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Musica

La storia di Lory D

Dopo la Boiler Room per Numbers e il nuovo volume di Strange Days, incontriamo il pioniere del Suono di Roma.

Incontro Lory D grazie agli auspici di Sandrino della Smuggler's Bazaar (delle cui imprese mi è già capitato di parlare ai tempi di questa chiacchierata con Matteo Swaitz): Lory è stato da poco tra i protagonisti della Boiler Room targata Numbers e sempre su Numbers è uscito a febbraio il terzo volume della serie Strange Days, quindi il momento mi sembra propizio; se però provassi a parlare di “ritorno di Lory D” verrei immediatamente redarguito da Lory D in persona, quindi limitiamoci a prendere nota che si tratta degli ultimi impegni di un musicista il cui percorso va avanti in maniera più o meno ininterrotta da venticinque anni.

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Lory D, per chi non lo sapesse, è uno dei padri della techno italiana e sommo portavoce del Suono di Roma, sulle cui vicende si è già dilungato Birsa in questo omaggio di un paio di anni fa. Alcuni direbbero che è il padre, il maestro, il genio, ma sono tutte formule che—come leggerete—a lui per primo non piacciono, quindi prendetele per chiacchiericcio da bar; nel 1990 è stato tra i pionieri della prima stagione dei rave romani (quella precedente agli “illegali”), e contemporaneamente ha fondato la sua etichetta personale Sounds Never Seen. Nel 1993, per BMG uscì il suo album-capolavoro Antisystem, una cosa che ancora stiamo qui a chiederci “eh?”, mentre dieci anni dopo la Rephlex gli ha dedicato una fortunata antologia. Di lì a qualche anno, Lory è diventato praticamente scozzese d'adozione grazie ai lavori per Wireblock prima e Numbers (appunto) poi. Ci incontriamo in un sushi bar del quartiere Prati, con Sandrino a fare da moderatore e testimone, anche se la maggior parte dei suoi interventi li ho dovuti omettere per motivi di spazio. Ecco comunque cosa ci siamo detti io e l'uomo che già nel 1991 stabiliva che “we are in the future”.

Mi sono perso il tuo live alla Boiler Room dello scorso marzo: come è andata?
Molto bene, grazie.

Hai letto quel pezzo che hanno preparato per l'occasione?
Sì, l'ho intravisto. Però devo dire che non è che mi sia piaciuto granché.

Perché no? Era un articolo molto lusinghiero, c'erano gli omaggi di Jackmaster, Ed DMX, Grant Wilson-Claridge della Rephlex…
Sì, ma figurati, gli omaggi vanno bene, però non so: che vuol dire “la leggenda di Lory D?”. È il tipico lessico da giornalista, sono formule che non mi piacciono, mi sanno di sensazionalismo spicciolo. Se vuoi farmi un complimento dimmi che sono bravo, non che sono una leggenda, no?

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Uh… Va bene ma nel tuo caso è anche comprensibile. Insomma, stai in giro da venticinque anni…
E che significa? Se superi i vent'anni diventi “leggenda”? Che ragionamento è?

Be', era per dire che…
Le “leggende” riguardano quelli morti, quelli che stavano in giro una volta. Io invece sto qui, lavoro, suono. Te l'ho detto, sono formule che non mi piacciono. È come quando la gente tira in continuazione fuori gli anni Novanta: e allora vai con le cose vecchie, la techno di una volta, la “pompa inaudita”…

Ti infastidisce che la gente si guardi ancora il video con te da Ferrara?
Non è che mi infastidisce, e capisco pure chi a guardare quel video si fa due risate—anch'io me le sono fatte. Però capiamoci: io faccio musica, mica cabaret. Se la gente ti prende per il culo che fai, sei contento?

Ma non credo che la gente ripeschi quel video per prenderti per il culo. Al contrario: è comunque un documento, una cosa che ti dice “guarda, nel 1990 c'era Lory D in televisione”, uno spaccato storico…
Senti, la “pompa inaudita” fu una frase detta in un programma che andava in onda nel 1990 e che durava in tutto due ore. All'interno di quelle due ore, c'è questo frammento minuscolo in cui siamo io e Leo Anibaldi che cazzeggiamo e prendiamo per il culo Ferrara e Jo Squillo. Fine. Non c'è niente di emblematico in quel video, non rappresenta nulla, è stata la stupidaggine di un momento, roba di venticinque anni fa. Vuoi guardartelo e farti due risate? Fai pure, ti capisco, non è che non ci dormo la notte. Però non può essere che fai una serata adesso, nel 2015, e il promoter di turno che fa? Prende e posta su Facebook “La pompa inaudita”. Non ho problemi col cazzeggio, piace cazzeggiare anche a me… Però basta, ne abbiamo parlato già troppo, e onestamente è un argomento di cui non mi frega proprio niente. Se vuoi parliamo d'altro, parliamo di musica.

