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Musica

Kendrick Lamar vi ha fottuto di nuovo

Se pensate che il suo nuovo pezzo sia una stronzata, non avete capito niente.

Ieri è uscito il video di "i" di Kendrick Lamar. Quando era uscito il pezzo, qualche tempo fa, i fan l'avevano accolto con freddezza, anzi, alcuni si erano proprio incazzati. Non capivo perché ai seguaci di Kendrick avesse fatto cagare, perché dovessero essere così duri con questo prodottino. Il messaggio della canzone, voler bene a se stessi, non è niente di male, anzi è qualcosa che di solito i genitori insegnano ai figli. I sample sono presi da "That Lady" degli Isley Brothers e stravolti da una superband in cui c'è anche il virtuoso del basso Thundercat. Niente di più nobile, dal punto di vista del funky. Il video ci mostra Kendrick che balla in modo goffo, probabilmente con passi imparati da qualche vecchio zio ubriacone.

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Ma quindi perché tutti detestano questo pezzo?

Bo, è complicato. Kendrick Lamar è molto significativo per tante persone. Negli anni passati, Lamar ha guadagnato un rispetto nel mondo dell'hip-hop non solo per il suo flow assassino, ma soprattutto perché è in grado di infondere nei fan un senso di ottimismo: si aveva la sensazione di stare a sentire il più grande rapper di tutti i tempi. Kendrick aveva la capacità di captare l'ambiguità morale della vita da ghetto e di raccontarla con sensibilità. I suoi pezzi erano complessi ma diretti. Era in grado di creare tensione, mantenere una linea narrativa solida, creare passaggi emozionalmente densi e poi sdrammatizzare. Nonostante la sua affiliazione a Dr. Dre, non si è mai allontanato dalla West Coast e dall'underground da cui è nato. Nonostante la sua ironia minasse a volte alle basi del gangsta-rap, era così bravo che tutti gli altri non potevano che starsene zitti. Messa giù semplice: dopo che uscì good kid, m.A.A.d city, Kendrick era considerato una divinità del rap. O forse il Luke Skywalker del rap: quello che poteva riuscire a riequilibrare le forze nell'universo, colmando il solco tra pop e underground, come in pochi altri sono stati in grado di fare nella storia della musica.

Ogni traccia in cui è apparso dopo quel disco era solo un'anticipazione di quello che sarebbe diventato. "Fuckin' Problems" di A$AP Rocky ha provato che poteva zittire un'intera rap-posse—anche se Drake in quel caso ha tirato fuori i Beatles… I Beatles, cazzo—tutti si ricordano la barra di Kendrick in quella traccia: "Girl, I’m Kendrick Lamar / a.k.a. Benz-Is-to-Me-Just-a-Car." In "Jealous" di Fredo Santana Lamar era un bluesman di Chicago, grezzo e cadenzato e triste e mistico e fighissimo, tutto questo.

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E poi c'è stato "Control,"—circa tre minuti di tirate violentissime agli altri rapper, in cui addirittura il dissing andava verso Big Sean e Jay Electronica, che stavano nella stessa canzone… Nessuno, dai tempi di T.I. contro Ludacris aveva osato tanto. Duecento secondi della tua carriera da rapper sono ben spesi se, mentre getti la merda addosso i tuoi colleghi, ti stai elevando nell'olimpo e stai mettendo il tuo nome sul libro della Storia, oltre ad essere una mossa incredibile a livello di marketing. Questa gag infatti ha contribuito a far girare il nome di Kendrick molto più che se lui si fosse limitato a far musica, anche se si tratta di musica di qualità talmente alta che i critici l'avevano già messo, dopo un album, nella cerchia di Jay Z, Eminem e Nas.
A volte attentare direttamente al trono è una strategia che ripaga, e Lamar è troppo consapevole del suo potere per non rendersi conto che stava facendo proprio quello.

Con quel verso, il mondo intero ha messo su Kendrick l'etichetta di Miglior Rapper del mondo, e l'ha piazzato direttamente un gradino più in alto a Drake come miglior rapper di ultima generazione. E cosa fa un king del rap quando ha vinto una battaglia? Sicuramente non se ne sta nei confini del suo regno: decide di andare direttamente a espandere i suoi territori, creando qualcosa che piaccia a tutti. E l'incursione definitiva di Kendrick nei territori nemici, è, che piaccia o meno, "i".

