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Musica

I New Trolls contro Topolino

"Non si esce vivi dagli anni ottanta" e neppure loro ce l'hanno fatta, come testimonia il nichilismo di "America OK"

"I :Per quello che riguarda le mode, i tempi: voi vi sentite in sintonia oppure non ve ne curate?
N: mah questo è un discorso un po’ strano..in generale si pensa che un gruppo sia un’entità unica noi siamo in 4 e abbiamo delle direzioni diverse. Finchè magari troviamo qualcuno che ci dice voi siete pazzi (…) vestitevi tutti di nero con la cravattina…, ci pensiamo un attimino e diciamo dai, facciamo anche questo."
(Discoring -1983)

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Nello scorso numero abbiamo lodato il coraggio delle vecchie glorie italiane che si ritirano quando è il momento, ma ovviamente non è così semplice. La perdita di un marchio facilmente identificabile implica a volte la discesa negli inferi del dimenticatoio AKA morire di fame: ecco perché, a volte, si trascina la carcassa a fatica pur di andare avanti. Soprattutto i guppi: ci sono ensemble che non solo non muoiono, ma anzi si spezzettano in mille parti a seconda del membro che ne rivendica la paternità. È il caso dei New Trolls: già citati proprio nell’articolo precedente, i nostri eroi, dopo essere stati una vera icona del beat psichedelico e del prog sinfonico italiano con dischi mitici quali Concerto Grosso, Ut e via discorrendo, sono andati via via a incasinarsi la vita prima dal punto di vista musicale (rock? pop? prog?) e poi legale. Le divergenze fra i membri hanno fatto si che ora i New Trolls sembrano duecento, tanto che io non riesco a capirci un cazzo con tutte ‘ste sigle. Ve le elenco giusto per gradire:

I Grandi New Trolls
Il Mito New Trolls
La Storia New Trolls
Il Cuore New Trolls
La Leggenda New Trolls
Ut New Trolls

Il casino è nato dal fatto che nonostante il marchio sia di proprietà di Gianni Belleno, Vittorio De Scalzi e Ricky Belloni (rispettivamente batterista, tastierista e secondo chitarrista, proveniente dai Nuova Idea) una sentenza ha deciso che nessuno può usare il marchio New Trolls. Paradossalmente, però, lo usano tutti, basta aggiungerci una parolina vicino. I precedenti, seppur di breve durata, riguardano ovviamente pesanti divergenze artistiche che risalgono al 1972, quando De scalzi, allontanato per aver osato scrivere testi in inglese, fonda i New Trolls Atomic System—nei quali militerà gente degli Atomic Rooster—entre nel '73 Nico Di Palo (loro guitar hero)costituirà gli Ibis Nel, i quali per i cazzi legali addirittura firmano il debutto solo con un punto interrogativo. Personaggi epocali anche per queste facezie, i New Trolls sono stati certamente innovativi: a volte davvero estremi e tecnicamente validissimi. Ricordiamo che Di Palo è stato l’unico in Italia in grado di suonare la chitarra con i denti tipo Hendrix, e la band la prima in Italia ad aver inciso un concept album: Senza Orario Senza Bandiera realizzato con l’apporto di De Andrè e primi in assoluto a pubblicare un doppio (Searching For A Land).

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L’elenco di primati potrebbe continuare, fatto sta che a un certo punto i New Trolls, come tutti, hanno dovuto fare i conti con la fine del secolo e con sonorità da rinnovare. Se il periodo prog è abbastanza storicizzato (pure troppo) non lo è quello “art pop”. Lo zoccolo duro dei fan è sempre stato un problema per l’evoluzione dei New Trolls post-Settanta che, sulla linea dei colleghi progger, hanno cercato di scrollarseli di dosso con formule più immediate (vedi Aldebaran). Ad ogni modo i nostri—dopo dischi traballanti—trovano una certa boccata d’aria con FS dell’ 81, forse influenzati dalla virata dei Pink Floyd con The Wall o da Manifesto dei Roxy Music, cercando di mettere insieme il classico prog con le nuove sonorità rock/wave, fino quasi a riuscirci. Dico “quasi” perché ascoltare Nico Di Palo che va in falsetto esagerato nell 81 non è proprio il massimo, era già problematico nei sessanta. D’altronde, nonostante il loro curriculum da rockettari, i New Trolls sono sempre stati pop. Mentre però ai Pooh veniva continuamente rimproverato, nel loro caso si è sempre messa la polvere sotto il tappeto. Per fortuna il disco successivo a FS darà la definitiva spallata al prog rock per entrare nel campo minato del neo-pop. Trattasi di America Ok.