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D'accordo. Allora veniamo all'ultimo volume di Strange Days uscito su Numbers. Intanto, che posizione occupa nella tua discografia?
Che posizione vuoi che occupi? L'ultima, no? Ho cominciato nel 1990, adesso siamo nel 2015, e queste sono le ultime cose. Uno inizia e poi prosegue, semplice.

Sì, intendevo dire che la tua discografia mi dà sempre l'impressione di essere un po' a strappi, cioè…
Ok, capisco che vuoi dire. Effettivamente ci sono stati dei momenti in cui ho pubblicato poco, ho avuto un buco di qualche anno, periodi in cui il mio nome non usciva… Però vedi, io sono sempre in continuo aggiornamento. Nel senso che ci sono periodi in cui magari preferisco studiare, piuttosto che pubblicare dischi. Ma in ogni caso, la prima cosa che faccio ogni mattina è accendere gli strumenti: così come c'è chi la mattina timbra il cartellino per entrare in ufficio, io mi alzo, faccio colazione, e accendo le macchine. Tutti i santi giorni. Poi decido io quand'è il momento di uscire, quando sono pronto, quando i materiali sono quelli giusti. Adesso per esempio è il momento giusto: sono uscite delle cose, altre ne stanno uscendo, altre ancora arriveranno.

Hai notato un cambiamento nell'accoglienza dei tuoi materiali? Nel senso, Numbers è un'etichetta importante e questo ovviamente conta, però più in generale pensi che il pubblico abbia interpretato la serie Strange Days come un “ritorno”?
Mah, il cambiamento grosso ci fu con la raccolta uscita su Rephlex nel 2003. È da lì che ho cominciato ad avere una visibilità in diversa, a girare all'estero, a ricevere attenzioni di un certo tipo… Perché comunque Rephlex è pur sempre l'etichetta di Grant e Aphex Twin, quindi capisco che la gente gli attribuisca un certo peso: non è che su Rephlex esce chiunque, no? Poi da lì sono arrivato a Glasgow, ho conosciuto Jackmaster, ed eccomi su Numbers. Ma ci tengo a ribadire che non si è trattato di un “ritorno”: io ci sono sempre stato, le cose le ho sempre fatte…

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Ma sì, in effetti anche se penso a Roma… Ora, non ho tenuto un calendario delle tue esibizioni, però più o meno è come dici tu, ci sei “sempre stato”…
Allora, su Roma bisogna dire le cose come stanno. Io ho attraversato diversi periodi: il primo, quello cominciato nel 1990, fu quello dei rave, ed è finito nel 1993 perché la situazione era diventata insostenibile. Troppa gente, troppi casini, risse… Quindi io personalmente decisi di chiudere tutto e andarmene: mi sono fatto due anni in Veneto e in quel periodo a Roma non ho più lavorato, anche perché pure la musica era diventata un macello; c'era chi con la techno aveva smesso, chi si era dato alla house melodica, chi faceva le robe cantate… Poi nel 1996 Giancarlino ha aperto il Goa, che è il club che a Roma è diventato il punto di riferimento dopo la fine dei rave. E da lì, più o meno sono ripartite un po' di cose. Io tra 1996 e 1997 ho lavorato un po' in Svizzera, lì c'era il boom della techno e quindi mi sono fatto feste incredibili, poi però ho ricominciato con Roma agli Ex Magazzini, che era un locale a Ostiense molto piccolo, roba di 300 posti [secondo me anche meno, ndr], l'opposto delle feste che facevamo una volta che invece erano in spazi enormi, immensi… Agli Ex Magazzini le cose andarono molto bene finché non lo chiusero, e allora attorno ai primi 2000 mi sono spostato al Metaverso, un altro club piccolissimo in zona Testaccio, che però ti assicuro ha fatto la storia…

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Figurati, lo conosco benissimo, ci avrò consumato metà dei miei neuroni.
E allora ti ricorderai che il Metaverso era veramente un buco, però cazzo, che serate…

Sempre a Testaccio c'era anche il Blue Cheese…
Che infatti è un altro dei locali in cui suonavo.

