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Musica

Ivan il narciso

Dopo i fantamiliardi guadagnati con le cover anni Sessanta, Ivan Cattaneo provò a tornare alle origini. Fece il suo disco più bello, che ovviamente andò malissimo.

"Ivan Cattaneo ossigenato, ammiccante, vestito in maniera convenzionalmente eccentrica, con grandi orecchini, ha fatto sfoggio di omosessualità raccontando di essere stato scartato dal servizio di leva e di aver fatto vanamente domanda per essere riammesso nell'esercito come crocerossina, amando molto—ha precisato—il corpo degli alpini. A Tortora non è parso vero di stuzzicarlo, l'altro è stato al gioco senza difficoltà e ne è venuto fuori uno sketch, nel suo genere, brioso."
(La stampa sulla partecipazione di Ivan a Cipria di Enzo Tortora, 1982)

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Troppe volte nella musica italiana, mentre il mediocre campa cent’anni, l’innovatore finisce presto nel dimenticatoio. L’esempio principe è Ivan Cattaneo, che quest’anno celebra 40 anni di carriera. Il 25 agosto uscirà un disco tributo, doveroso quanto poco interessante nelle adesioni: che ci azzecca Garbo con Giovanni Block? Non era meglio coinvolgere chi davvero condivide gli estremismi del nostro eroe? E qui si apre il dibattito: Ivan Cattaneo, forse, non ha ancora un erede, perché recintato a forza nelle categorie “Anni Ottanta”, “Trash” o ‘ste cazzate qui, allo scopo di neutralizzarlo. Invece, anche involontariamente, Cattaneo è centrale nell’ immaginario pop italiano che, da visionario qual è sempre stato, ha quasi plasmato a sua immagine e somiglianza. Questa stessa rubrica di cui sono autore storpia il nome di un suo successo, ovvero “Italian Graffiati”: il celebre inno “Ostia, Fregene, Rimini Riccione” oggi associato alle canzonacce di Jovanotti nasce dalla sua penna.

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Il suo look ha fatto scuola, avendo lui stesso creato anche quello di Anna Oxa (da cantante di piano bar a star), di Diana Est (con i suoi sbuffi neoclassici pre-Geneva Jacuzzi), di Tiziana Rivale (che trasformerà nel suo alter ego femminile). Tutto trucchi, lustrini e mischiozzi di genere, senza Cattaneo e i suoi orgogliosi coming out i costumi italiani sarebbero rimasti all’età della pietra. È infatti uno dei pochi a partire per Londra, giovanissimo, già nel '72, e conoscere gente come Mark Edwards (produttore prima dei Curved Air poi di Bowie) e Francis Bacon, ed è uno Zappiano convinto, tanto che, anche in pieno periodo sintetico, cercherà di mescolare lo stile bizzarro del Maestro col pop a presa rapida.

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Nel 1975 entra a far parte del giro di Ultima Spiaggia—la versione alternativa dell’etichetta Ricordi—con il delirante esordio UOAEI in cui le parole si incastrano nella musica come fosse un poema sonoro, la voce capace di spaziare ovunque (vedi “Pomodori Da Marte”, coi suoi micidiali falsetti). Poi si fa il Parco Lambro, milita con Mario Mieli e fa uscire Primo Secondo E Frutta (Ivan Compreso), in cui si anticipano di millenni i salmodiati dei CCCP , le citazioni a cazzo di cane nei testi poi rubate da Battiato (tipo "La donzelletta vien…"), e il crossover alla Mr. Bungle, che odora di malattia. “Maria Batman” è la sintesi blasfema di un talento privo di freni. Tra l’altro tiene a battesimo il grande Roberto Colombo in qualità di produttore, che più tardi diverrà l’uomo chiave del technopop italiano (Zappiano lui stesso, d’altronde) ospitando una Milva che pronuncia addirittura “cazzarola”. Da questo momento in poi, Ivan pensa alla musica in senso multimediale: la sua idea di una disciplina chiamata TATTOUDITOVISTAOLFATTOGUSTO, nonostante alcuni retaggi hippy, parla la stessa lingua della futura MTV e degli spettacoli/installazioni off che verranno. E infatti lo vediamo fare performance e happening spostando il pop dalla canzonetta all’azione, che manco i Forcefield .

