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Musica

I Laibach sono stati il primo gruppo rock occidentale a esibirsi in Corea del Nord

L'artista parigino Valnoir è andato con loro e ci ha raccontato e mostrato com'è andata.

Tutte le foto sono di Valnoir.

Valnoir è il baffone incazzato francese le cui arti grafiche in passato comprendevano anche poster disegnati con sangue umano (per non parlare di quando ha utilizzato le ossa per il nostro amico King Dude). Il ragazzo ha già passato, anni fa, del tempo in Corea del Nord a girare video in cui gente del luogo riproponeva "Take On Me" degli A-Ha. Non era che l'inizio: il losco Valnoir è tornato a Pyongyang tre settimane fa, per accompagnare i Laibach, ovvero il primo gruppo rock occidentale (con annesse allusioni marziali) a esibirsi in Corea del Nord. Gli abbiamo chiesto di raccontarci di questo viaggio totalmente assurdo.

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Noisey: Com'è nato il progetto? Come ti sei ritrovato a portare i Laibach a Pyongyang ?
Valnoir: È da un bel po' che lavoro con NSK e Laibach. Ho fatto per loro qualche poster, alcune T-shirt. Poi, nel 2012, ho fatto una mostra assieme a un artista norvegese che si chiama Morten Traavik, di cui ho adorato lo stile, e ho sentito che lavorava parecchio in Corea del Nord. Ci siamo messi a parlare (in realtà è stato uno scambio di mail) e lui mi ha immediatamente proposto di andarci con lui. Questo ragazzo era un super fan dei Laibach. Gli ho spiegato che ero in contatto con loro, e lui mi ha semplicemente chiesto: non credi che sarebbe interessante portarli a suonare in Corea del Nord? L'idea che avevo inizialmente era di far girare loro un videoclip là, cosa che poi non è mai successa.

Invece, Morten si è incaricato della regia del video di "Whistblowers", che ha marcato l'inizio della sua collaborazione col gruppo. Un anno dopo, Morten ha convinto i coreani a far suonare i Laibach nel loro Paese. Ha cominciato a negoziare nel 2014. Non credo che ci sia stato mai contatto diretto tra coreani e Laibach, ha fatto tutto Morten, perché già conosceva le loro logiche di trattativa. Ci sono stati parecchi ostacoli, per esempio il fatto che la Corea del Nord avesse chiuso ogni frontiera a causa dell'ebola, quindi un sacco di viaggi sono stati annullati. Ebola in Corea… un film che hanno visto solo loro… Comunque, tu potevi andare lì, ma a costo di passare sei settimane in isolamento, in ospedale, in un Paese in cui non c'è Internet e c'è un solo canale televisivo che passa sempre la stessa identica cosa per 12 ore…

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Invitante. Com'è possibile che il regime nord-coreano abbia dato il lascia passare per un progetto del genere? l
Allora, anziché di regime si dovrebbe parlare di comitato. Abbiamo lavorato insieme al Comitato delle Relazioni Culturali Internazionali della Repubblica Democratica coreana. Non sarebbe stato possibile far nulla, senza l'aiuto di queste persone. Il loro ruolo è gestire le richieste di interventi culturali che provengono dall'estero. Valutano la fattibilità, che si tratti di sport, scienza, arte, qualsiasi cosa. Morten lavora sempre con loro, anche perché non si può fare altrimenti. Alla fine abbiamo fatto amicizia, si è creato un legame di fiducia, cosa molto importante. Se non si fidano di te, non puoi fare nulla.

Ma qual era il loro interesse per la storia?
Penso che volessero cambiare un po' l'immagine e la percezione della Corea nel mondo dello spettacolo, metterla in una luce favorevole, allontanarla da ciò che viene visualizzato sistematicamente da media stranieri, che spesso si allontana dalla realtà. Volevano dimostrare che il Paese è più aperto di quanto pensiamo, che possono anche avere scambi costruttivi con l'estero. E poi, portare anche qualcosa di nuovo nel loro Paese, dare una nuova immagine.

