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Musica

Zero re della giungla

Rancoroso e narcisista, nell'84 Renato era convinto che "Leoni Si Nasce" e che voi sicuro non siete tra questi.

I: I moralisti sono sempre tra noi.
R.Z: Bisognerebbe trovargli un lavoro. I moralisti sono parassiti. Non fanno un cazzo dalla mattina alla sera. Tutto questo tempo sprecato a rompere i coglioni agli altri, rubato all’intelligenza, sottratto a un impegno più costruttivo. Che peccato.
(Renato Zero al Fatto Quotidiano- 29 ottobre 2013)

Roma è una città che vive di contraddizioni: non potrebbe essere altrimenti, da sempre il suo sviluppo è avvenuto in maniera random, ogni quartiere fa paese a se, la sua storia è legata a doppio filo da un forte sentimento pagano e tollerante da una parte, e da un altrettanto forte scudo religioso conservatore dall'altra, in cui peccato e redenzione convivono bellamente scambiandosi spesso e volentieri cenni di intesa. Il personaggio di cui stiamo per parlare, Renato Zero, non poteva che nascere e crescere in un contesto come questo. Renatone è un verace simbolo di Roma, su questo non c’è dubbio: in questi giorni e fino al 22 marzo viene addirittura celebrato con una mostra al museo della Pelanda nella quale la sua carriera viene ripercorsa attraverso costumi di scena, lustrini e boa di struzzo, dimostrando che anche l’intellighenzia oramai è con lui. Il popolo, invece, con lui c’è sempre stato: tu vai al bar e se senti un brano di Renato alla gente vengono i lucciconi. Poi gli parli e ti dicono “ grande Renato, lui è uno che ha fatto questo quello e quello. Ora vabè non fa più grandi canzoni ma è un grande uguale, è uno de noi”. E in effetti Renato ha lottato parecchio, portandosi la vita sulle sue sole spalle.

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La carriera di Zero inizia col beat: abbandona gli studi di cinema e decide di passare direttamente alla pratica dello spettacolo. Nel '68 canta per la prima volta al Beat Raduno cominciando subito a spianarsi la strada con determinazione partecipando al film di Fernando Di Leo Brucia Ragazzo Brucia, pellicola dai contenuti scottanti che reca in se i germi della rivoluzione sessuale (e non) in atto, che Renato rappresenta in pieno. Sì, perché ama travestirsi, truccarsi, è praticamente una drag queen ante litteram e non limita questa pratica al palcoscenico, ma la estende alla vita quotidiana. Immaginatevi un quattordicenne degli anni Sessanta, vestito di palliettes, che abita alla Montagnola—ancora oggi zona di occupazioni, casermoni e vita di strada—in quanto sfrattato dal centro con la promessa di un bagno in casa. Per Renato travestirsi è tanto un gesto politico di autodeterminazione quanto un modo per evadere da una realtà di merda; viene trattato a male parole, viene pestato più di una volta sia da borgatari che da borghesi, anche in branco, ma non fa una piega. Anzi, risponde ai cazzotti con “Perché fate così a Renatino vostro? Venite qui che vi offro la colazione”, riuscendo in questo modo a spiazzare i suoi aguzzini, ottenendo il loro rispetto.