Dopo Superivan del ‘79 che vede l’intera PFM a fargli da backing band, il nostro fa spettacoli allucinati con muri di cinquanta televisori e balla come un epilettico fra coreografie folli, tenendo a mente la lezione estetica della no wave d’oltralpe, ma anche di Schifano. Non a caso, fu stretto collaboratore di alcuni fra i primi gruppi punk italiani, come gli Elektroshock e i Revolver: dove in Italia si arrivava, lui era già stato. Tant’è che nell’80 decide di fare il passo iperrealista per eccellenza e firma con la CGD della Caselli abbandonando il suo status di “duro e puro”. Il risultato è Urlo, il disco che contiene “Polysex”, il suo manifesto, inno generazionale dei diversi che però “guarda caso” non è durato quanto “Colpa d’Alfredo”… Il disco mescola punk, glam rock e ambigue colate wave permettendo a Ivan di sperimentare, fra i primi in Italia, il videocollage ispirato da Enzo Trapani e dal suo Stryx ( eh si perché Ivan è anche un artista visuale che si occupa personalmente delle proprie copertine).

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Ancora non sa che questa scelta di campo “mainstream” gli costerà molto cara. Non si sa come, ma decide di riarrangiare vecchi successi italiani anni sessanta in chiave reggae/ska: operazione che anticipa tutti i dischi cover da lì a venire e operazioni di modernariato annesse, probabilmente a cercare una continuità con la rivoluzione beat. I fatti gli danno ragione, Duemila60 Italian Graffiati sarà un successone, con quasi cinquecentomila copie vendute.

Preso di sorpresa, Ivan decide di alzare la posta e tornare a quello che sa fare meglio, ovvero brani inediti e surreali, approfittando della temporanea genuflessione della CGD ai suoi piedi. Nasce così Ivan Il Terribile, allo stesso tempo capolavoro e canto del cigno dell’artista Bergamasco. Proprio questo disco paradossale è nel mirino di Italian Folgorati: per prima cosa è il disco dove l’elettronica è portata agli estremi, i BPM sono sparati a mille come alla ricerca di un nuovo futurismo dinamico e accelerato, i testi sono duri attacchi alla morale comune in zona Devo (non a caso punti di riferimento nel periodo NEHOMO, il suo primo gruppo). I brani sono quattordici (!!!) con un Arthur Zitelli alla produzione davvero in stato di grazia, nonostante il suo passato e sulla copertina Ivan appare come un colorato e pupill/dilatato pinocchio postmoderno (forse a fare il verso all’Arlecchino Elettronico di Camerini) . Il disco si apre con “TORO TORERO!” In cui il nostro anticipa la sbronza latina che colpirà in Italia la Nannini di "Fiesta" e all’ estero la Madonna de "La Isla Bonita": ambigue vocalità e altrettanta storia torbida di toreri in un’orgia che non esclude "Chichitas", sbandi industrial e associazioni mentali a la Joyce.

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Il pezzo successivo è “Bassa Quota”, un rock&roll-wave in cui il nostro confessa di trovarsi incastrato nelle rischiose maglie dei discografici, che in effetti più tardi gli metteranno il bavaglio. Con l’aiuto di Lavezzi e Avogadro (già autori per la Bertè) il nostro prevede uno scenario futuro che poi si è materializzato in tutto il suo orrore: musica di merda e prodotti per masse decerebrate.

Improvvisamente il disco prende una sterzata allucinata col capolavoro del disco, “Italian slip” è una anfetaminica e isterica presa per il culo dei rapporti medi fra maschio e femmina italiani, lui in zona macho e lei in zona smignotteggiante. Prendete i Devo metteteli in un razzo, fate un ritornello coi Sex Pistols di "Pretty Vacant" aggiungetevi il testo di Antonietta Laterza (meglio conosciuta come la cantautrice femminista per antonomasia) e una grande performance vocale di Ivan che si sdoppia letteralmente in due sessi due: avrete il degno erede di “Pupa”, che già nell’Urlo dava segni di italico squilibrio.

E non poteva mancare la ballata: una sorta di stranissimo R&B post punk per “Odio E Amore”, più vicina all’ hip-hop che mai (Ll Cool J avrà forse preso appunti per “I Need Love”?) . Un grande testo che si fa introdurre da fiati stile Bacharach a ricordare i mischioni dei Blur (che all’epoca avevano ancora il ciuccio).

Con “Bit Bit urrà!” Ivan si affaccia all’ italo disco, anche se ovviamente a modo suo. Sempre a modo suo, prevede il passaggio dai miti anni sessanta di pace e amore all’uso/abuso dei computer, allora da poco di massa, che in qualche modo uniranno tutti nel social virtuale. E ovviamente anche nel rimorchio online, soprattutto gay “bande di boys e boys/dolci guerre fra noi”. Insomma la rete come modo per sfogare la propria aggressività, in una visone tanto ottimista/pacifista quanto infantile (che è poi l’altra faccia della medaglia, ovviamente).

