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Musica

Finardi, è dal blu che si parte ed è al blu che si ritorna

In questo episodio parliamo di come da un momento esistenziale incredibilmente difficile possa sorgere un disco stupendo. È la storia di Eugenio, di sua figlia Elettra e di "Dal Blu".

“Elettra è la grande domanda che mi pongo. E’ nata nel 1982 : in quel periodo sognavo di diventare una rockstar internazionale, ero sopraffatto dal successo, ma poi è arrivata lei.”

(Eugenio Finardi a Intervistemadyur, 2011)

A volte ci sono operazioni che suscitano più di una perplessità, anzi smarrimento totale. Non so se avete presente la reissue di Hai Paura del Buio degli Afterhours: praticamente sembra Italian Folgorati al rovescio, nel senso che il discutibile valore musicale di tale disco cerca,in nomi storici del pop italiano, come dire..una consacrazione, una legittimazione. Di solito in questa rubrica si cerca di fare l’operazione inversa, evidentemente a ragione vista l’aria che tira. Vabè, comunque, all’interno di questo discaccio (fra i vari Bennato, Pelù ecc) troviamo un’interpretazione di “Lasciami Leccare L’Adrenalina” firmata Eugenio Finardi, ed è un ritorno dopo parecchi anni di assenza dalle scene. Ritorno siglato da un nuovo album, il primo in quindici anni, in cui il nostro cerca di mettersi al passo coi tempi anche se con troppa enfasi e testi a volte imbarazzanti, ma c’era da aspettarselo visto che l’attuale scenario del rock italiano mainstream è praticamente una barzelletta. Finardi, però (a differenza dei vari Afterhours, Teatro degli Orrori e co.), è stato una pietra fondante nell’edificio del rock italiano: la sua “musica ribelle” ha fatto in qualche modo da colonna sonora degli anni Settanta, uno degli esperimenti per cui il laboratorio Cramps cercava di far virare verso il pop gli stravaganti quanto talentuosi musicisti che ne facevano parte. I due soci Finardi e Camerini—in misura e maniera diversa—riusciranno entrambi a trovare la via del successo popolare, puntando su un nuovo cantautorato elettrico ma pagando, chiaramente, un prezzo altissimo: uno con il classico crolo d’ispirazione, l’altro direttamente con la follia (ne parleremo nelle prossime puntate). Ma andiamo per ordine. Dicevamo che Finardi, per tutti gli anni Settanta, si è trovato invischiato nel movimento tanto da divenirne una bandiera: testi politicizzati e combat rock, insomma roba destinata a suonare datata e circoscritta ai tempi. In effetti il vecchio Eugenio regge molto poco ai giorni nostri, ma c’è una fase importantissima in cui qualcosa cambia ed è, ovviamente, il passaggio dai Settanta agli Ottanta.

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Dopo “Roccando Rollando” del '79, il nostro manifesta una certa riluttanza a continuare sulla strada della militanza: sicuramente per sclerosi del movimento stesso, e anche per i processi “popolari” ai concerti, di cui anche lui fu vittima. In qualche modo messo in difficoltà dall’arrivo del punk, decide che è arrivato il momento di darsi a sperimentazioni più dure, con suoni elettronici e testi tra la denuncia e il futuristico Scritti da Valerio Negrini dei Pooh—incredibile ma vero, Finardi era il loro fonico da palco—per raggiungere quanto più gente possibile mantenendo allo stesso tempo dei messaggi di stampo anarchico, posizione che condividevano entrambi. Finardi dell’81, quindi, è un album in cui la ricerca verte sulle novità musicali anglosassoni, con tanto di seguente ristampa del disco in inglese. Sembra che tutto proceda per il meglio verso una carriera in ascesa, insomma. Ma ecco che il destino attende il nostro all’angolo.

Siamo nell’ 82: Finardi è continuamente in tour, lungo la strada del rock e dei suoi eccessi. Oramai ha sposato in qualche modo l’elettrorock e se ne fa alfiere, la sua vita è un continuo andare al massimo. Ma durante un concerto, riceve una notizia: la sua compagna sta dando alla luce la sua prima bambina. Ecco allora che lui si precipita all’ospedale, in preda all’emozione di essere padre. Mentre supera il casello, però, sente una botta di gelo nel cuore: qualcosa non gli quadra. Arrivato a destinazione, scoprirà che la figlia è nata nello stesso istante di questa folgorante sensazione: ed è nata con la sindrome di down. "È mongoloide," gli comunica un infermiere a corto di sensibilità.

