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Musica

Le 13 canzoni più brutte degli anni Novanta

Ci sono pezzi che ci sono rimasti attaccati indelebilmente dalla peggior epoca creativa della storia. È ora di dire basta.

Adesso che il passato è passato anche per Ritorno al Futuro, possiamo considerarlo con un po' più di oggettività. Parliamo degli anni Novanta, quell'interregno musicale che ha dato vita, passando liscio, ad abomini musicali come “Barbie Girl,” “Who Let the Dogs Out” e “MMMBop”—tracce che fanno cagare alla maggior parte degli esseri umani con le orecchie. Ma se riflettiamo più attentamente su quelle che vengono considerate le grandi hit degli anni Novanta, i capolavori assoluti della decade, ci rendiamo conto che molte di esse non reggono alla botta del tempo. O forse hanno sempre fatto cagare e noi eravamo troppo impegnati a pattinare sui nostri rollerblade per rendercene conto, mentre i nostri discman saltavano da matti ad ogni movimento troppo brusco. Qui abbiamo voluto elencare 13 canzoni che, a distanza di anni, non sopportiamo più. Dai, giochiamo insieme, lasciateci le vostre quaggiù nei commenti.

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Radiohead – “Creep” (1993)

Vi ricordate quando Cher Horowitz e il suo ex-fratellastro Josh ascoltano i Radiohead in Ragazze a Beverly Hills e lei entra in cucina dicendo tipo "Oddio cos'è questa musica da liceali piagnoni?" Be', diciamo che la signorina Horowitz aveva più o meno centrato il punto. Ok, si stava riferendo a "Fake Plastic Trees," ma onestamente quel pezzo non è niente in confronto all'eredità di cover orrende e utilizzi abominevoli che ha avuto la ben peggiore "Creep". Un pezzo insipido e piagnucoloso: pensate se qualche ragazzo arrivasse da voi e vi dicesse quello che il Guè Pequeno dell'indie rock dice in questa canzone. Probabilmente gli rispondereste qualcosa tipo: "vattene via, lontano da me, piantala di stare tutto il giorno a guardarti i piedi e nasconderti dietro il tuo castello di inutilità ed emarginazione sociale. Dai, mi prendi per il culo? Sei un essere umano o un verme?"
E pensate che fu proprio questo pezzo a trasformare i Radiohead da band minuscola di Oxford a quel super gruppo sempre un po' pretenzioso ma ben meno lamentevole che tutti conosciamo. Proprio questo pezzo che, oltre ad essere una lagna, era anche un semi-plagio di "The Air That I Breathe" degli Hollies, scritta da nientemeno che Albert Hammond Sr. (esatto, il padre del chitarrista degli Strokes), il quale ora si becca più royalties da "Creep" rispetto ai membri dei Radiohead.

Blink-182 – “All the Small Things" (1999)

Adesso che abbiamo preso le distanze da quell'anno difficile che fu il 1999, ma ancora ci chiediamo se siano stati i Blink-182, con il loro Enema of the State, a uccidere definitivamente il punk, possiamo ammettere che quel loro buffo album non era poi così male. Ci sono pezzi che ti afferrano, anche se non sono mai passati in radio, tipo “Don’t Leave Me” e “Mutt” (che però stava nella colonna sonora di American Pie quindi è un pezzo perfetto per mettere il pene in una torta), ma la traccia che tutti si ricordano era “All the Small Things.” Un gruppo che ha rovinato generazioni di cover band e probabilmente ha deviato le carriere musicali di parecchi altri gruppi che altrimenti si sarebbero buttati su generi più dignitosi, oltre che portarsi dietro una serie di revival in video e in videogioco di quella situazione "correre nudi per la città", che è buffo, per carità, ma quando hai 17 anni. Ma guardiamo più da vicino questo elaboratissimo testo di Tom Delonge, che, nei suoi picchi di poesia, dice cose tipo: “Late night, come home, work sucks, I know.” O “Say it ain’t so, I will not go na na na na na (100,000x).” E l'ha scritto per la moglie! Che romantico! Oh, non mi metterei mai tra moglie e marito, ma se davvero ti scavi nel profondo del cuore per trovare le parole giuste da dedicare alla persona che ami e ne vieni fuori con “na na na na na na,” probabilmente devi farti due domande.