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A prima vista, "i" è un pezzo brillante, ottimistico, quasi assimilabile a quella paraculata di "Happy" o a "Hey Ya" degli Outkast o a "Blurred Lines" di Robin Thicke, tre pezi che viene automatico paragonare a "i". Ovviamente questa mossa può essere letta come "Kendrick si è svenduto!" o "Kendrick ha voltato le spalle ai suoi fan, alle sue radici!" o semplicemente come "che canzone di merda." Chiaro che se pensate che "i" sia una canzone di merda non c'è molto che io possa dire per convincervi del contrario.

Se guardate meglio, però, c'è qualcosa di oscuro, disperato e complesso nel sottobosco di "i". Magari è il modo in cui Lamar crea un climax tra quando la canzone comincia—con un filo di voce—e il finale plateale, urlato, scoperchiato. Forse si tratta del video, in cui si descrivono situazioni di povertà, conflitto con la polizia, suicidio. Kendrick sporge la testa fuori dal finestrino, con una faccia da Joker (il Joker del Cavaliere Oscuro) e poi se la balla, in quel modo sgraziato, in un quartiere in cui la situazione non è certamente delle più tranquille.
Questo immaginario, soprattutto in contrasto con il testo della canzone e l'immaginario di cui abbiamo appena parlato (quello allegrotto e superficiale di Pharrell, degli Outkast e di Thicke), che improvvisamente riacquista lo status non solo di termine di paragone, ma di bersaglio di una critica sottilissima e molto intelligente.

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Negli Stati Uniti la situazione di disagio e razzismo è ancora molto presente, si vedano gli ultimi fatti di cronaca, e qualcuno finalmente ne sta parlando col megafono.

"i" è il prodotto di qualcuno che ha capito perfettamente i lati oscuri della realtà. Quando Kendrick dice: "it's a war outside and a bomb in the street / And a gun in the hood and a mob of police / And a rock on the corner and a line full of fiends"—in altre parole, quando il mondo ti sta addosso per quello che sei, per dove vivi, per chi sei, la cosa più forte che puoi fare è affermare te stesso. Letta in questo modo, "i" contiene l'ottimismo radicale di "Jesus Walks," incrociata con la sensibilità pop di "Touch the Sky." Kendrick non se ne sta fuori dal finestrino perché pensa che sia figo: è un modo per dire che non devi startene zitto solo perché qualcun altro pensa che tu lo debba fare. Proprio come la sua "Swimming Pools," una canzone anti-alcol, era passata come una hit da festa, ora sta facendo la stessa operazione con il lato allegrotto e spensierato del pop: lo sta politicizzando.

In un'intervista con FADER, Kendrick ha parlato della tiepida risposta al suo singolo dicendo di essere contento, perché la cosa che l'avrebbe fatto davvero impensierire sarebbe stato rimanersene là dove stava, non crescere, non cambiare. "Devi rinnovarti, e sfidare te stesso e la tua audience continuamente… Se sei un musicista, nessuno ti dovrebbe dire cosa fare, devi andare per la tua strada."

E questo è il punto. "i" non è la svolta pop di Kendrick, e se avete capito così avete capito proprio male. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa per entrare da signore nel mondo del pop. Ma ha scelto di farsi questo apparente sgambetto, nonostante avesse il rispetto di tutto l'underground e il mainstream. Ha scelto di fare la cosa che nessuno si sarebbe aspettato da lui. Una traccia che parla di quanto un ragazzo nero della periferia si debba voler bene, con un sample di una delle band di black music più amate di sempre, e l'ha resa melliflua e allegrotta prendendosi gioco di una fetta di mercato e mandando a segno i suoi colpi in ogni direzione.

In un certo senso, "i" è la cosa più punk mai uscita da un rapper. Proprio perché il mondo del rap si prende sempre così sul serio ed è sempre così autoreferenziale da risultare un recinto sicuro per chi ha già successo, ma anche una gabbia per un genere considerato limitato in molti sensi. Il rap è uno strumento politico, e forse Kendrick avrebbe potuto far passare il suo messaggio in un modo più canonico, per gli schemi dell'hip-hop. Invece ha scelto di uscire da questi schemi e di essere imprevedibile, rendendo questo messaggio realmente universale.