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Musica

Donatella la CowGirl

Il far west della Rettore era un luogo apocalittico e senza legge, esplorato in un album che quasi nessuno si ricorda. Tranne noi, ovviamente

«'In ognuno di noi c'è un cow-boy', dice Louis L'Amour, prolifico e fortunato autore di decine di best-seller western. Anch'io, oggi, sono un cow-boy e vivo per la sfida, e sfidarsi, essere sfidato, sfidare è un'emozione insostituibile. Questo Far West è più del suo stesso mito: non è contro gli indiani, non è contro la legge, non contro i fuorilegge; non parlo di ieri, questo è un Far West di domani. Anche dentro di te c'è un cow-boy? Sfidati, sfidali, sfidami… e amami…! La cantante del saloon oppure, a scelta, Lola Pink»
(Donatella Rettore, 1983)

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È strano come nel nostro belpaese si sia così restii a riconoscere un autore quando esso è donna. In generale si fa più attenzione al fatto che si tratti di una “cantante”. Che sia, prevedibilmente, maschilismo atavico? A dir la verità spesso sono le stesse donne a ignorarlo, quindi semmai è una certa insipienza diffusa che credo avrà origine nella—ovviamente merdosa—educazione musicale di tutti i nati in Italia. Diciamo questo perché, come per Giuni Russo, molte sono le donne che hanno rivoluzionato il pop italiano di loro pugno: è il caso della Rettore, autrice e figura “dinamitarda” che con la Russo avrà in comune non solo attitudine e lunghissima gavetta, ma anche un singolo storico (“Adrenalina”, formidabile duetto del 1987) e soprattutto le tristi soverchie di un mercato discografico ingrato.

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È tanto che la nostra non sforna nulla di nuovo, ma dal vivo è sempre un must, e a dimostrazione di questo uscirà a breve la versione CD e DVD di una storica esibizione alla TC svizzera datata 1981, quando la nostra era in stato di grazia e, a differenza di tanti blasonati artisti maschi della penisola, se ne andava in Europa e in Giappone a vendere tre milioni di copie del suo Estasi Clamorosa, quello della folgorante “Donatella” in cui negava l’identità precostituita e la impiccava sul bidè a colpi di ska-punk (famosi i suoi travestimenti al limite fra l’androgino, il glam e Dio sa solo cosa).

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Chi non conosce le sue hit non abita in questo paese: dopo anni passati in sordina (diciamo dal '73 al '78) la Rettore esplode letteralmente inanellando una serie di successi micidiali e sdoganando temi scomodissimi, come la chirurgia estetica per puro feticismo ("Splendido splendente"), bignami per suicidarsi ("Lamette"), inni al membro virile poiché “servo che vive in prigione” ("Kobra"), satanismo armato ("Salvami") e via discorrendo, tutte cose che il popolino più avanti—per neutralizzarla—infilerà nel calderone “trash”. Ma di trash c’è solo l’ambiente che le gira intorno, ovviamente quello malato della “musica”. Infatti, dopo questi continui strike, la nostra si arresta proprio nel momento del possibile decollo sulla luna. Lascia la Ariston dopo il mega successo di Kamikaze R’N’R Suicide e prende la decisione avventata di darsi alla CGD, l’etichetta della solita Caterina Caselli che in teoria avrebbe dovuto favorirla: infatti, gli esordi della Rettore si basano su cover della stessa Caselli, per Donatella un mito. Fatto sta che il secondo album è ambizioso e accetta la sfida del progresso tecnologico visto come “nuova frontiera”. Il Far West insomma: non solo dal punto di vista musicale, ma anche da quello “politico”. Una frontiera del futuro (la copertina la vede dentro un flipper con modernissimi led) in un mondo in cui (come da incipit) nessuno è contro la legge ma nemmeno contro gli indiani, insomma la società oscilla fra anarchia e ambiguo piattume del potere, e la sfida è l’unico modo per smuovere le cose. Tale “sfida” uscirà nell’83 anticipato da “Io ho te” il più romantico e più sintetico singolo dell’intera carriera della Rettore. Il brano va abbastanza bene, ma diventa una sorta di evergreen mancato, forse per il suo essere troppo “dilatato” (in tutti questi anni l’unica cover ricevuta è quella di Syria, tanto pe capisse…). Riesce comunque ad arrivare nella top ten con le sue cavalcate campionate al Fairlight, ok… ma l’album? Sparito dall’immaginario collettivo: ecco perché Italian Folgorati è pronto a passarlo in rassegna.