Come sono avvenuti gli scambi coi Laibach? Loro erano gasati da subito o all'inizio erano titubanti?
I Laibach erano entusiasti di partire. Erano attratti da quest'idea abbastanza assurda, devo dire. E attorno a loro c'erano persone che conoscevano bene e di cui si fidavano. Se avessero voluto farlo da soli non ci sarebbero mai riusciti. Quindi sì, erano felicissimi, anche se si tratta di persone il cui entusiasmo non è immediato: con tutto quello che hanno visto, conosciuto, sperimentato nella loro carriera, anche cose come questa forse rientrano in una sorta di normalità. Comunque non è un gruppo facile con cui lavorare e viaggiare, questo è ovvio. Sono i Laibach. Ma le avventure più interessanti non sono mai le più facili. Abbiamo dovuto appianare alcune questioni riguardo ai pagamenti e ai finanziamenti, dato che non è un progetto da pochi soldi. Abbiamo certamente avuto degli impicci, ma sia Morten che i Laibach stessi che il Comitato hanno fatto il possibile per risolverli.

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Non avevano paura che le accuse che avevano ricevuto in passato, in particolare quella di apologia dei totalitarismi, potessero aggravarsi?
Al contrario, credo che avessero molta moltissima voglia di sollevare altri polveroni. Jani [leader del gruppo] l'aveva anche affermato in un'intervista: "Non andiamo in Corea del Nord per provocare i coreani, ci andiamo per provocare il resto del mondo." A loro piace fare così, amano le controversie, è un modo che con loro funziona. Ed è anche il motivo per cui riescono a riuscire sempre a sollevare dibattiti e riflessioni: la gente proietta sui Laibach quello che ha voglia di proiettare, che il più delle volte sono paure. E a loro questo piace. Come a noi piace tirar fuori qualcosa di nuovo innescando una polemica.

Come ti spieghi che altri gruppi non ci abbiano provato prima? Non che manchino le band "sovversive" a questo mondo…
C'è stato tanto lavoro di riflessione a monte di quest'operazione, un sacco di viaggi andata-ritorno in Corea… Non è stato semplice, per niente. Se nessuno l'aveva fatto prima, è perché in molti lo ritengono impossibile. O forse nessuno ci aveva provato seriamente: bisogna conoscere a fondo i meccanismi della cultura coreana, sapere chi contattare, e così via. Penso che non ci siano mai stati ponti tra band occidentali e Corea del Nord; nessuno si è mai nemmeno chiesto come crearli. Morten è uno dei pochi occidentali a voler intervenire nell'arte contemporanea di quel Paese.

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Avete avuto problemi di censura? Mi hai detto che hanno fatto questioni sui testi, ad esempio.
Infatti, i testi sono stati un problema: li abbiamo dovuti tradurre in coreano perché il pubblico potesse capirli. Gli ufficiali venivano alle prove, hanno esaminato i testi e le scenografie. Il problema grosso però è stato con le proiezioni, che abbiamo modificato o addirittura eliminato.

Come mai?
Stranamente, non era tanto per ragioni politiche, quanto perché i nordcoreani sono un popolo molto pudico, per quanto riguarda la nudità o la sfera privata. Su un pezzo avevamo messo immagini di statue classiche, quindi c'era del nudo, ma per noi è normale, non c'è niente di erotico, quindi non ci eravamo nemmeno posti la questione. Vedi una scultura di Rodin ma non pensi che sia una donna nuda, la vedi come una statua, punto. E invece loro non hanno questa tradizione, quindi è stato un problema.

A livello musicale, non ci sono stati grandi tagli al repertorio dei Laibach. Abbiamo avuto più problemi con i pezzi coreani. All'inizio dovevano esserci tre brani del luogo, ma poi ne hanno suonato solo uno, "Arirang". I coreani sono estremamente sensibili e puntigliosi per quello che riguarda la loro cultura e le interpretazioni che gli occidentali possono farne. Hanno mostrato delle reticenze in questo senso, per cui alla fine il tutto si è ridotto a un solo pezzo. Ma alla fine, tutto sommato, avrebbero potuto essere più severi, invece non ci abbiamo perso i capelli, ci aspettavamo che non sarebbe andato tutto liscio.

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Com'è andato il concerto?
La cosa meno sorprendente di tutta questa storia è stato il concerto in sé. Hanno suonato "The Final Countdown", "Life is Life"… Poi, Mina [la tastierista e cantante del gruppo] ha letto un brano in coreano, per accordarsi i favori del pubblico. A loro non piace che uno arrivi a casa loro e gli sbatta in faccia il proprio prodotto occidentale, fregandosene di tutto il resto. È importante che ci sia uno scambio. L'ideologia Juche è basata sull'autosufficienza, la Corea del Nord sostiene che sia possibile prodursi da sé tutto quello di cui il territorio necessita, anche a livello culturale. Quindi è sempre bene prendere anche elementi che appartengono a loro. In ogni caso il concerto è stato, diciamo, classico. Un bellissimo concerto, per loro. Abbiamo tutti versato una lacrimuccia, anche perché è stato un momento storico.