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Sublime – “What I Got” (1996)

Lasciamo perdere le critiche più ovvie che si potrebbero fare a sto pezzo—i riff che sembrano usciti dall'acqua stantia di un bong, le immagini di giocolieri coi dread e i vestiti in canapa che giocolano a piedi nudi e sporchi in un prato al Rototom Sunsplash. Non pensiamo a tutte quelle ragazze che sarebbero pure state belle se non fossero state ricoperte da germi e tossine su tutta la superficie del loro corpo e dei loro capelli sporchi. Ignoriamo la premessa, pur fondamentale, che questa canzone è il sogno collettivo di un milione di babbi sparsi in giro per il mondo che tentano, tramite le loro manie da fricchettoni, di liberare il proprio spirito e ballare in condivisione con la Natura, mentre qualcuno, sulla sua chitarra acustica, intona gli accordi di "Redemption Song". Ecco, diciamo che questo pezzo, e tutto ciò che rappresenta, incarnano lo spirito di tutti i ragazzini che ai falò volevano cantare Bob Marley, di tutti quegli scratch che, negli anni Novanta, la gente pensava fosse doveroso infilare in tracce con cui non c'entravano una minchia. E, per cortesia, non entriamo nel dettaglio delle band reggae di quel periodo. Ecco, anche ignorando completamente i riferimenti culturali da minorati mentali, "What I Got" è un brano che dà i brividi. Sembra un coretto intorno al falò al campeggio degli scout, con uno che suona la chitarra e l'amico, a fianco, che ne percuote la cassa a mo' di bongo. Oltretutto il testo fa trasparire una sorta di etica ciellina per cui viene utilizzato un immaginario reggae-campeggio scout per mostrare come l'amore vinca sempre sul desiderio di ribellarsi con violenza (“I don't get angry at the bills I have to pay”; “love's what I got / don't start a riot”). In un certo senso, però, l'estetica stessa di “What I Got” è geniale, dato che il procedere del pezzo è pigro e inutile come lo stile di vita che celebra. Detto questo, comunque, il peccato più grave rimane il fatto che questo pezzo riesca a sopravvivere allo scorrere del tempo in maniera così impunita.

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Metallica – "Fuel" (1997)

Avevo nove anni nel '97, e per quanto ci provassi non riuscivo a liberarmi di questa merdosa canzone. Era sempre in radio, faceva pure più schifo sentita dagli speaker minuscoli della macchina di mia madre. Qualche anno dopo, è diventata la colonna sonora ufficiale della NASCAR, quindi praticamente non c'è stato più modo di togliersi sta lagna dalle palle. Quelle prime parole pronunciate da James Hetfield come una specie di scioglilingua fastidiosissimo, contribuivano, da sole, a posizionare il pezzo nel sottoscala della mia considerazione dei Metallica, roba che nemmeno con Lulu sono riusciti ad eguagliare. Pensate che dieci anni prima di questo pezzaccio era l'epoca di ...And Justice for All, e guarda dove cazzo sono finiti. Quel brano è stato l'inizio della fine, e—come se non bastasse—pure Avril Lavigne ha pensato che fosse il caso di farci una cover che sicuramente non era migliore dell'originale, ma non era nemmeno tanto peggio.

Sir Mix-a-Lot – “Baby Got Back” (1992)

Quando è uscita "Anaconda" di Nicki Minaj, in parecchi ci sono rimasti di merda perché non era all'altezza degli standard di gusto dettati dalla copertina dell'album. Onestamente a me ha fatto incazzare perché ha riportato sotto i riflettori quell'orrendo brano degli anni Novanta, "Baby Got Back." So benissimo che ai tempi quella canzone doveva avere il ruolo di incoraggiare le ragazze che non rispecchiavano a pieno gli standard di secchezza delle riviste di moda, ciononostante è lecito trovarla terribile e siamo d'accordo che non ha cambiato le cose. Cioè, magari sì, dato che i rapper tipo Drake o Kanye hanno sicuramente uno standard allargato, ma quello stronzo di Sir Mix-a-Lot voleva donne che avessero solo il culo enorme, mentre il resto doveva rimanere striminzito. Quindi nel pezzo, anziché criticare gli standard dettati dalla cultura pop, ne detta lui stesso altri, basati sul suo ideale di bellezza femminile. Una tecnica che poi è stata raffinata da Nelly nella sua "Ride Wit Me." Quindi sì, Sir Mix-a-Lot, in parte hai centrato la moda del culo grosso che ultimamente sta dilagando, ma ti assicuro che la cosa sarebbe successa lo stesso senza di te. I culi sono belli, e credo sia un concetto che si può evincere anche senza che un rapper lo puntualizzi.