Sarebbe interessante fare una storia del clubbing romano a partire da questi nomi. In fondo sappiamo tutto dei locali di Londra e Berlino, mentre quelli di casa nostra tendiamo un po' a dimenticarli. Al Brancaleone invece quando sei arrivato?
Mi pare nel 2007. Altra bella esperienza, tante avventure nel privé…

A partire dal 2000 poi c'è stato Dissonanze, che è stato il più grande festival di musica elettronica in Italia, o se non altro l'unico di quel genere…
Lì ci ho suonato nel 2006. Ma poi ci sarebbe anche tutta la vicenda dei rave illegali su cui però non metto bocca, Sandrino ne sa molto più di me.

Quando i rave illegali cominciarono a Roma tra 1994 e 1995, era molto sentita la distanza che li sperava da quelli cosiddetti “commerciali”. Tu che idea hai a riguardo?
I primissimi rave che facemmo tra 1990 e 1993, non erano commerciali per niente. Anzi: erano proprio pesanti, ci veniva a suonare gente tipo Aphex Twin, Joey Beltram, The Prodigy, Derrick May, Adamski, Frankie Bones, Mad Mike Banks… Tutti nomi che all'epoca erano poco conosciuti. Poi però le cose cominciarono a degenerare, c'erano le faide tra quartieri… Gli illegali sono nati un po' in reazione a quella deriva lì, a posti tipo il Virus. Però io col Virus non c'entro niente, a parte il fatto che il nome lo presero da una scritta su un disco mio.

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Anche lo slogan “il suono di Roma” è tuo?
Sì, era scritto su tutti i centrini dei miei dischi della Sounds Never Seen. A dire il vero c'erano un sacco di cose che giravano a imitazione mia, ed era una situazione che ti assicuro faceva ridere. È stato anche per quello che lasciai Roma per andare a lavorare in Veneto.

C'è una tua vecchia intervista in cui ricordi appunto il periodo in cui venivi trattato un po' da star…
Roba assurda, c'era gente che si vestiva come me, parlava come me, si muoveva come me… Mi fermavano per strada a chiedermi gli autografi, ti rendi conto? Ora, a me queste cose danno proprio fastidio, perché quello che mi interessa è sempre e solo la musica. Mi piace ovviamente esibirmi dinanzi al pubblico, ma tutto il resto non mi interessa…

Io mi ricordo questi cori da stadio ai tuoi set, la gente che faceva “LORYDDIIIIIIII!”
Ma di che parli?

Boh, di cose che ho visto.
Ma sono tutte fantasie, lasciamo perdere dai.

Senti, sono cose che ti dico da osservatore, a me sai che mi frega se…
Ma è roba da fantascienza, facciamo i seri per favore.

Ma perché non vuoi ammettere che attorno alla tua figura si sia costruita una certa mitologia? Anche indipendentemente da te, dico. Io capisco benissimo le tue reazioni a riguardo, anzi le condivido pure, però questa cosa comunque c'è.
Allora per favore me la spieghi questa supposta “mitologia”? Per me siete voi giornalisti che tirate fuori storie tipo “la leggenda di Lory D”. Ho sentito tizi dire che Aphex Twin mi ha copiato: ma che scherziamo? Aphex Twin che copia me? Lui non copia nessuno, semmai inventa. Quello che dovreste dire voi giornalisti è: Lory D sta in giro da venticinque anni perché è uno bravo. Perché questa storia la sa fare bene. Tutto il resto sono solo fantasticherie, quindi adesso spiegami: cosa sarebbe mai 'sta mitologia? La leggenda, dove sta?