E il pubblico? Dalle foto non sembra che ci siano stati lanci di reggiseni o robe del genere…
Be', suonavano anche alle 5 del pomeriggio… È sempre rock'n'roll, ma non c'è bisogno di perderci la testa, soprattutto in Corea del Nord. La sala ha iniziato a riempirsi con una mezz'ora di anticipo, e nessuno, tra il pubblico, sapeva che aspettarsi. Le immagini di concerti coreani che avevamo visto erano pieni di gente in giacca e cravatta, donne da un lato e uomini dall'altro, ognuno con il suo bel paletto nel culo. Invece lì c'era gente normalissima, la middle-class coreana, gente che era appena uscita dal lavoro. Gruppi di persone che ridevano, scherzavano, chiacchieravano… L'ambiente era un po' quello di una serata a teatro da queste parti. Non c'erano proletari, non c'erano borghesi, non c'erano ragazzini. I posti erano numerati, immagino che non ci fosse nemmeno modo di far casino. Durante il concerto ci sono stati alcuni applausi, forti ma contenuti, niente delirio. Il tutto è durato abbastanza poco: circa 55 minuti.

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C'erano solo coreani in sala?
Su 1500 persone presenti, il 90% erano coreani, e un po' di stranieri, che probabilmente facevano parte di ambasciate, ONG, o erano turisti accorsi per l'occasione. C'erano anche personalità della politica internazionale, come l'ambasciatore siriano. Ecco, lui se n'è andato dopo due canzoni, salvo ritornare sul finale, lamentandosi che quella roba era una tortura. È siriano, quindi deve saperne qualcosa. L'inviato dell'ambasciata austriaca ha tentato di spiegargli che aveva appena assistito a uno degli eventi più controversi della storia moderna della Corea del Nord, ma lui era completamente allucinato. Per lui era assurdo che una cosa del genere fosse arrivata fin lì, era fuori da ogni sua logica.

E a parte il concerto non c'è stato nessuno choc culturale tra i Laibach e i locali?
La prima sera ci siamo trovati a un buffet con un sacco di gente importante. Abbiamo mangiato benissimo, c'è da dire. Ma per un caso strano dell'assegnazione dei posti mi sono ritrovato, insieme al fonico dei Paradise Lost e Jani dei Laibach, faccia a faccia con il vice ministro nordcoreano della cultura. E diciamo che da quelle parti si beve parecchio. Alla fine questo tipo ci ha raccontato, non so in che modo, perché non parlava una parola d'inglese, che è un compositore. E Jani, così per gioco, gli ha chiesto che cosa sia, per lui, il rock'n'roll. Il tipo allora si è messo a gesticolare, e abbiamo capito che stava mimando una batteria. Ecco cos'era per lui il rock: una batteria che ci dà dentro un po' più forte. Una buona melodia la puoi mettere giù in tutti gli stili che vuoi, ma se hai una batteria aggressiva, quello è rock. Non abbiamo voluto proseguire su quella strada. Per il resto, avevamo un programma abbastanza intenso, e puoi immaginarti che per un gruppo di 25 freak è difficile andare in giro sciolti per Pyongyang, quindi abbiamo limitato le pubbliche relazioni.

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OK, i Laibach sono stati il primo gruppo occidentale a suonare in Corea del Nord. Che musica ascoltano da quelle parti?
Quando vai in giro ne senti un bel po', di musica. Ce n'è dappertutto. È un Paese molto più sonorizzato rispetto al nostro. Là c'è un gruppo famosissimo che si chiama Moranbong, ed è la cosa più simile a un gruppo rock che tu possa trovarci. È tipo una girl band formata da cinque ragazze. Hanno un singolone che si sente sempre, dappertutto, e si chiama "We will climb to Mt. Paektu!". Entri in un negozio, in un ristorante, in un hotel, ovunque, e passa quel pezzo. È insostenibile, malato. E lì adorano quella canzone! E giuro che è molto peggio di "Gangnam Style".