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Smash Mouth – “All Star” (1999)

Gli Smash Mouth sono dannosi all'umanità quasi quanto una carestia. Quella che in origine ambiva ad essere una canzone su quanto è bello essere se stessi in ogni occasione, essere fieri della propria unicità, si è rivelata semplicemente l'inno mondiale del perché lo ska-pop dovrebbe essere debellato dalla storia della musica. Se ci fosse un processo contro la musica, l'accusa porterebbe questa canzone come prova che la musica ha torto marcio. Se qualcuno volesse trovare il modo per rendere illegale la California, potrebbe usare questo pezzo come arma. E se tutti ci facessimo un esame di coscienza, dovremmo sentirci fortemente in colpa per aver lasciato che questa canzone potesse esistere.

Sapevate che, in totale, tredici persone possono affermare di essere stati negli Smash Mouth? TREDICI PERSONE. Non uno, ma ben DUE film hanno usato questo pezzo come colonna sonora, nel 2001. Questo pezzo è in Shrek. Possiamo smettere di soffrire e chiedere il risarcimento danni al tribunale dei diritti dell'uomo?

Lou Bega – “Mambo No. 5” (1999)

Ok, alcune canzoni di questo elenco non sono totalmente delle merde, sono solo andate a male con il passare del tempo, ma non c'è dubbio che “Mambo No. 5”—la super e unica hit di Lou Bega—sia una delle tracce più brutte mai concepite dal cervello umano. Se chiedi a qualcuno di farti una lista delle cinque canzoni peggiori di tutti i tempi, hai l'ottanta percento delle probabiltà di trovarci questa. Ma la cosa più fastidiosa di "Mambo" è la sua inspiegabile capacità di essere un incubo ricorrente anche dopo quindici anni. Quando meno te l'aspetti compare in un videogame o in una pubblicità—come a volerti comunicare "morirai prima di me". E nonostante tutto, in molti la adorano. Provate a far partire questo pezzo in qualsiasi occasione e vedrete come lo conoscono tutti a memoria e in molti hanno preso in considerazione "Monica Erica Rita e Tina" come nomi per i propri figli grazie a Lou Bega.

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Sarah MacLaughlin – “Angel” (1997)

Questa è una di quelle canzoni che sembrano fatte apposta per stare nelle pubblicità progresso o in quelle delle ONLUS per adottare bambini a distanza. Non posso più nemmeno ascoltarla senza sentirmi in colpa per tutta quella beneficenza che non ho mai fatto in vita mia. Il pezzo è talmente pressante con tutto l'immaginario da senso di colpa cristiano che trascina con sé, che se malauguratamente ti capitasse la sciagura di sentirlo, dovresti considerare il tuo umore compromesso. Non vi sembra abbastanza per volerlo rimuovere chirurgicamente dalla storia della musica?

R.E.M. – “Everybody Hurts” (1992)

Wow, OK, certo, i R.E.M. sono una delle band più importanti della storia dell'indie rock. E, certo, è vero, questa canzone ha sicuramente aiutato un numero indefinito di persone ad affrontare un periodo buio. Se mai ti chiedessero cosa ti ha reso la persona raffinata, originale e dotata di un ottimo gusto in campo di musica alternativa che dimostra quanto sei profondo e quanto i tuoi valori siano distanti dalle regole che questa società globalizzata ci vuole imporre, probabilmente diresti "Questa canzone!"
La potenza del testo e della musica è impareggiabile. Questo è il suono di un'anima che scivola giù da uno sciacquone, è il suono di un animaletto dolce e tenero e batuffoloso che viene strangolato a morte. E Da dove vengono queste parole così toccanti? Dall'animo sensibile di Michael Stipe, che si mantiene vivo con le lacrime dei teenager in crisi esistenziale. Onestamente è strano pensare che questo pezzo possa effettivamente migliorare la vita di qualcuno. Per dirla con le parole di un saggio, tale Buddha, la vita è sofferenza. Ma lo stesso Buddha sapeva che nonostante tutto c'è sempre una possibilità di superare la sofferenza. I R.E.M. invece indicano solo la strada per una serie di canzoni successive a questa che hanno fatto pensare a un'intera generazione di musicisti che potesse esistere un genere come l'indie rock lamentevole e piagnone.

