John Cale: musica per la società di oggi

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John Cale: musica per la società di oggi

A 25 anni dal capolavoro "Music For A New Society", John Cale ha deciso di ri-registrarlo completamente. Gli abbiamo chiesto perché, e come sia messa la società contemporanea.

Si può mettere da parte l'idolatria finché si vuole, però trovarsi al telefono con John Cale vuole pur sempre dire trovarsi a conversare con il cofondatore dei Velvet Underground. E allora, seriamente, da dove cominci a fargli domande? Come fai ad affrontare in mezz'ora un percorso lungo e sfaccettato come il suo? Anche solo tentare può essere un mezzo disastro, Non è tanto la sua statura iconografica all'interno del mondo rock'n'roll a impressionare, quanto piuttosto la profondità e forza della sua continua ricerca, oltre che il modo in cui questa si è manifestata, ricostruendo di volta in volta le componenti di un approccio estetico, senza chiedersi quasi mai come renderlo davvero accessibile, ma provando comunque a mantenere sempre l'urgenza e l'inclusività del pop.

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Se infatti gli studi classici e l'esperienza nell'ensemble di LaMonte Young (nonché le collaborazioni con Terry Riley e Eno) hanno alimentato in lui questa fame onnivora di conoscenza e sperimentazione, è stato sicuramente l'incontro con Lou Reed prima e Nico poi a a dargli questa necessità poetica di confrontarsi col quotidiano, con la strada, con un'esperienza collettiva e corale della realtà e, soprattutto, con l'estetica dura e tagliente di cui è indispensabile fare uso se la si vuole rendere davvero. Inutile dire quanto questa attitudine sia stata influente per la cultura musicale a venire, in particolare per la generazione post-punk.

Ebbene, per mia "fortuna", i trenta minuti che ho avuto a disposizione per parlarci dovevano necessariamente avere come oggetto il suo lavoro in cui queste due tensioni si rinforzano maggiormente a vicenda: Music For A New Society, album del 1982 dal suono contemporaneamente astratto, abrasivo e fragile. Si parte a notarlo già dal titolo, ambiziosissimo eppure, proprio per questo, anche evidentemente sarcastico. In realtà parla di un mondo senza prospettive che, più che cercarne di nuove, ha bisogno di imparare a vivere senza un futuro, rifiutando la speranza come necessità. La doppia anima di Cale gli permette di guardare a un vissuto concreto da un'ottica che supera l'umanesimo. Prova a raccontare la "nuova società" mettendo assieme una serie di vignette tragiche, storie di intimità dolorosissime e visioni mistiche senza dio. Le costruisce liricamente dentro uno spazio musicale improvvisato, arrangiato solo in base all'intuito e registrato quasi interamente in solitaria. Ad ascoltarlo ci si sente come a camminare per un condominio dai muri di vetro, pieno di gente trasparente (sono forse fantasmi?), durante uno dei tanti giorni del giudizio.

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A giudicare dai fatti recenti, Cale non ha mai smesso di camminare per quel palazzo, di cui di fatto era già inquilino nell'82: il 22 gennaio del 2016 è uscito M:FANS, doppio disco in cui alla ristampa del capolavoro originale si accompagna una rielaborazione completa dello stesso, una serie di nuovi arrangiamenti e ripescaggi che danno una prospettiva contemporanea su un album che, almeno per chi lo ha amato, non ha mai smesso di essere urgente, né devastante.

Cosa ricordi del periodo in cui hai prodotto Music For A New Society? Chi eri e com'era la tua vita a quel tempo? Come andò la genesi dell'album?
Stavo cercando di capire quale fosse il miglior corso possibile per la mia vita, se la musica fosse davvero quello che volevo fare nella vita o no. Provando a capire quale davvero sarebbe stato il mio futuro, se volessi davvero dedicarmi alla musica classica, tornare all'avanguardia, o andare ancora avanti col rock'n'roll. Per cui quell'album fu davvero un passo avanti per capire che genere di musica volessi davvero fare, prendendo spunto dall'avanguardia. Non ero molto sicuro né di che genere di musica volessi fare né di che genere di musica volessi fare, per cui ho provato a renderlo il più sperimentale possibile.

C'era qualcosa che volevi cambiare nel modo in cui avevi lavorato fino a quel momento?
Quello che non mi piaceva di come si facevano i dischi all'epoca era il tempo che intercorreva tra quando avevi scritto i pezzi e il momento in cui poi il disco sarebbe effettivamente uscito. Io volevo che quell'album rappresentasse il presente. Un modo di raggiungere questo scopo fu quello di improvvisare tutti i pezzi. Mi diedi una sola regola: non fermare mai i nastri, non smettere mai di registrare. Per cui, tra il materiale di quelle session ci sono anche tanti scarti, frammenti, canzoni che non mi piacevano e roba del genere. Riascoltandole ne ho trovata una che mi è piaciuta molto, "Back To The End", e ho deciso di includerla nella nuova versione. Era in buono stato quando l'ho riascoltata e l'abbiamo passata in digitale. L'intero processo di digitalizzazione dei nastri ha richiesto molta attenzione. Riascoltandoli, è stato molto interessante capire cosa stava dentro quei pezzi e cosa no. Ho imparato molto facendo quell'album, ho capito che l'improvvisazione era ancora qualcosa che mi rende ottimista sulla possibilità di scrivere canzoni e sul loro contenuto. Quando l'ho finito ho pensato che sarebbe stato un album molto difficile da ascoltare, assolutamente non radio-friendly, per cui ho scritto e registrato "Changes Made" apposta, per mostrare alla label che capivo cosa stavano provando a fare. Ad ogni modo, la forza dei brani viene da un sacco di cose diverse, a volte dagli arrangiamenti che ho usato, a volte dai diversi modi di cantare. Quando li ho registrati ho provato a riproporre quella forza più che potevo.