È un osso duro, nonostante sia magro come un giunco: le questure lo vedono spesso ospite in quanto travestito, ma lui non molla. Nonostante sia figlio di poliziotto non ha nessuna intenzione di rinunciare alla sua libertà, e anche il genitore si arrende. Quindi, armato di trucchi e parucchi, viene notato da Don Lurio e ottiene il suo primo contratto come ballerino, ma è solo con l’amicizia profonda con Loredana Berté e Mia Martini che inizia l’ascesa, attraverso una gavetta indefessa. Lavora come comparsa per Fellini, ha una parte importante in Orfeo 9 e poi in Hair, fa anche caroselli pubblicitari, ma soprattutto fa la fame. Ha già comunque in mente il suo nome d’arte e il personaggio che andrà a interpretare, trasforma gli scherni in un nome di battaglia: “sei uno zero” gli dicevano? E lui da questo momento sarà—appunto—Renato Zero. Nel ‘73 finalmente il primo album, No Mamma No: un furbissimo finto live che cerca consensi subliminali negli ascoltatori (gli applausi in loop fanno il loro effetto), pieno di contenuti scottanti. Il disco esce dopo un braccio di ferro pauroso con la RCA, i cui boss sono costretti dalla sua testardaggine a dargli carta bianca su tutto, cosa impensabile per l’epoca. Certo, tutto ha un prezzo e fino al 1976 Renato deve farsi autopromozione ai concerti, vendendo i dischi all’uscita con la compagna Lucy, cosicchè nelle classifiche di vendita ufficiali non saranno segnalati. Insomma, un qualcosa di molto simile all’autoproduzione moderna (se non proprio identico), che si muoveva parallela all’andamento discografico. All'epoca non era raro che scioperi nelle major impedissero la distribuzione, e molti cantanti rimanevano sul lastrico. Zero no, dal lastrico proveniva e si rimboccava le maniche senza paura.

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La sua compagna dicevamo: eh si, perché Renato Zero parla stranamente solo di due donne della sua vita, Lucy ed Enrica Bonaccorti. Per il resto il suo privato è avvolto nel mistero più fitto. È però evidente la sua apertura sessuale a 360 gradi, confessata da lui stesso nel film Ciao Ni ( capolavoro di narcisismo zeriano diretto da Paolo Poeti, regista softporno), dove in numerose “udienze” lo attendono tante suadenti donne svestite quanti bei giovanotti. Con l’arrivo del prog e del glam rock Zero riesce finalmente a dare un senso alla sua ambiguità sessuale, per lui ossessionante: i vari Gabriel, Jagger e soprattutto Bowie con la loro “alienicità” e i loro costumi androgini e folli sono il lasciapassare che rendono Zero l’unico in grado di gareggiare con l’estero. Questo perché—a differenza ad esempio del grande Alfredo Cohen, recentemente scomparso—Renato non è solo omosessuale. O meglio, ci tiene a parlare per entrambe le tendenze, cosa che gli sarà rimproverata da alcuni dei suoi eredi quali Ivan Cattaneo, che nel programma tv “Cipria” lo manderà idealmente in Siberia, perché non fa un reale outing e per le sue simpatie cattoliche (anche se nella canzone “Onda Gay” Zero pare molto chiaro a proposito).

Ad ogni modo, questa capacità di mettere sul piatto tutte le contraddizioni del popolo (perché di questo si parla, di periferia, di liberazione dai pregiudizi, di riscatto, di proletariato, dei diversi e degli emarginati) unita al suo indubbio carisma e alla sua street credibility riuscirà a fare in modo che i dischi di Zero si troveranno ovunque. Se li compra la mamma, se li compra il ragazzino, se li compra il fascista il comunista il frocio e il cattolico “de borgata” che in qualche modo vedono la loro catarsi nei solchi di questo "perverso polimorfo" che di conseguenza arriva a vendere pacchi di dischi con Zerofobia del '77, disco eccezionale: quasi una cronaca nera in musica che ha trovato addirittura spazio nel blog Mutant Sounds. Zero è una maschera che rappresenta pregi e difetti di tutti i senza famiglia, senza scadere nel nazionalpopolare ma ponendosi in maniera critica, pur ovviamente con i suoi limiti. Almeno fino al 1984, anno del disco che stiamo per analizzare: Leoni Si Nasce.

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Facciamo una premessa: la Zeromania in quegli anni prende una piega sempre più ampia. I sostenitori diventano numerossissimi, dei veri assatanati, tanto che Zero viene seguito dai fan in motoretta fuori dai concerti. Da qui l’epiteto di “sorcini”, l’esercito di fedelissimi di Renato ai quali egli vuole dare un tempio in cui fare funzione: pensa allora alla rivoluzionaria idea di un tendone itinerante, proprio come un circo. Chiama Enis Togni e con una costosissima operazione che vede coinvolto anche David Zard, trasforma il circo Togni in Zerolandia. Il primo tour totalizzerà duecentocinquantamila spettatori complessivi, che aumenteranno a dismisura negli anni seguenti anche a causa del basso prezzo del biglietto: Zerolandia è nel frattempo diventanta anche un’etichetta, che fra gli altri lancerà e produrrà il progetto solista di Massimo Morante dei Goblin, definitivamente convertitosi al pop.