Ovviamente ci vuole un quadro storico per capire il senso del disco. Siamo nel 1983, è appena nata Internet ma nessuno ancora lo sa, farsi le pere rappresenta la quotidianità e viene fotografato per la prima volta il virus dell’HIV, il quale inizia la sua escalation, ma soprattutto la guerra fredda è ancora all’ordine del giorno, tanto che viene sfiorato l'olocausto nucleare. Gli americani sono quindi lanciati verso lo scudo spaziale e, come conseguenza, la loro musica si impegna a riprendere le redini della cultura mondiale, approfittando del riflusso della new wave britannica, con la nuova dance, l’hip hop e l’hard rock messi a creare nuovi miti giovanili. Sull'idea stessa di mitizzazione è basato in effetti l'album: la copertina di Mario Covertino in pieno stile pop art (ricordiamo che Warhol è ancora decisamente in auge) vede nel retro un Mickey Mouse gigante che sorvola l’Italia, anzi più precisamente la sua aviazione, ancora da residuo bellico della seconda guerra mondiale. L’Italia è arretrata, e l’America se la mangia con piacevole terrorismo mitologico, come suggerito dal front in cui un gelato dai colori sociali del bel paese si scioglie in mano a Topolino, ironicamente vestito da statua della libertà. Insomma questo America OK sembra più un’esclamazione di resa che entusiastica adesione.

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Questa “presa in giro” del mito americano viene infatti confermata nelle interviste, e la title track è una sequela di luoghi comuni sul tema, piuttosto disordinati. L’ambiguità di fondo sta nel fatto che non è chiaro dove inizi lo sberleffo e dove una scanzonata ode, giocando sul fatto che entrambe le opzioni sono ridicole. Autore del testo—guarda un po’—è Mogol, che per la prima volta collabora a un paio di canzoni dei Trolls, ma forse più per il “concept” che altro, e coinvolgerà anche suo figlio Cheope, giovane paroliere in erba (che più tardi vincerà svariati grammy con la Pausini, ma questa è purtroppo un’altra storia). Il testo pare fosse ispirato da un suo amico, DJ fanatico degli USA a livelli da scassacazzo, da cui la "velenosetta” dedica: “A un DJ che se lo merita”.

Musicalmente è il manifesto del disco: via quasi completamente le chitarre rock, dentro sintetizzatori di ultima generazione, drum machine, bassi e chitarra synth GR303/GR300. A dimostrare che la sperimentazione vira verso l’elettronica, ma soprattutto verso un'idea di pop sintetico copiaincolla, la title track sfrutta una abusata progressione armonica che parte dagli Who per arrivare a Venditti e Vasco. A interessarci non è comunque questo, quanto il fatto che un pezzo così forse oggi lo pagherebbero salato, fatto com'è di citazione e stracitazioni. Un prodotto da laboratorio, quindi, una pillola di vitamine venduta al supermarket: praticamente dei Buggles hip-hop, con clap e castagnette sintetiche che ricordano i Mantronix. Anche i cori sono finalmente misurati, senza le uscite eccessive dei falsetti: quando De Scalzi interpreta le parole America OK sembra metterci polemicamente il punto interrogativo. A Discoring loderà infatti i produttori italo disco che passano per statunitensi esportando all'estero il suono italiano: si sente sicuramente a disagio rispetto a chi invece si genuflette di fronte allo zio Sam.