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Sicuramente suona completamente diverso da tutti i tuoi altri dischi.
Sì, quasi in modo schizofrenico, haha.

Haha, è vero. In realtà mi ha ricordato soprattutto le produzioni e gli arrangiamenti che hai fatto per Nico, specialmente in The Marble Index. Quel misto di austerità crudele e free-form. Per te è stato simile lavorare a quei due album?
Sì, la metodologia è stata la stessa. Mi era davvero venuto in mente che potevo "copiare" il modo in cui avevamo lavorato per The Marble Index. Per via del modo che aveva di cantare e suonare l'harmonium, io dovevo aggiungere le parti di viola o di piano o gli altri strumenti improvvisando attorno a quello che suonava lei. Poi spesso toglievo l'harmonium e tutti gli elementi dell'arrangiamento rimanevano sospesi. Sai, l'album era stato progettato dall'inizio come un lavoro completamente solista, e mi stava bene essere io a produrre tutti i suoni.

Ma la nuova versione è radicalmente diversa a sua volta. L'originale è molto spazioso, con la tua voce e spesso il piano messi al centro di ogni brano, con tutti questi "oggetti" sonori che gli gravitano attorno. Il nuovo sembra molto più oscuro e denso, a tratti decisamente heavy, quasi aggressivo.
Penso che entrambi siano, in modi diversi, decisamente claustrofobici. L'originale lo era decisamente e anche il nuovo: le canzoni, sia nel testo che nella musica sono piene di "persone" diverse, e queste "persone" entrano ed escono, appaiono e scompaiono nel corso dei vari pezzi. Cercando di individuare le origini di questo senso di claustrofobia si può associare a una di queste o all'altra, si può legare a un certo personaggio, ma è difficile. Credo che sia uno dei punti di forza dell'album, non credo assolutamente sia un punto debole.

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john cale intervista 2016 music for a new society mfans velvet underground

Assolutamente, è parte della sua forza. È molto interessante che tu abbia parlato di vari personaggi, è chiaro che i testi ne contengono molti, ma non avevo mai pensato che si potessero effettivamente incarnare nei suoni. Pensi che costituiscano una narrativa comune o sono slegate tra loro?
È davvero una buona domanda. Non l'ho ancora capito, forse alcuni di questi personaggi generano dei legami tra un brano e l'altro, il che sarebbe decisamente interessante, ma io sinceramente non so ancora dire se è così. Non so bene come risponderti: so che sono legati, so che il modo in cui appaino, scompaiono e riappaiono è anche il modo in cui sono legati a ciò che gli fa da sfondo, alla strumentazione. Quando la storia si ferma in realtà continua negli strumenti. Aspetti che arrivi un'altra voce a proseguirla, ma in realtà è la musica a farlo. Non credo di averli mai davvero ascoltati chiedendomi il significato di ogni suono, ma è comunque possibile che siano tutti collegati.

Anche il titolo offre uno sfondo unico, in qualche modo: questa "nuova società" di cui tutti i personaggi farebbero parte… Ma sembra quasi un titolo sarcastico: più che nuova, quella che ne emerge sembra una società condannata.
Non sono religioso, e tutte le canzoni partono da un punto di vista non-religioso. Il motivo per cui esistono tutte queste religioni è per darti speranza, mentre effettivamente al mondo non ce n'è. Danno speranza e terrore allo stesso tempo. In molti dei salmi e degli inni più antichi Dio terrorizza a sua volta la gente per farsi venerare. Quindi è questa l'idea di partenza per Music For A New Society: l'idea che non ci sia più un dio che prova a spaventarti per farsi venerare. Non ho niente contro l'idea che si possa venerare una qualsiasi cosa o persona, ma se ci chiediamo come mai ci siano così tante religioni al mondo, credo la risposta sia quella.

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In generale sembra che lo sforzo di tutto l'album sia quello di compiere un viaggio tra varie vite per tentare di venire a patti con la condizione umana.
Sì. Sì, esattamente!

La maggior parte dei brani hanno come protagonista una donna. Anche l'idea di maternità torna molto spesso, fin dal primo brano "Taking Your Life In Your Hands" (uno dei pezzi più struggenti e dolorosi che abbia ascoltato in vita mia). Ha un significato particolare?
A volte si tratta di mia madre, a volte di una donna generica, o delle donne in generale. Non ho un'idea troppo chiara di quale sia la differenza.