Ma oltre che circo e etichetta, Zerolandia diventa una specie di Nomadelfia, in cui i giovani scappati di casa trovano rifugio, in cui gli sbandati vedono il cantante ad accoglierli in carne ed ossa e a dargli dei consigli paterni. Insomma sembra quasi un centro sociale occupato in cui cantante e pubblico sono sullo stesso piano. Ma Renato Zero si sta trasformando più che altro in un profeta vero e proprio: un profeta politicamente e sessualmente ambiguo, che non può che essere scomodo agli occhi delle autorità. Evidentemente pesa il suo evidente cattoanarchismo, quasi Pasoliniano, in cui elementi distantissimi fra loro cozzano e convivono: Renato non vuole tessere di partito, e allo stesso tempo i partiti non l’hanno mai voluto.

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C’è chi lo accusa di fascismo e lui risponde di venire da una famiglia di comunisti e di essere un diverso: detesta la borghesia ma officia le messe in jeans e parla contro la droga e l’aborto, a volte pertinentemente ("Tragico Samba") a volte in maniera ingenua (famosa la sua controversa “Voci Nel Buio”) salvo poi prendersela con la chiesa in Ciao Ni, in cui le suore sono delle troie represse, i generali delle criptochecche e la famiglia culla della repressione. Insomma, sembra un pazzoide che sguscia via come un’anguilla e fa proseliti tra la gioventù senza distinzione di classe né credo, superando quindi tutte le barriere ideologiche. Ragion per cui la questura di Roma nel 1983 sigillerà il tendone di Zerolandia , cacciando tutti: ufficialmente per ragioni "di sicurezza": ma è strano che in quattro anni nessuno se ne fosse accorto prima.

A questo punto Zero si aspetta una risposta dal suo pubblico, che non arriva. Una mobilitazione di massa era pensabile per una circostanza del genere, ma evidentemente il divario fra spettacolo e vita non si era colmato. Molti non andavano ai suoi concerti per lui, spesso anzi andavano a sabotarlo e lui prontamente li affrontava verbalmente. Per molti Zero era semplicemente uno che leniva dolori, un'icona, ma non un uomo in carne e ossa a cui dare solidarietà. Addirittura Zero si trova a dover fare un appello a Domenica In da Pippo Baudo, dove esprime tutto il suo rammarico per quello che a suo dire è un abuso di potere bello e buono. Non serve a nulla, e Zerolandia chiude definitivamente. Beffa fra le beffe, era la stessa Rai che Zero aveva sbeffeggiato velenosamente con “Viva La RAI”, in un “Fantastico” diretto dal geniale Enzo Trapani.

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Ecco dunque nel 1984 Leoni Si Nasce: la copertina raffigura Renato vestito da leone, in gabbia. Evidente il riferimento alle forze dell’ordine ed evidente anche la frecciatina ai suoi fans.Come a dire, al gabbio ci sono andato io, voi dove eravate? Per le foto e i video promozionali Zero si fa rinchiudere allo zoo di Roma, accompagnato (pare) da veri pigmei. Col pieno spirito neo-terzomondista che oggi va tanto per la maggiore, il concetto di “giungla urbana” viene a galla e il primo brano è un introduzione a questo sogno-incubo postcolonialista ben descritto nelle immagini interne, così glo-fi e kitsch da stare male.

L’introduzione è, in effetti, volutamente eccessiva, fra l’hollywoodiano e il disneyano come se si fosse nel pieno di un film di serie Z. Renato recita un testo su partitura del maestro Renato Serio (si, quello di Pippo Baudo ma anche e soprattutto de Il Ginecologo Della Mutua) molto chiaro: “entrategli finalmente nella pelle perché lui sia realtà e non leggenda!”. La metafora hollywoodiana è una specie di autocritica feroce: il pubblico non ha capito che Zero è vero e non una mera voce in un microsolco. Zero a sua volta non ha capito che la sua simbiosi col pubblico era pura utopia: tocca che il felino si liberi dal suo personaggio da cartone animato. E allora si va a incominciare.