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Ma guarda, ti confesso che in realtà mi è capitato di rifletterci diverse volte. Che quando uno pronuncia il nome “Lory D” venga spontaneo un moto di ammirazione e anche orgoglio, mi sembra un dato acquisito. Se mi chiedi quali siano i motivi, credo ne esistano sostanzialmente tre: da una parte, come dici tu, c'è la musica. Il fatto insomma che Lory D è “uno bravo”. Poi c'è la figura del prime mover, dell'uomo che per primo introduce un certo suono, un certo mondo in Italia, anche se mi rendo conto che mettersi a fare la classifica di chi è stato il primo e chi il secondo è pericoloso. Infine – il dato per me più importante – c'è il fatto che non si è trattato solo di musica: è stato un movimento, un fenomeno anche sociale, umano; insomma lo dicevi anche tu prima: io tra 1990 e 1993 ero piccolissimo e quindi ai vostri rave non sono mai stato, ma sapere che sono esistiti, che radunavano così tanta gente, e che hanno dato inizio a una… be', a una rivoluzione di tale portata… Cioè dai, cerca di capirmi: uno queste cose è abituato a leggerle sui libri che trattano di Londra e New York, invece questa storia ce l'avevamo in casa….

(Sandrino): e dai Lory, devi ammettere che un po' è così…

Però mi rendo conto che questa può anche essere una cosa molto “romana”, eh? C'era quest'altra intervista che rilasciasti a Christian Zingales su un Blow Up di dodici anni fa, dove raccontavi del cielo di Roma di notte, di queste luci cupe e arancioni, e di come la cosa si trasmetteva nella tua musica…
Ma quello è normale. Se sei di Detroit, suoni come Detroit. Se sei di Roma, suoni come Roma. Uno tende a pensare a Roma come a una città molto solare, mediterranea, però è anche una metropoli gotica, scura, piena di energie negative… Probabilmente è per via di tutti i roghi che c'abbiamo avuto ai tempi dell'inquisizione, qualcosa deve essere rimasto! C'è la statua di Giordano Bruno che ce lo ricorda, no? Però senti, ora ti devo spiegare una cosa.

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Dimmi.
Quello che adesso il pubblico cerca, non è tanto “l'atmosfera” di una traccia. È proprio il modo in cui suona. Cose come dinamica, RMS, definizione… Tutta roba molto tecnica, che però fa funzionare il pezzo, capisci? Quindi se il tuo suono piace, giri. Se non piace, non vai da nessuna parte. Altro che “atmosfera”.

Tu dove registri?
Ho uno studio mio a Prati, praticamente sotto casa, negli ultimi anni mi sono acchiappato un po' di belle macchine.

Chi è che per te “suona bene”? O meglio: quali sono i musicisti che segui con più attenzione?
Mi piace molto Jared Wilson, un ragazzo di Detroit che fa un'acid techno bellissima. Poi anche Marquis Hawkes, anche lui molto acid ma moderno. Poi seguo un sacco di hip hop, specie la roba trap e drill di Chicago; lì sono veramente forti, hanno portato un sacco di innovazioni. Addirittura ultimamente mi sono messo a leggere i quotidiani di Chicago per controllare che non sia morto nessuno, perché è un po' che hanno preso a scannarsi e hanno già fatto fuori due dei miei preferiti: prima Blood Money, il cugino di Chief Keen, che aveva fatto dei pezzi della madonna; poi L'A Capone, un altro che spaccava proprio. Stanno sempre a spararsi, me li stanno a fare fuori tutti!

È roba che pensi di introdurre anche nei tuoi lavori?
Più che altro mi interessa a livello di produzione per materiali altrui. Adesso ho masterizzato un pezzo per dei ragazzi che si fanno chiamare 126, sono una crew che fa base a Trastevere e che uscirà per Smuggler's Bazaar. Per certi versi ricordano un po' quello che era il TruceKlan agli inizi, non tanto dal punto di vista musicale quanto come atteggiamento, e questa cosa mi piace molto perché coi vari Noyz Narcos, Chicoria, Metal Carter e compagni c'è sempre stato rispetto, andavo anche alle loro serate… I ragazzi di 126 sono parecchio più giovani ma fanno cose che in Italia non senti, secondo me quando uscirà il disco stenderà tutti. Comunque più in generale sì, diverse cose che trovi nella trap le ho trasportate nella techno, nelle cose mie…

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Ma intendi nell'ultimo Strange Days per Numbers?
Lì ancora no perché è roba che ho registrato la scorsa estate. Adesso sta per uscire un nuovo EP, il quarto della serie, con materiali ancora dello scorso anno. Poi forse ci sarà il quinto che uscirà accompagnato da un cofanetto per raccogliere i precedenti Strange Days, seguito poi da una raccolta in cd e download digitale con tracce extra, e poi vorrei far uscire un album. Anche perché di album veri e propri, a parte la raccolta su Rephlex, non ne ho mai fatti molti…

Be' ci fu Antisystem nel 1993…
Che però è come se non fosse mai uscito.