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Siamo chiari: l’LP nasce come un “finto musical”, e narra la storia di eroine o antieroine di frontiera, come a simboleggiare le diverse anime della Rettore che tutte nello stesso tempo cercano di fronteggiare la società dei consumi, circondata da misteriosi personaggi (ad esempio un tale “Sole Che Scotta” che dovrebbe essere un indiano). È quindi il racconto di un “sogno”, come se la Rettore si fosse svegliata nel pieno della notte nei panni di una “donna bianca”, magari dopo aver fatto una scorpacciata di libri di Louise L’Amour (famoso autore di genere citato in copertina), anche perché il musical non vedrà mai e poi mai la luce. Dal punto di vista musicale è un massiccissimo insieme di sequencer maciullati e robotici non dissimili dalle uscite Mute dell’epoca, tra il synth pop e, appunto, l’industrial. “Rodeo”, il brano di apertura, è appunto questo: narra di questa donna indomita, circondata di aguzzini ai quali fa credere di essere una preda quando in realtà, appunto, decide lei la sua salvezza e il principe azzurro può aspettare.

“Far West”, la title track synthrock, è un po’ il manifesto. “Pionieri in cerca d’oro” certo, ma anche gente che si ubriaca, che pensa al suo gregge e nulla più. “Far west nei film e nei fumetti”. In un certo senso il “Mississippi in piena” è l’America che divora tutto con i suoi valori edonistici. “Far west per uomini davvero” ovviamente ironica frecciata al machismo imperante. Il brano è un’amara riflessione del “passato nel presente” di una società violenta che è riuscita a far passare per pop anche l’omicidio. Apparentemente un divertissement synth pop, in realtà il messaggio è chiaro: "la vita moderna è spazzatura" come dicono i Blur, e questa frontiera somiglia sempre più a quella della trilogia western di Burroughs.

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Ed ecco il brano autobiografico: Rettore, “La Cantante Del Saloon” chiamato music biz. Una ballata dalle pennellate power funk ovviamente immersa in macchine digitali. “Il sole non lo vedo mai”, confessa la nostra eroina, inglobata in un mondo di uomini d’affari e voyeur cui deve sempre rendere conto: un po’ il continuo dei concetti espressi in “Diva”, in cui la cantante è costretta a convivere con la sua icona “pruriginosa”, ma la differenza è che forse i meccanismi si fanno sempre più schiaccianti e in questo la nostra sarà, ahimè, profetica. Una presa di coscienza di un ruolo che da vincente si trasforma nel suo esatto contrario. Interessante come Grillo, nella presentazione alla Domenica In d’epoca, la confonda velenosamente con la Bertè: quest’ultima era stata, infatti, silurata dalla Caselli subito prima dell’ingresso di Donatella in CGD. Le due cantanti erano, pare, acerrime rivali (proprio nel finale di “Diva” quell’ “ammazzatemi la diva” pare fosse rivolto anche alla Bertè) in un saloon (quello discografico) troppo pieno per funzionare.

In un andazzo alla Bow Wow Wow (non a caso: ricordiamo che all’epoca l’immaginario degli indiani era abbastanza diffuso) s’inseriscono una serie di ritmiche Moroderiane e synthoni simil-videogioco. “Ranch (Lola Pink) ” narra di un’eroina che riesce con le sue forze—ed ettolitri di birra con la schiuma—a trasformare un nascondiglio in un pascolo. Qui si combattono gli indiani ma anche Custer, insomma tutti quelli che attentano all’incolumità della nostra … Una visione matriarcale della faccenda chiamata vita nonché probabile orgogliosa rivendicazione della Rettore di un successo ottenuto con sangue e sudore.