"If You Were Still Around" sembra avere acquisito un'importanza particolare nella nuova versione. Sia perché ne hai incluso ben due arrangiamenti diversi, sia perché il video mostra molti degli amici che hai perso negli anni.
Sì, una è la versione con il coro. La prima delle due è molto, molto solitaria e impiega molto tempo, o meglio, impiega una quantità di tempo diversa a far apparire le parole, e penso davvero sia un'esperienza molto solitaria. Nell'altra è come se si ricevesse una mano, del supporto dal coro. So che suona un po' religioso, e mi sta bene, ma è solo per dare un'idea di calore. È come stare piangendo la morte di qualcuno ma non farlo da soli, ricevere supporto dagli altri.

Anche in "I Keep A Close Watch" non sei più solo, è addirittura diventata un duetto, con la voce di Amber Coffman dei Dirty Projectors che canta assieme a te.
Sì. In realtà in "I Keep A Close Watch" mi sono reso conto che c'era un fantasma nella canzone e Amber impersona quel fantasma. Il suo ruolo è quello di una figura alla quale posso rivolgermi, e allo stesso tempo della persona di cui parlo, per cui lei rinforza quell'idea.

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In un certo senso, tutte queste canzoni parlano di fantasmi, di presenze-assenze come quel dio di cui parlavi prima.
Sì, credo che volessi farle emergere tutte dal mio inconscio, e un modo di evocarle era proprio l'improvvisazione, fare emergere spontaneamente le canzoni e non tornare mai indietro a modificarle, qualunque cosa succeda. È un esercizio psicologico: ho provato a non dare loro nessuna direzione, che è anche la condizione più interessante di tutte, quella in cui non hanno una direzione e non c'è un focus particolare, ma sono un mucchio di suoni, idee e immagini che emergono. Per cui sì, l'immagine psicologica è molto importante per me.

Ma nel ri-registrarle sei effettivamente ritornato sui tuoi passi, le hai riarrangiate… In definitiva, perché hai deciso di creare queste nuove versioni?
In realtà ho voluto essere fedele alle vecchie versioni, ho solo voluto renderle più forti. Non si trattva di correggere degli errori, perché non pensavo di averne commessi. Ho trattato il materiale originale come un ritratto molto onesto di com'ero e del lavoro compiuto all'epoca, come dicevo prima, l'idea di riavvicinare la registrazione di una canzone al momento presente, creare un modo molto più contemporaneo e fresco di produrre tessiture sonore e di interpretare la musica. Ma ogni volta che le ho suonate dal vivo si sono trasformate in nuove canzoni, non ho mai smesso di reinterpretarle.

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Ma quindi perché rifarle? C'entra qualcosa con l'idea di dare un punto di vista sul mondo di oggi?
Sì, è un modo di confrontare dei problemi che sono ancora forti e altri che si sono indeboliti, volevo vedere quanti di questi sarebbero sopravvissuti a un esperimento del genere.

Per questo che alcuni pezzi hanno un tono così diverso? "Damn Life", ad esempio non ce l'ha proprio fatta a comparire nel nuovo disco.
Oh, in quel caso è che proprio non ne posso più di Beethoven [si riferisce al fatto che l'intera "Damn Life" si basa sulla melodia della "9 Sinfonia" / "Inno Alla Gioia"—N.d.R.].

"Broken Bird", invece è rimasta quasi completamente intatta.
"Broken Bird" è in 3/4, che è un metro molto problematico: sarebbe stato impossibile accelerare il tempo o diminuirlo, o avrebbe rischiato di diventare ridicola, o avrebbe aggiunto un tono sarcastico. Quel pezzo non deve avere niente di sarcastico.

C'è della nuova musica che ha influenzato il tuo modo di riarrangiare i pezzi?
Uhmmmmm… Vediamo… Sì. C'è un artista di nome Sweatshirt [Earl—N.d.R.], che ha un'idea di canzone molto estesa, direi indefinita. Molto interessante. Poi ho notato che molto di quello che viene dalla Georgia, dallo studio di Akon… roba molto di strada… è davvero interessante. Non è il solito songwriting strofa-bridge-ritornello, non ha segmenti di questo tipo ma tutto un'altro tipo di ambientazioni. È interessante, perché normalmente il ritornello è l'idea attorno alla quale solitamente organizzi la stesura di una canzone, ma loro non lo fanno.

Ecco, mi pareva di sentire un'influenza hip-hop di qualche tipo. E i riferimenti alla musica dance che ci sono in alcuni pezzi? La nuova versione di "Sanities"/"Sanctum" ha un beat techno…
Oh, quella sì che è sarcastica. Il beat serve a rendere tutto il resto grottesco, la cassa, il tono marziale che c'è verso la fine, e i versi che ho aggiunto: "Leipzig, Leningrad, Shangai, Phnom Pehn"… Tutto molto militare e grottesco, ma penso funzioni, penso che racconti una storia.

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