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Musica

Il pogo più grande che ho visto — Dave Lombardo

Il batterista di Slayer, Suicidal Tendencies, Fantômas e Testament ci racconta quanto è figo essere il motore dei pogo più violenti della storia.

Foto di Hugo Rubiano.

Dave Lombardo è un figo incredibile. Lo incontro appena dopo il concerto dei Suicidal Tendencies al Rock al Parque, uno dei più brutali e memorabili cui abbia assistito, e lo trovo onestamente più fresco di me. Porta un berretto nero al contrario, una camicia a quadri e mi saluta con un sorrisone e una salda stretta di mano. La prima cosa che noto è che il suo palmo è ruvido e calloso, questo non mi stupisce, dato che sono più di trent'anni che picchia duro—non a caso è uno dei batteristi più potenti della storia. Le sue mani sono rocce che fanno tremare tutto ciò che gli sta intorno, e questo si è notato quando, alla chiusura del festival, il terremoto che aveva come epicentro Dave ha provocato il pogo più violento cui abbia mai assistito.

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Incontro Dave nel corridoio che porta ai camerini e la prima cosa a cui penso è che non si può che provare rispetto per uno che ha scritto la sua pagina nella storia del rock per come si rapporta alla batteria. Grazie a lui, la doppia cassa ha raggiunto livelli che prima nemmeno si immaginavano, e, in generale, la percussione ha toccato nuove vette di aggressività. Dave non è soltanto il batterista degli Slayer, milita anche in progetti paralleli di diversa estrazione, come i Fantômas, a fianco a Mike Patton dei Faith No More, Buzz Osborne dei Melvins e Trevor Dunn dei Mr. Bungle—una combo incredibile insomma. Ha fatto anche parte di altre band leggendarie come Testament e Apocaliptica e, al momento, oltre ad essere diventato, a quanto pare, il batterista ufficiale dei Suicidal, sta lavorando a un nuovo progetto hardcore chiamato Dead Cross.

Insomma, quest'uomo così sorridente e calmo all'apparenza è in realtà una macchina infernale.

Parliamo per pochi minuti, in un misto tra inglese e spagnolo, il suo con un marcato accento cubano—dato che Cuba è l'isola che ha dato i natali a questo dio del metal—ma quei minuti bastano per toccare argomenti fondamentali come gli albori dell'hardcore e del thrash, di orgoglio latino e di quale sia il pogo più violento cui abbia mai assistito.

Ra Díaz con Dave Lomabrdo sul palco.

I Suicidal Tendencies e gli Slayer hanno esordito praticamente nello stesso periodo. Com'erano i rappporti tra le due band nei primi anni?
Tra le due band c'era un ottimo rapporto, eravamo tutti amici. Conosco Mike dagli anni Ottanta e da allora abbiamo girato un casino insieme. La cosa figa è, ancora oggi, suonare con questi ragazzi la musica che amo e con cui sono cresciuto. Nemmeno tra i fan c'erano divisioni: c'erano punk e metallari, ma ai punk piaceva anche il metal e viceversa. Per esempio un sacco di punk erano fan dei Motörhead, non a caso la prima band a mescolare i due generi. Il crossover è qualcosa che chiunque può tentare, l'importante è farlo con onestà e soprattutto suonare sempre roba bella pesa.

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E ora che sono passati più di trent'anni le cose stanno sempre così?
Be', certamente. Guarda il pubblico che c'era oggi, guarda che pogo abbiamo tirato su, una roba fuori di testa. Credo che sia stato il pogo più grande che ho visto in vita mia. Impressionante.

Ricordi la prima volta che hai visto i Suicidal Tendencies?
Certo, è stato al Concert Factory in California nel 1982, avevo 17 anni ed era più o meno un anno prima dell'uscita del primo disco degli Slayer. Fu un concerto assurdo.

Quella volta ti eri messo a pogare?
No, mi sa che me n'ero stato in disparte.

Com'è stato il tuo primo concerto con i Suicidal?
Eravamo a San Francisco, è stata una figata, ci siamo divertiti un casino, ma sapevo che sarebbe andata così. Quando mi hanno chiesto di suonare con loro ho detto di sì senza pensarci un attimo.

L'intervistatore mentre pende dalle labbra di Dave Lombardo.

Avete appena finito un tour in Sudamerica. Come vi trovate da queste parti?
Io mi sento incredibilmente amato. Dato che parlo spagnolo ho una connessione profonda con l'America Latina e adoro la musica di queste parti, oltre che il cibo. Sai che sono cubano, quindi ho un legame di sangue con questo continente. Ho amici in ogni Paese del Sud America. Siamo una famiglia gigantesca, divisa per regioni, ma parliamo lo stesso linguaggio e siamo tremendamente uniti.

Quindi hai un corazón latino?
Su questo non c'è dubbio. E non me lo leva nessuno. Sono latino fino al midollo. Sono cresciuto in una casa cubana e in vita mia ho potuto conoscere ogni altra cultura, ma le mie radici sono quelle.

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In America Latina abbiamo una tradizione mistica con le percussioni, e spesso chi le suona incarna la magia che viene dai tamburi. Tu senti qualcosa di ultraterreno quando suoni?
Chiaro che lo sento, a volte mi perdo in quella magia. Ho una connessione spirituale con le percussioni. Una connessione mentale, psicologica, fisica. Ce l'ho nel sangue.

Abbiamo appurato che dove ci sei tu c'è il pogo. Ma a te piace pogare?
[Ride] Quando ero giovane mi piaceva un casino. Ora però non si poga più come si pogava a quei tempi. Allora correvamo in cerchio e se qualcuno cadeva lo si sollevava. Adesso invece vedi gente che si tira pugni in faccia—ecco, questo per me non è pogare, non so come definirlo. Non è nemmeno moshing, forse si chiama smashing, non lo so. Però so che i tempi cambiano, è un dato di fatto, e con loro cambiano le certezze che avevi. Oggi non potrei più pogare, perché mi piace pensare che tutte le parti del mio corpo rimangano dove stanno, non mi va di spaccarmi le ossa, insomma. Già me ne sono spaccate abbastanza nella vita.

Dopo tutti questi anni preferisci suonare in un contesto intimo davanti a un centinaio di persone o su un palco gigante davanti a una folla immensa?
Preferisco ancora un contesto intimo, come un piccolo bar, perché mi piace sentire la connessione con il mio pubblico. A volte mi capita di sentirla anche ai grossi festival, ma non c'è niente come poter guardare in faccia chi ti sta ascoltando, mentre suoni. È la parte più divertente.

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