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Con una drum machine alla Hancock, synth acidi che piacerebbero alla Valerie e sassofoni incastrati nel chorus, “Can Dan” descrive perfettamente la situazione in cui l’arte diventa oramai prostituzione. L’insofferenza di un certo tipo di ambiente è palpabile, tant’è che “Qui sembra tutto facile / anche il modo di parlare/ libertini senza scrupoli veniteci a trovare” e “Per lei che vuole amore c’è una coppa di champagne”. Il pensiero debole vince, oramai la Rettore è a rischio automazione, come il frenetico ritornello speed-techno suggerisce.

Ma il capolavoro technopop deve però ancora arrivare: “Il Ponte Dei Sospiri!” è una mazzata quasi techno-gabber rallentata. Cassone e presagi futuristici di anime programmate, coerentemente con la precedente canzone. “Se io amo è dolore/ se io tremo è dolore” siamo al capolavoro. L’arrangiamento è ai livelli dei grandi brani technopop italiani, come nel coevo Tango dei Matia Bazar, che avrà miglior fortuna. Il ponte dei sospiri di Venezia, collegamento alle sue origini venete, apparentemente parla di sospiri d’amore, ma leggenda vuole che il nome del ponte venga dai carcerati che sfilavano verso le stanze di tortura di Palazzo Ducale, ovviamente sospirando a salutare il mondo esterno per l’ultima volta. Insomma, bisogna liberarsi da queste catene, ora e subito: per sottolineare la cosa, la Rettore si esibisce a lutto.

Del singolo di traino abbiamo già parlato, in cui finalmente una Rettore rasserenata libera se stessa nell’amore, unica via d’uscita. Ma nel brano successivo, “Vera” c’è la possibilità di rovesciare il sistema dello spettacolo anche con il semplice potere di essere se stessi. Un brano che sembra un Adam Ant massacrato dal chorus e ucciso da suoni metallici a la Depeche Mode. Suoni gonfi come l’“incoscienza sincera” di Rettore, chiave per scendere dai poster nelle camerette e uccidere gli idoli. Un brano inquietante nel suo tentativo di apparente “allegria tecnologica”.

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Il finale è affidato a un pezzo che ha un autore illustre, ovvero Elton John. Se si tratti di uno scarto di fabbrica o meno, non è dato sapere: quello che è chiaro è che per quanto l’interpretazione della Rettore sia eccezionale, il brano non è del tutto nelle sue corde (infatti la demo di Elton è cento volte meglio). Ballata da pianobar più che romantica, nulla di che: Elton era peroò un amico, tanto che firmerà tre pezzi per lei in tutta la sua carriera (una finirà anche nel film Cicciabomba, dove la Rettore fa i numeri come attrice. Forse da lì l’idea di misurarsi col musical?). Ad ogni modo, nel Lato B, il concept del far west sparisce completamente e inspiegabilmente. Come mai?

L’ipotesi è che la Rettore lo avesse iniziato e non fosse stata capace di completarlo, trovandosi nel frattempo in mano dei pezzi di tutt’altro genere che, paradossalmente, sono quelli che funzionano meglio. Forse anche per la fretta di esaudire le richieste della pressante Caselli, viene presentato un lavoro che avrebbe forse richiesto una maggiore revisione, uno dei motivi del mezzo flop. Vero anche è che l’album uscì ad autunno inoltrato, quando oramai “Io Ho te” era un ricordo dell’estate, facendo passare in sordina l’abiura per il rock e l’innovativa svolta elettronica: da questo momento la frattura fra la Caselli e la Rettore è totale, tant’è che si rifiuterà l’anno seguente di partecipare a Sanremo. Da questa crisi però nascerà un grande album come il successivo Danceteria, dedicato alla celebre discoteca di NY e tutto il successivo “filone indipendente” della Rettore, che gettandosi alle spalle la CGD prima e la Ricordi poi, le permetterà di raggiungere interessanti risultati. Come nel 2003 il singolo "Bastardo" (30.000 copie senza pubblicità) e la Top 20 della FIMI per l’ultimo disco del 2011, “Caduta Massi”: e se anche ha fatto delle marchette tipo “La fattoria”, per noi rimane sempre quella che “Fa battere cuori / Accende affetti e rancori”. Perché, tutto sommato, non è la Lola Pink del Ranch: lei è “Vera”.

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