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A questo punto Eugenio, in botta dopo tale notizia, entra in fase rifiuto, confusione, teatro dell’assurdo. Lui, rockstar di successo, non si ritrova con una figlia perfetta come da copione, ma padre di una creatura “diversa”. Quello a cui però subito dopo assiste ha dell’incredibile: la bambina è letteralmente azzurra. Si, perché a causa di uno scompenso cardiaco la piccina è cianotica e sta per lasciarci le penne: ma una volta sul seno della madre, avvolta dal calore dei genitori, la piccola ritorna rosa, come un camaleonte. Da questo momento anche Finardi si trasforma: non sarà più lo stesso di prima.

Oramai la figura di rocker, prima schierato e politicizzato poi rabbioso e maledetto, non fa più per lui. I limiti di un discorso del genere sono tutti davanti ai suoi occhi, costretto oramai a vivere quotidianamente con l’idea di diverso, col disagio, con la depressione personale, nel tentativo di affrontare questa difficile paternità e soprattutto nell’affrontare il mondo crudele. Sono discorsi che non hanno posto nei deliri attivisti dei “compagni”, che li vedono come “pietisti”: ecco perché Finardi spezza la sua chitarra elettrica, scende in prima linea per i diritti dell’handicap e si butta su suoni che possano descrivere questo momento. Suoni alieni, algidi, vuoti, che riescano a dare un'idea di spaesamento, di isolamento dagli altri, di profondità. Come un cuore pulsante dentro una teca di vetro in un ambiente neutro. Dai testi sparisce la rabbia, entra altresì una vena intimista e spesso criptica, poco battuta dal nostro. Acquista un campionatore CMI Fairlight, chiama (non a caso) un manipolo di session men del giro dello studio Radius (al servizio dei vari Camerini, Battiato, Garbo, Faust’O per intenderci) ed ecco apparire Dal Blu.

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Esce nell’83: copertina e il titolo parlano chiaro. Il disco è un concept—forse involontario—ispirato dalla figlia e alla sua nascita, appunto "dal blu", ma estendibile all’idea di diversità, dell'alieno in tutte le sue forme. Un fondo azzurro con un fascio di luce bianca in rilievo, idea scippata a un disco di Maurizio Fabrizio ovvero Azzurri Orizzonti, ma riveduta con piglio freddo e teutonico che manco Alva Noto nelle grafiche della Raster. Logo diverso, dinamico, quasi giapponese. Il cambio di rotta è evidentissimo nei brani del disco. "Dal Blu" è un blues elettro/sintetico introduttivo dal cui testo si evince che prima o poi tocca fare i conti con il destino, ma è anche un manifesto di intenzioni musicali attualissime: “Quarti di tono di musiche lontane/Echi di Barocco nell’acqua di un canale/Impulsi di vocoder in sequenza digitale/Segnali di tamburi come giungla tropicale/Ma arriva sempre il momento in cui devi suonare blues/scivolare giù/fino in fondo al Blu”, interpretate con un cantato ai limiti del Prince più ambiguo. L’apertura sfocia subito nell’ asso pigliatutto del disco, calato immediatamente. “Amore Diverso” fu un brano molto popolare negli Ottanta, ora però sparito dall’immaginario collettivo. A torto: il brano è un eccezionale esempio di fredda elettronica su testo di calda umanità. Scritto sulla falsariga de "The Lion Sleeps Tonight”, vede Finardi alle prese con una Casiotone suonata random e con un power trio basso, batteria e algidi droni di synth, che non prevede la chitarra. Un capolavoro di canzone d’amore minimalista, non diretta ad una donna ma alla sua bambina, depistando però la cosa attraverso le parole (un po’ come Vasco con “Canzone”). Gli ultimi colpi di batteria e basso sono da lacrime: sfido, Battiato fa da consulente all’arrangiamento, e sembra letteralmente portato da una cicogna robot.

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Dopo questa bomba parte “Dolci Promesse”, in cui un testo delirante narra di una famiglia in crisi d’identità, che ruba all’Upim, che brucia le cene, che perde la brocca e cerca di distrarsi con la televisione pur mirando a un comportamento zen. In tutto questo, la bambina (perché evidentemente è di lei che si tratta), sembra pensare “Mamma non urlare/Papà non ti incazzare/Papà non scappare/Non ti conosco più”). Un'amara canzone autobiografica, quindi, sorretta però da una positivissima base cyber-surf che mescola i Gaznevada di “Pordenone Ufo Attack” con l’Alberto Camerini di Rudy e Rita, tutto giro di do e Rita Pavone. La colonna sonora di un bipolarismo e un esaurimento incipienti.

