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Musica

Demon Days dei Gorillaz ha trasformato la crisi globale in un capolavoro pop

Il disco più importante dei Gorillaz è uscito poco prima che il mondo iniziasse ad andare in merda, ma oggi possiamo confermare le sue previsioni.

In un'intervista col New York Times, poco prima dell'uscita di Demon Days, il critico musicale Jon Pareles faceva notare due frasi scritte in grossi caratteri neri sul muro dello studio londinese di Damon Albarn. La prima era “Uncertainty Leaves Room For Hope” e la seconda “Dark Is Good”—con una delle due “o” sbarrata.

“Dark Is God”.

Con questa frase in mente, riascolto l'album undici anni dopo la sua uscita, quando è stato annunciato che "molto presto" arriverà un disco nuovo dei Gorillaz. Demon Days parlava di guerra, violenza, idolatria, brutalità e fuoco. Le super hit di chiaro stampo pop—”Feel Good Inc”, “DARE”, “Kids With Guns”—erano infilate negli interstizi di pezzi più duri e profondi, come la tranquilla “El Manana” o la claustrofobica “Last Living Souls”. La narrativa portante dell'album era complessa e stratificata, e tra le righe raccontava storie distopiche di apocalisse e simulacri.

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In tutto ciò, comunque, Demon Days era un disco pop di una band a cartoni animati, i personaggi di finzione—2D, Russel, Murdoc e Noodle—capitanati da un leader il cui periodo migliore, secondo molti, era stato il 1994. All'uscita del disco fece séguito una serie di recensioni, alcune positive che ne parlavano come di "un pugno di canzoni che fanno divertire più di una maratona di Hong Kong Phooey”, altre decisamente negative che lo descrivevano come un album deludente. Certo, le voci che elogiavano quel disco erano tante, ma per la maggior parte si sottolineava come fosse particolare in termini di "sperimentazione"—o, stando a Pitchfork, di “sci-fi kitsch”. In effetti, Demon Days trattava questioni grosse in una maniera così diretta da farlo sembrare quasi banalizzante, macchiettistico e caricaturale, ai tempi—mentre oggi, undici anni più tardi, assume quasi toni profetici.

La gimmick dei Gorillaz, a questo punto giunto al secondo album, potrebbe aver ridotto le possibilità di questo disco di raggiungere lo status di classico ai tempi, ma non gli impedì di trovare un pubblico. Entrò nelle top ten di tutto il mondo, in UK addirittura al numero uno, e vendette ampiamente di più del primo album della band, raggiungendo a oggi otto milioni di copie in tutto il mondo. Fu un successo senza precedenti, ma non se ne parlò comunque abbastanza: non solo come disco pop, ma come la probabile miglior dimostrazione dell'intelligenza musicale di Damon Albarn e come una cupa e affascinante testimonianza della recente storia britannica, tanto culturale quanto politica.

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Il debutto omonimo dei Gorillaz fu il primo disco che comprai. Da bambino mi divertiva e mi spaventava contemporaneamente. Questi personaggi scheletrici, vacui, che sembrano cantare svogliatamente elenchi di lamenti su cose come "sunshine in a bag" hanno sempre avuto un nonsoché di apocalittico. Ma, come molte persone, mi sembrava che a questo disco mancasse qualcosa. Anche a quell'età ricordo che skippavo tra una canzone e l'altra, senza mai lasciarmi conquistare dall'album nella sua interezza. I Gorillaz sembravano un'ottima idea o meglio, tante ottime idee che non riuscivano a dimostrare il perché della loro esistenza, o il "per chi".

Tra il primo album e l'uscita di Demon Days nel 2005, Albarn si concentrò di meno sulla creazione di un mondo per i Gorillaz e di più sull'usare il progetto come riflesso di tutto quello che stava succedendo nel mondo attorno a loro. "Praticamente è ciò in cui viviamo", Albarn rivelò a MTV News al momento dell'uscita, "il mondo in uno stato notturno". Il progetto si trasformò in uno specchio deformante, invece che una finestra fantastica.

