipingere e creare arte fenomenale. Tu lo fai, i tuoi quadri diventano famosi, mi restituisci i soldi che ti ho prestato, ma ora io sono il proprietario dei tuoi quadri. È così che funziona il business. Firmi per un'etichetta, ti danno un sacco di soldi in anticipo per registrare l'album, ti danno i soldi per promuovere la tua musica e, se fai successo, li ripaghi. Ma una volta che li hai ripagati, loro continuano a essere padroni della tua roba. Quindi capisco.

Prince ama tenere le cose sotto controllo—non è un segreto—e io sono d'accordo. Sarebbe insopportabile avere la sua creatività e sentirsi come se qualcun altro l'avesse comprata. Così da quel punto lui ne volle uscire, ma dovette cambiare delle convenzioni che erano lì da trenta o quarant'anni. Inoltre penso che lui volesse far uscire un disco ogni volta che se lo sentiva, e Warner Brothers mi chiamava in continuazione—e io non ero più il suo manager, ma chiamavano me lo stesso—chiedendomi che cosa avrebbero dovuto fare. E io dicevo: "Guardate, se bloccate la creatività di Prince lo perderete". Loro sostenevano che stava facendo uscire troppi album e che avrebbe diluito il pubblico. Ma Prince è una macchina di qualità. È una macchina della realtà. Non butta fuori merda. È roba ben fatta, ben concepita. Sarà un po' troppa, e la tendenza a diluire il suo pubblico c'è. Ma se gli ponete dei limiti e lo incatenate, per dire, se ne andrà.

C'è una legge chiamata diritto di reversione e so che grazie a questa si è ripreso molte delle canzoni. Voleva solo essere proprietario della sua musica e licenziarla alle etichette per la distribuzione. Non voleva che fossero loro a possedere la sua roba. Questo lo capisco, davvero.

Qual è il tuo oggetto legato a Prince più prezioso?
Probabilmente una lettera che mi scrisse. Non voglio entrare nei dettagli, ma era una lettera bellissima, in cui professava il suo amore per me e mi raccontava cosa voleva fare. Fu attorno al periodo in cui ci separammo. Non volevo più proseguire, mi sembrava di aver portato a termine il mio lavoro: prendere qualcuno che praticamente non era mai stato in uno studio, e rendere possibile tutto questo. Ero arrivato a un punto in cui non ce la facevo davvero più, così gli dissi che era finita. E lui mi scrisse una lunga lettera. Al tempo pensai: "Dio, è diventato una gran prima donna". Ripensandoci mi rendo conto che aveva davvero bisogno di questo sostegno. E aveva davvero bisogno che si facessero certe cose [per lui] in modo da potersi immergere al 150 percento nella musica. Non ho poi così tante cose, ma quello che ho è molto interessante. E non mi separerò mai da quella lettera, mi accompagnerà fino alla morte.

Owen Husney insegna alla UCLA e sta scrivendo un'autobiografia.