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Passiamo dunque al momento più minimal wave del lotto, ovvero la matematica “Totem Tabu’”, che alla fine è un’ode a Belzebù, l’unica divinità che viene vista come “Il Male” nonostante tutti credano ad altrettante stronzate. Cadono quindi i tabù, anche quelli del plagio visto che i Les Rita Mitsouko pare abbiano scopiazzato questo pezzo per “Marcia Baila” senza ostacoli.

“Fly Pianeta Fly” è un “invito al viaggio”, elencando le città del mondo in un tessuto electro. L’elenco delle città è espediente già in un certo senso esplorato in Urlo, ma qui produce un effetto da “trip”, da “sballo a occhi aperti”, metafora del nomadismo psichico insomma,indotto o meno.

Gli elenchi non finiscono qui: nell’elettropsychobilly affoga un collage di spot pubblicitari con l’intenzione di spengere la tv e partire per la Cina (ogni riferimento politico-economico è puramente casuale): “Shangai Express” (e non Pechino Express, attenzione…) ancora una volta ha i BPM al massimo, batterie pestone, voci quasi digitalizzate e nessun compromesso storico.

“Scarabocchio” invece parte subito con una bella citazione/plagio dei Beatles ( il riff iniziale è rubato a “Every Little Thing”). Contrariamente all’idea di Adorno, il rock qui viene visto come antireazionario. E soprattutto, anti-iconico : “Mussolini col rock&roll non c’entra/e Beethoven col rock & roll non c’entra” (forse frecciatina a certe estetiche d’epoca?). Tanto che alla fine lo stesso rock & roll viene liberato in giochi di parole quasi acrobatici e nonsense.

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E qui si apre la strada alle bombe del disco : “Paradiso-Noia”, nel suo gioco di parole con la paranoi,a descrive il crollo verticale dell’industria del cinema hollywoodiano ma, nello stesso tempo, anche la crisi del cinema in sé, che ora è sotto gli occhi di tutti. Insomma: “qui ogni cosa è perfetta ma la noia è mortale”. Come la musica, perfetto techno pop rotolante in cui la noia è ovviamente solo nel titolo.

Non poteva mancare il lentone anni sessanta (forse per riallacciarsi al disco precedente): “Io vorrei tu fossi la mia lacrima/E non vorrei mai piangere per non perderti”. Romantico e perfetto ibrido fra vecchio e nuovo, è diametralmente opposto a ciò che segue…

infatti “Sesso Selvaggio” già dal titolo è un inno alla sessualità sfrenata, esplicita, senza le "strane inibizioni" di Battiatiana memoria. Ivan ci mostra la strada maestra: “tutti quanti da seimila anni fan l’amore”. Uno dei migliori brani del disco: voce distorta tipo satiro per un rock punk robotico a base di cialis. “Sex sex sex”. Roba che se non scopi meriti la prigione.

Altra canzone di passione, “Idolo Biondo” parla di oggetti del desiderio, accoppiamenti promiscui e bisex con autocitazioni nei testi ("Male Bello" fra tutti), insomma la summa della poetica di Ivan. Musicalmente che dire? Gli Electric Youth non si sono inventati nulla, eh no. E in quel periodo Cattaneo girava coi capelli biondi… chissà come mai?

Ce lo rivela il gran finale: “Narciso”. Apologia dello specchiarsi in se stessi, ma anche analisi lucida dei rischi che questo comporta. L’Ivan “bimbo erotico” probabilmente è schiavo del suo personaggio, delle sue ansie da classifica, del piacersi e piacere (e dei fan che si specchiano in lui). Il brano è infatti una sega circolare, una wave meccanica ai limiti della salute mentale che mutila piano piano lo specchio di un vocoder che insensibile pronuncia “Ivan il terribile” in loop. L’ovvio finale del disco non poteva che portare alla fine di Cattaneo stesso, annegato nella sua eccentricità.

Si perché nonostante il buon piazzamento del singolo "Toro Torero", il disco non funzionerà. Ivan si farà imporre dalla megera Caterina Caselli “Bandiera Gialla”, un altro disco di cover anni sessanta, che supererà addirittura le vendite di Italian Graffiati grazie agli arrangiamenti in salsa technopop del grande Roberto Cacciapaglia, chiamato a se dopo l’ exploit di Ann Steel. Oramai Ivan è in trappola: deciderà di mollare quasi totalmente la musica e darsi alla multimedialità tanto amata, con ogni tanto qualche difficile ritorno nel mondo delle sette note. Ma non disperiamo: come dice lui stesso “Ombra io sarò /Ombra io sarò/Nello specchio tuo/Sempre io vivrò”. Dio benedica i narcisi come lui.

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