“Notte” è una ballata sul dolore personale, sulla paura di affrontare il domani. “Notte scendi presto/Notte scendi presto sopra di me (…) Stanotte voglio dimenticare/Non pensare a tutto il male/Che mi hai saputo fare”: uno schietto autobiografismo che tocca dei picchi d’onestà mai più raggiunti. Finardi, infatti, è in analisi, cerca di gestire la rabbia contro il mondo e contro la nascita di sua figlia, che allo stesso tempo ama alla follia. Il tentativo di comporre questi sentimenti contrastanti è la cifra dell’intero disco. E poi l’altro pezzo forte: “Le Ragazze Di Osaka” apparentemente parla di un viaggio in Giappone. Nella realtà è la descrizione di Finardi al reparto maternità, solo davanti a un vetro a guardare i neonati, aspettando l’ingresso della figlia. La sensazione di solitudine e di timore hanno l’effetto appunto di un soggiorno da occidentale in un immaginario paese del sol levante in cui la gente dorme in stanze simili a loculi asettici. Anche la metafora della donna orientale (che saluta gli uomini colpiti da stupore) ha a che vedere con lei, la figlia, e coi suoi tratti somatici: i torna il senso di diversità e l’arrangiamento è quanto di più diafano, vuoto e sintetico possa esistere nel pop. Sembra quasi di camminare su una nuvola che potrebbe spezzarsi piano piano da un momento all’altro, Steve Hauschildt potrebbe farne tranquillamente una cover e uscirne vincitore.

Quanto è lontano il Finardi rock? Anni luce. Però ci riprova, non è sedato: in "Fino In Fondo" e "Infinita Autostrada" torna il rock: più debitore—forse—del Neil Young elettronico di Trans che non di altro, venato di malinconico ottimismo con un brano sul coraggio di esistere e l’altro a salutare per sempre il Finardi che non deve chiedere mai, la rockstar assediata dai fan per cui la vera casa è solo on the road”. Il testo, per metà in inglese—sua seconda madrelingua—narra chiaramente della notte in cui nacque la primogenita "When my baby girl was born/My wife was all alone/I was waiting in cue to pay toll." Non privo di autocritica, il brano si snoda in inserti di fusion apocalittica sgusciati dalle mani sapienti del tastierista Danilo Madonia, vero asso del computer programming e assoluto protagonista negli arrangiamenti. Il disco si chiude con “Laura Degli Specchi”, favola sull’ autismo regalata anni prima ad Alice per Azimut, qui rivista in una nuova chiave interpretativa, quella della tensione verso l’esterno, minata però da un forte desiderio di chiusura. Soluzione ion seguito sperimentata da Finardi stesso, che infatti dopo poco si separerà dalla moglie, nella difficoltà di gestire questa difficile situazione familiare e gli inevitabili screzi reciproci.

Dopo questo disco Finardi proseguirà la fase elettronica, cercando di ibridarla con il cool jazz e usando software per il C64, senza però bissare del tutto l’ispirazione di Dal Blu. Si arriverà infatti a canzoni discutibili come “Vil Coyote” e a raccolte di successi reinterpretati con ospiti, un po’ alla Afterhours insomma, intercalati da dischi dal sapore più classico tra il fado e, ovviamente, il blues, sua passione eterna perché è dal blu che si parte ed è al blu che si ritorna. Lo sa qualcosa Elettra: questo l’inevitabile nome di sua figlia, ora felicemente fidanzata in una casa famiglia a combattere quotidianamente con quella rabbia blues ereditata dal padre: "È una rabbia che prova anche lei, è andata a scuola, ha avuto l’insegnante di sostegno e ha raggiunto un alto livello di autonomia finché si è resa conto di essere una persona down, avendo preso da me il senso di ribellione, beh, a quel punto le son girate, ha incolpato me, la madre. (…) Poi s’è fatta furba: andava nei bar, ordinava cappuccio, brioche, biscottino… e poi diceva 'Io sono down e quindi non pago!' Insomma: Elettra è una persona molto interessante." Dai Finardi ai Reynols, il passo è dunque breve.

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