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Il disagio sembra infatti metro del disco. Il pezzo successivo, "La Mia Generazione" pare un plagio di Easy dei Commodores, ma è più un campionamento in forma di canzone. Come nell’ hip hop americano è uso prendere dei brani preesistenti e smontarli a piacimento, così i New Trolls trasformano la spensieratezza del brano originale in pura paranoia italiana: “Si è spenta oramai la mia generazione”, “Seduti tutti in fila sopra ad un gradino/Siringhe ovunque almeno sette/È inutile persino stringersi vicino” oppure “puoi ucciderti se vuoi/non cambia niente come sai”. Insomma nichilismo a pacchi: certo, cantato da uomini maturi come loro potrebbe essere associata al fallimento della generazione degli Who, e invece è scritta da Cheope, che allora aveva si e no vent'anni! Distintosi già per “Il Chitarrista”, regalato a Ivan Graziani, il giovane figlio di Mogol descrive dalla sua prospettiva un mondo di teenager marci, apatici, in preda al capitalismo e a quel “l’importante è vivere” tipico dell’edonismo craxiano. La contrapposizione fra musica in maggiore e testo in minore, unita agli arrangiamenti lucidati come il pavimento di una hall d'albergo, creano una patina inquietante, specchio perfetto di una situazione che ancora oggi perdura.

Fortunatamente c’è un modo per arginare il malessere, e si tratta del sesso. “Dieci Orologi” è scritta interamente dalla band, parte con una ritmica simil Suicide e sfocia in una wave progressivo/ sintetica: si parla di un amplesso ripetuto, non lesinando pesanti critiche alla religione cattolica, “Comandamenti un po’ stupidi che non ti fermano i pensieri”. Ci sono le solite strizzatine d’occhio al pop italiano terra terra, ma inserite in un contesto di “fuga mentale”, flusso di coscienza tipico dell’uomo moderno tutto input, che poi risputa qualcosa di contaminato. D’altronde “iI tempo non c’è più”, come recita il verso finale, e lo spettro dell’AIDS è ancora quasi solo una fotografia.

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Ma ecco, appare inaspettatamente una chitarra acustica (chiaramente trattata) che riporta alle ballate prog che furono ma soprattutto agli esperimenti classico/sintetici di Alberto Camerini. “Un Peccato Luminoso” (ancora di Cheope) parla di una tresca fra due uomini e una donna, probabilmente in senso lato e bisex. “Come giochi i bambini” ma soprattutto con una maliziosa e forse involontaria citazione dei famosi “laser beams” da “Relax” dei Frankie Goes to Hollywood “trafitti ormai dai raggi bianchi che noi terremo qui dentro di noi”. Lo spaesamento estetico/estatico è ben sottolineato dai fiati sintetizzati, probabilmente suonati da Di Palo al guitar synth. Come nel testo, via alla confusione dei ruoli.

Con “Io Sconsolato In Riva Al Mare” si torna al disastro psicologico. Se il sesso nonostante tutto è il modo per sopravvivere, “la disperazione scende” e quindi non è una cura. E’ il secondo testo di Mogol per un pezzo stile ballata power funk alla Bar kays, con un ritornello che forse rovina tutto ( evidente la azzardata citazione dei Cugini di Campagna per ibridare) ma è recuperato alla grande con un brevissimo stacco alla Vangelis, stile Krisma di Lycee anche in quel caso storia tristissima. L’unico modo per riprendersi è andare via, fuggire. Insomma, metaforicamente l’America è questo: tensione verso un ideale che probabilmente non esiste ma anzi è la tensione stessa. Non solo, “su questa spiaggia amara son diventato una cosa”, ma anche “i sentimenti di amarcord” citando Fellini. Il passato e il desiderio di futuro sono fatti della stessa sostanza, ovvero il rimpianto.