Secondo te ci sarà un'apertura verso la musica occidentale? Alcune cose riescono ad arrivarci?
Roba russa, più che altro. La musica popolare sovietica ha una grossa influenza sulle radici della musica nordcoreana, lo vedi in primis dalla diffusione della fisarmonica (altrimenti detta "il pianoforte del popolo", che gli operai potevano portarsi in cantiere, al contrario del piano "borghese") e poi dalle melodie… La particolarità della loro identità musicale è che è un incrocio assurdo tra queste influenze e la musica tradizionale coreana.

Invece quello che fanno alle loro accademie musicali è indescrivibile. Hanno un misto di strumentazione tradizionale e cose da piano bar, il che rende il risultato tipo un pop zuccheroso, liquoroso, condito con synth, chitarre e slapping di basso… Una roba assurda. La nostra guida, che è cresciuta in Russia, ci ha saputo citare un po' di nomi di gruppi occidentali. Sappiamo che alcuni film che girano ora in Nord Corea hanno dentro anche riferimenti al K-pop, ma niente di più.

Nessuno vi ha attaccato per la scelta di andare a suonare in un Paese sotto regime totalitario? Non hanno accusato i Laibach di "piegare la testa al regime"?
No. Solo un tipo, uno di un gruppo industrial belga, mi ha attaccato in maniera completamente isterica e irrazionale, senza la minima intenzione di discutere. Sosteneva che i Laibach andassero in Corea per lucidare le scarpe al regime, e che la band sostenesse l'ideologia nord-coreana, i campi di lavoro, queste cose qui… Per il resto, ad esempio la stampa slovena e quella norvegese sono state terreno di critica, perché il gruppo viene da quei Paesi. Forse lì c'è stato un po' più di dibattito.

Ma per il resto, che sia la stampa anglosassone, francese o di altri luoghi, credo che, nonostante l'assurdità, si sia capito il progetto. Il direttore del Comitato dei Diritti dell'Uomo in Corea del Nord ha raccontato che in Romania, Paese in cui è nato sotto Ceausescu, le cassette degli Scorpions, dei Metallica, etc, che venivano distribuite illegalmente negli anni Ottanta hanno contribuito alla presa di coscienza della popolazione su quello che stava succedendo fuori dal proprio Paese. E quindi per lui questo progetto andava nella stessa direzione. Sono abbastanza d'accordo con lui: è stato un segno più di apertura che di sottomissione all'ideologia Juche.

E tu? Non ti sei posto la questione, a titolo personale e morale, di cosa comportava andare là e organizzare un evento così?
Ce la siamo posta tutti! È giusto fare una cosa del genere o no? Come cittadini, come artisti, come difensori della libertà di espressione… Certo che ti poni la questione. Stai facendo il loro gioco o stai lavorando in un altro senso, per un'apertura? Per me era chiaro che fosse qualcosa di costruttivo e positivo. Non mi sono fatto troppe domande. Anche se è chiaro che, una volta che sei lì, bisogna alzare bandiera bianca e dar prova di rispetto a quel popolo, che ti accoglie e lo fa gentilmente, oltretutto. Sei obbligato a rendere loro qualcosa. A mostrare almeno un minimo di rispetto allo Stato. Si chiama diplomazia.

Siamo rimasti dritti nelle nostre corsie, non abbiamo fatto più compromessi di quanti fossero necessari per fare in modo che l'evento si tenesse. E poi io ho un problema con il flusso di stronzate che si sentono oggi con la Corea del Nord. Per fare clickbait, o cose del genere. È come mettere la faccia di Hitler sulla copertina della tua rivista per racimolare un po' di vendite. È il fantasma in forma cartone animato delle dittature. La realtà non è così grottesca: è un regime totalitario e siamo tutti d'accordo, ma non è nemmeno giusto parlarne senza alcun raziocinio. Per questo credo che non sia un male andare in una direzione in cui le tensioni si possano allentare. Perché altrimenti li si offende e infastidisce, ed è comprensibile.

E se tu potessi portarci un altro artista, chi ci faresti suonare?
Pensa, ce lo siamo chiesti davvero. Ci siamo scervellati. Merda, a parte i Laibach, chi sarebbe divertente portare lì? Per noi loro erano tipo l'unico gruppo in grado di sostenere una roba del genere. Ma io ti direi Boyd Rice. Mi farebbe scassare vederlo suonare in quel contesto. Dai, vada per Boyd Rice, maledetto!