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The Verve – “Bitter Sweet Symphony” (1997)

Il brit-pop è il "bravo ragazzo" dei generi musicali. La cosa positiva dei Verve è che sono riusciti in qualche modo a sporcare questo ragazzo e a farlo diventare qualcosa di più torbido e intrigante. Il loro pezzo forte, "Bitter Sweet Symphony", ha sempre vissuto un po' nell'ombra di brani brit-pop che sembravano scritti apposta per stare in una pubblicità di automobili, come “Wonderwall” o l'altro pezzo in cui Damon Albarn fa “Woo hoo.” Per ogni dozzina di pubblicità in cui è stata usata una canzone degli Oasis, i Verve probabilmente hanno guadagnato un quindici secondi di fama in uno spot per assorbenti. La cosa triste è che ogni volta che Richard Ashcroft riceve un assegno per la sua bella canzone, deve immediatamente girarlo a Keith Richards. Mai che Richard faccia anche solo il gesto di offrire, quando esce a cena con i fratelli Gallagher. Ma questo è ciò che si merita per aver fatto copia-incolla di sample da una cover per archi di un pezzo dei Rolling Stones. Questo e l'incubo di doverla sentire a commento musicale di scene pietose di teen movie di serie B.

Blur – "Song 2"

I Blur hanno scritto tante belle canzoni, ma saranno sempre conosciuti con la band che ha fatto "WHOO HOO!", e si meritano che qualcuno li faccia soffrire ulteriormente per questa pestilenza sonora. Il pezzo è stato concepito per prendere per il culo il grunge, ma nel tentativo di attaccare una cosa che ritenevano malvagia, i Blur sono invece riusciti a creare un'entità musicale ben peggiore di un esercito di Eddie Vedder sotto bamba. Certo, ti prende ed è difficile dimenticarsi di lei, ma anche la Sifilide è così.

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Il regno del Woo Hoo sembra non avere confini, anche laddove altre hit degli anni Novanta finiscono come materiale da liste di Buzzfeed, "Song 2" rimane intoccabile. Finché i produttori di SUV riterranno opportuno ritrarre impiegati a cui gli abiti da lavoro e la vita cittadina stanno stretti e si dilettano a portare se stessi e la propria macchina oltre i confini della civiltà mentre le ruote si infangano e in radio passa questo pezzo, non credo vedremo la luce in fondo al tunnel.

Primus – “Wynona’s Big Brown Beaver” (1995)

Quando prendevi lezioni di basso e il tuo insegnante desiderava ardentemente dar mostra di sé e del suo slap virtuosistico, oppure quando ascoltavi le canzoni di Cotton Eyed Joe, ti sentivi sì spazientito, ma non fino a questo punto. Il fatto poi che questo pezzo ripeta "Big Brown Beaver" più di un qualsiasi documentario sulla fauna canadese, e che duri tantissimi minuti oltre il necessario, e che ogni volta che lo ascolti ti fa sentire a una fiera di campagna i cui avventori sono unicamente persone con restrizioni legali per abusi sessuali, danno il colpo finale.

Nirvana – "Smells Like Teen Spirit" (1991)

Questo pezzo è spazzatura. Cosa me lo fa pensare? Innanzitutto il semplice fatto che esistono innumerevoli canzoni dei Nirvana molto più dignitose di “Smells Like Teen Spirit.” Non mi va di elencarvele, perché nonostante molti ventenni abbiano posseduto t-shirt con il logo Nirvana, o Converse con la stampa della lettera che Kurt ha scritto quando si è ammazzato, non ne sanno granché dei Nirvana. Oltretutto questo pezzo è considerato uno dei migliori brani musicali di tutti i tempi, che è ok, ma davvero si tratta di quattro accordi e qualche rantolo. Alla gente piace parlare di quanto sia importante "il messaggio di Kurt". Ma di che messaggio stiamo parlando? Qualcuno capisce almeno una frase di questo testo? "Hello! How low! Mosquitos!" Bello. In ogni caso, ci sono due motivi per cui i Nirvana svettano in quella discarica di band che sono gli anni Novanta (scusate R.E.M.) e sono considerati fondamentali per tutte le generazioni a venire: il primo è perché i loro video sembrano tutti passati per un filtro Instagram, il secondo è perché Kurt Cobain si è ammazzato e a tutti gli stronzi emotivi piace credere al mito dell'antieroe, anche se mitizziamo una storia che non riguarda tutti i ragazzi che vivono un'adolescenza problematica, ma la storia un po' più delicata della vita di una persona che non stava bene (bello il documentario però!).

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