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E quindi “portami via”: anche qui l’influenza americana è evidente, volendo potrebbe essere un pezzo di Madonna tipo “Borderline”. Ascendente r&b per una ballata amara “ cento battaglie ho combattuto qui / non voglio perderne una sola in più/portami via da questa città/ ogni bugia per starsene qua”. Insomma uno spaccato di emigrazione forzata che risulta attualissimo, perché “il tempo è un’autostrada che ti porta via e scioglie gli amici di cera”.

E arriviamo probabilmente al pezzo più hard del disco, ovvero “Allarme”. Con una intro mezza new age mezza Tears for Fears arriva sparata una progressione di accordi alla Oingo Boingo e un ostinato minimale di basso con buchi sonori che ricordano molto i già citati F.G.T.H.. Pad di batteria sintetica , suoni alieni , chitarre quasi punk ( i Big Audio Dynamite di noantri?): poi l’improvviso ritornello melodico che riporta a “quella carezza della sera” anche se molto meno melenso. “Allarme amico mio non si può solo pregare dio”: chiarissimo attacco alle fedi irrazionali e monito a reagire alla distruzione del pianeta. I pesci sono contaminati, c’è aria di guerra, ancora una volta è necessaria una spinta alla fuga qualsiasi essa sia. C’è però una frase strana : “ va angelo bianco va via, porta sulle tue ali almeno l’anima mia e anche la sua”. Ci si chiede se questo angelo sia quello della morte o ( in correlazione) una metafora sottile della droga, come viaggio estremo e definitivo tanto da essere l’unico modo per liberare l’anima.

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Il sospetto potrebbe essere confermato dal brano successivo “Dentro Un Limone”, dove la tematica della fuga assume connotati grotteschi perché si va “Alla ricerca di non so che”. E quindi il protagonista recita un non troppo metaforico “Dentro un limone voglio finire oramai/Spremuto dal sole che ha bruciato i giorni miei”. Cheope qui sembra empatico col problema della tossicodipendenza in quanto conseguenza di un’assenza di prospettive, tracciando uno spaccato giovanile ben centrato. Di contro, la musica è una wave/AOR che ricorda gli Style Council come alcuni passaggi dei Dream Academy: batteria serrata e ossessività, “leggera”come uno schizzo.

Niente da invidiare a "Held Apart" di Arca, l’ultimo brano “accendere l’anima” si apre con un piano elettrico evocativo per poi ritornare apparentemente a parlare il linguaggio della musica leggera italiana. Niente di più sbagliato: questa power ballad è invece un “campionamento” mostruoso di "Open Arms" dei Journey, uscito pochi anni prima: dimostrazione che i Daft Punk, anche nel campo del latrocinio, non si sono inventati niente. D’altronde è un brano sulla libertà, ed è legittimo esercitarla: stop al copyright e in alto gli accendini.

America Ok risulta quindi un perfetto disco pop levigato e futuribile che, aiutato dagli arrangiamenti dello storico collaboratore Gian Piero Reverberi e dal fonico Giancarlo Jametti (militante prog ma anche nell’Adelchi di Carmelo Bene) sarà il preludio al singolo “Faccia Di Cane" del 1985, molto più centrato nell’ so dell’ elettronica e dei testi, con un De Andrè in formissima e alla produzione Aldo de Scalzi, già ai servigi degli Scortilla. Peccato che tutto si sia fermato lì: a parte l’esperienza con Anna Oxa, il guppo farà meglio come singole entità. De Scalzi come autore, Ricky Belloni come session man (ricordiamo l’esperienza con Battiato): Belleno invece si convertirà al cattolicesimo e Nico Di Palo sarà vittima di un terribile incidente che lo renderà semiparalizzato e incapace di usare la chitarra. Non per questo si arrenderà e ancora lo vediamo in giro a suonare le tastiere con quello che rimane dei New Trolls. Un vero esempio di rock inarrestabile, visto che l’unico ostacolo è “Non riuscire più a commuovermi”. E forse è proprio il dramma di questi tempi filoamericani.

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