Del team di musicisti del passato rimane poco: Corrado Rustici, proveniente dai grandissimi Cervello e dai Nova che già in Artide E Antartideforse il capolavoro new wave di Zero—schitarrava bellamente, si porta appresso Randy Jackson e un po’di gente che poi verrà a formare il nerbo dei grandi successi di Zucchero ( di cui Rustici sarà produttore). Renato Serio, incredibilmente, smanetta sui synth sfoggiando un gusto stile "La Femme" punzecchiato di suonini minimali. Il brano è una stoccata alle guardie, ma anche ai fans. "Da uomo a uomo fatti un po’ avanti senza l’artiglieria." Zero ha paura del futuro e rimpiange la dura vita di borgata rispetto a quella dello showbiz "quegli animali malgrado gli istinti conoscono la realtà".

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Ecco: la realtà in questo disco sembra il punto centrale, l’equivoco nodo che Zero tenta di sciogliere. In “Si Gira” amplifica questa idea di finzione del mondo dello spettacolo che lo ha inglobato suo malgrado. Il problema è che "Quanta luce un riflettore ti da/Ma quando solo sarai/Ti fiderai soltanto del copione/O ti inventerai un’altra illusione?". Zero voleva cambiare il mondo ma non ha calcolato che "Di satira e di drammi sempre un film se ne fa". Ed è il momento della disillusione più totale, su una base disco/wave, sottolineata da una voce presa ammale.

La disillusione è il centro di uno dei picchi del disco, "Per Non Essere Così" è una confessione di fragilità, crisi di identità micidiale. Zero ha fallito, voleva essere diverso e ora è solo schiavo del suo personaggio "Piu’ uomo? Più donna? Diverso? Perverso? E adesso come mi vuoi?" . Il testo non lascia adito a dubbi, Zero è più cupo che mai ha perso l’ironia di un tempo . “Quando io sul marciapiede chiedo amore e invece tu/Apri il portafoglio e paghi quell’ora in più!”. La metafora della prostituzione rimanda direttamente a quei fans i quali invece che condivisione di esperienze vogliono la star, la puttana da palcoscenico.

Ed ecco che serpeggia il sospetto, la paranoia da complotto. Sembra quasi il the Wall di Renato Zero leggendo frasi come "Il prete e il poliziotto e via via /Chiunque può entrare in casa mia". Aprire Zerolandia a tutti ha comportato ovvi tradimenti e delazioni "Vicini se mai sono i nemici che hai/Così vicini li toccherai/Certo non dubiterai di loro, mai e poi mai!/Pensare al tradimento non puoi!". Alla fine Renato sospetta persino di se stesso, come artefice ingenuo della sua rovina. È vero che lancia un finale positivo, come a dire "ce la faremo a superare tutto cari fans" ma non sembra troppo convinto, anzi. La base, che sembra una chillwave ante litteram, è talmente asettica che è impossibile percepire empatia.

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Esattamente: è la pelle che media le sensazioni, e sembra che Zero la stia perdendo. "Pelle" è una specie di disperato appiglio egotico, in cui Renato più che parlare agli altri parla a se stesso in un autentico isolazionismo sociopatico. Il pezzo è una slavina alla Grace Jones ma sempre in una patina fatta di pad gelidi e di cellophane che non è proprio il massimo della passione. Renato ha le mani alla gola ma cerca di far credere il contrario a se stesso e a noi: pura muzak virata pop.

Probabilmente questa assenza di emozioni è dovuta alla "Frenesia" del mondo moderno. Un brano di speed-funk in cui Zero se la prende un po’ con tutto: "Nel computer sparirai cercando di competere con lui", "Ingoia un’altra pillola". Un brano che nulla aggiunge e nulla toglie alla poetica del nostro, ma finisce con un imprevedibile "Dov’è il futuro? Al bar!". Renato vuole una dimensione umana lontana dai fiscalisti, i commercialisti gli avvocati e tutta quella gente che frequenta dovendo mandare avanti “il carrozzone”. Anche qui sembra che il dialogo sia—ahimè—con se stessi e nulla più.