Io mi ricordo che lo trovavi tipo nei cestoni della Standa, ma forse era un'allucinazione, o una leggenda che ho sentito da qualche parte…
Invece è probabile, perché la BMG – che era l'etichetta che lo produceva – nei negozi non lo fece proprio arrivare, e quindi lo diedero via come reso.

Suppongo non sapessero bene che farci: penso davvero sia uno dei dischi più estremi mai partoriti da una major. È quasi assurdo che la BMG abbia prodotto un disco così, anzi leviamo pure il “quasi”.
Ma Antisystem io lo concepii così proprio come messaggio contro le major, contro la BMG, persino il titolo faceva riferimento a quello. Era un disco totalmente anticommerciale, sapevo che non sarebbe mai uscito e sapevo anche che loro non avevano idea di cosa si ritrovassero per le mani: provarono pure a propormi come nuovo Digital Boy, a lanciarmi coi cartonati tipo Jovanotti, ma gli feci firmare un documento in cui rinunciavano a qualsiasi potere decisionale sulla mia immagine, quindi figurati.

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Ma quindi perché l'hai fatto?
Perché la BMG mi pagò ventidue milioni di lire, soldi che ho interamente utilizzato per costruirmi il mio studio. Mica per fare il buffone come pretendevano loro.

E invece il nuovo album come sarà?
Ci sto pensando; in linea di massima dovrebbe essere una specie di concept, anche se esclusivamente dal punto di vista dei suoni e non da quello tematico vero e proprio.

Sempre per Numbers?
Spero di sì. Di loro mi fido, mi piace come lavorano, hanno la mentalità giusta.

E poi è l'etichetta di Jackmaster, che a questo punto credo sia il tuo fan numero uno al mondo.
Questa è una bella storia, perché Jackmaster adesso è diventato un personaggio enorme, famosissimo, uno dei primi dj al mondo, ma quando iniziai a lavorare con lui aveva cominciato da poco. Ci siamo conosciuti quando venne a Roma con altri ragazzi, poi io salii a Glasgow a suonare al 69, ne parla anche nel film documentario Origins uscito per Resident Advisor…

Sì, lì è dove dice testualmente che il tuo set fu “la migliore serata della mia vita”. Un'altra cosa che ripete spesso è che lui, Spencer, e gli altri del giro di Glasgow nei tuoi confronti si comportavano proprio come stalker, a me questa cosa mi ha sempre fatto sorridere…

Ma vedi, quella volta a Glasgow mi diede questo cd mixato da lui, nel senso proprio di mixato coi piatti, e io di solito i cd mixati non li ascolto mai perché mi annoiano, preferisco skippare le tracce… Comunque, alla fine me lo ascolto, e capisco subito che a questo ragazzo gli fumano letteralmente i coglioni. Era una cosa perfetta, una tecnica impressionante, cambi molto veloci al punto che non capivi mai quando partiva una traccia quando e ne finiva un'altra, e allora a quel punto mi sono detto: questo è uno veramente grosso. Quindi tornato a Roma ho detto in giro: ragazzi guardate che a Glasgow c'è questo ragazzo che spacca, fidatevi di me che i dischi li ho messi per quindici anni… E nessuno ci credeva perché capirai, stavano ancora tutti in fissa con Jeff Mills, e io hai voglia a ripetergli “che? Jeff Mills? Guardate che questo è meglio!”

E poi?
Niente, con Jack e gli altri ho sempre mantenuto i contatti e adesso fondamentalmente giro con loro, sono un artista Numbers… Comunque queste sono le cose che mi interessano adesso. Continuare a parlare degli anni Novanta nemmeno è più una rottura, è proprio una perdita di tempo. Io capisco che ci sia gente che ha smesso di andare a ballare nel 1993 e da allora crede che il mondo sia finito e che la techno sia morta, però ecco, non è così. Provano nostalgia per quel periodo? Va bene, nessun problema, io però non ho mai smesso di fare roba, sono sempre andato avanti, e quello che ho da dire lo dico oggi. Nessun “ritorno”, nessuna “leggenda”.

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