Perché questo futuro al bar è un “Oscuro Futuro”: un testo deprimente, di un pessimismo micidiale. “Oggi, guarda il futuro com’ è/Più nessuno che lotta, perché/Perché tu ti accontenterai”. Il pezzo ha aperture sintetiche glaciali e intuizioni reggae ma troppe sviolinate pop e confusioni nell’arrangiamento che presagiscono lo Zero di oggi, indulgente con se stesso e tendente al pomposo. In effetti se il futuro è questo non c’è da stare allegri, cazzo.

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E infatti “Leone” torna sul discorso del futuro in quanto lotta. Un pezzo fra la wave e il metallo, che se la prende direttamente col pubblico di Zerolandia dandogli dei conigli senza mezzi termini. "Il leone un simbolo è/solo quando fa comodo a te", "Che mai insegnate ai vostri figli?saranno altri conigli", e soprattutto la frase manifesto "Perché è ANARCHICO il leone/ indifferente a chi fa ..bla bla bla". Insomma, azione diretta e poche parole. Nelle adulazioni e nelle promesse del pubblico Zero aveva quasi creduto, ma adesso deve fare marcia indietro.

Ebbè, tutto ha un “Prezzo” d’altronde. Il pezzo è un AOR tra Sade e il pop patinato di Phil Collins. Per Zero il prezzo dello spettatore è vivere la cruda realtà “Se vuoi godere un po’anche tu”. L’economia ha disintegrato i sogni di Renato che vorrebbe "Prendere e non chiedere mai", ma evidentemente non c’è via di uscita di fronte a frasi tipo "Si vende tutto oramai anche il silenzio". O forse si, a giudicare dalla musica che sembra concepita in una sterile sala operatoria.

Ecco, forse la via d’uscita è il ricordo di un’esperienza come Zerolandia. "Giorni" è la nostalgia di un sogno che è crollato accartocciandosi su se stesso “in quelle folli notti sotto il tendone blu”. Nonostante le frecciate ai traditori del tipo "Ma dov’eri tu? quando mi hanno sigillato il cuore" o "D’ora In Poi Sarà Per Dire Pane Al Pane", Zero tende una mano al suo pubblico chiedendogli di ricominciare su basi diverse. "Ti darò? Mi darai?" pronuncia Renato su un technopop funkizzato in fumi vapor. Sicuramente uno dei migliori brani del disco, dove finalmente Zero tira fuori il cuore e non solo il rancore.

La risposta del pubblico sarà quella di scansare la mano, probabilmente piccato da una parte per le critiche contenute nel disco, dall’altra spaventato da questo Zero narcisista e implacabile giudice che li mette alla prova, improvvisamente serioso e addirittura dark. E poi c’è anche la flebilità del materiale: il disco arriverà primo in classifica ma ci resterà solo una settimana contro le 5 dei precedenti numeri uno, segno che la Zeromania è giunta al termine e molti sorcini gli hanno voltato definitivamente le spalle come per una selezione naturale. È evidente che "Leoni Si Nasce" non è un capolavoro, anzi è quello che porterà allo Zero da operetta: ma ha il fascino malato di un disco registrato di getto, durante un periodo difficile che probabilmente ha depresso il suo autore ( i riferimenti alle pillole nei testi sono casuali?). La ripresa sarà lunga e dolorosa: solo negli anni novanta Zero riagguanterà la classifica e i suoi sogni ambiziosi (Fonopoli docet) per poi mantenersi saldo fino ad oggi, quando può permettersi addirittura tour fissi a Roma (!), con gente in pellegrinaggio da ogni parte di Italia come se fosse un vero re leone. La musica però è diventata quello che Zero temeva: “prigioniera in una fotografia”. Per questo Leoni Si Nasce suona oggi profetico e al contempo minaccioso e weird, come solo le opere perverse e polimorfe sanno essere.

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