È storia talmente recente che non sarebbe nemmeno il caso di ricordarla, ma l'invasione dell'Iraq nel 2003, e in particolare la decisione di Tony Blair di inviare l'esercito britannico in supporto alla campagna guidata dagli Stati Uniti, era ed è ancora una ferita aperta—un esercizio brutale, lento, che non si è mai davvero concluso. Non solo, ma si trattò di una guerra molto "Ventunesimo secolo". Non si trattava più della logica bene-vs-male degli inizi del Ventesimo secolo, o dello spionaggio strategico della Guerra Fredda. Questo moderno conflitto vedeva i governi andare contro il volere del proprio stesso popolo—in tutto il mondo, trenta milioni di persone presero parte a una marcia pacifista, "la più grande protesta della storia" —alla ricerca di ipotetiche armi di distruzione di massa. Naturalmente il vero premio, il vero scopo, come capirono in molti, era il petrolio.

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La nascita del terrorismo su scala mai vista prima, l'atmosfera post 9/11, Abu Ghraib e le immagini di torture ed esecuzioni su tutti i giornali, senza dimenticare la valanga di informazioni derivante dalla diffusione di Internet e dall'avvento di Facebook nel 2004. Il mondo, nei primi anni Zero, era nella morsa del terrore, sopraffatto dal bombardamento di informazioni e di violenza, in conseguenza di battaglie a cui non aveva mai chiesto di prendere parte. Il conflitto divenne un pilastro fondamentale, parte dell'aria che respiravamo e delle immagini che vedevamo. Questi erano i Demon Days.

La coscienza dell'album si manifesta in varie sfumature di esplicitezza. Le prime campagne di marketing dell'album mettevano in chiaro che l'LP avrebbe puntato a una forma di sovversione più mirata, tramite la frase “REJECT FALSE ICONS”. Il countdown verso l'uscita dell'album fu affidato a un sito (rejectfalseicons.com) che permetteva di replicare il messaggio con adesivi o graffiti. Il concetto delle false icone, in modo simile allo slogan "Dark Is God", indicava la disillusione di Albarn verso l'autorità e il governo. È la stessa disillusione che infettò fatalmente l'album.

Se c'erano false icone da distruggere, con tutta probabilità l'oggetto della critica più severa di Demon Days doveva essere George Bush. Prendiamo "Dirty Harry", in cui Bootie Brown rappa dal punto di vista di un soldato americano (“I’m a peace loving decoy ready for retaliation”). Verso la fine della mitragliata di barre c'è il verso: “The war is over, so said the speaker, with the flight suit on”. Due anni esatti prima dell'uscita dell'album, Bush si trovava sul ponte della USS Abraham Lincoln, in tenuta da pilota, proclamando che pur essendoci ancora del lavoro da concludere, "nella battaglia dell'Iraq, gli Stati Uniti e gli alleati hanno prevalso". Dietro di lui uno striscione recitava "MISSIONE COMPIUTA". La guerra, ovviamente, non era finita. La maggior parte delle vittime militari e civili morirono dopo che quella frase fu pronunciata.

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La violenza è dappertutto nel disco: il video di “El Manana” arrivò addirittura a uccidere Noodle con una mitragliata da un elicottero, anche se si trattava di un falso allarme. Eppure la faccia più impressionante e vivida della guerra in Iraq evocata da Demon Days è la sopracitata ricerca del petrolio. Per i Gorillaz questa si manifesta con un letterale prosciugamento, uno svuotamento del pianeta. Viene risucchiata l'anima della Terra sia moralmente che concretamente. In una intervista con la rivista Notion prima dell'uscita, Albarn dichiarò quanto segue riguardo alle tematiche ambientaliste dell'album: "Viene da un'idea molto naïf, che è: che cosa succederà quando avranno estratto tutto il petrolio dal terreno? Non ci saranno dei buchi enormi? Di certo questi buchi non potranno restare vuoti. Di certo ci sarà un motivo se contenevano queste cose. È come chirurgia plastica fatta male, prima o poi collasserà".

Naïf o meno, come immagine funziona perfettamente per il tipo di posizione politica che i Gorillaz sono stati in grado di costruire in Demon Days. Dopotutto, si tratta di cartoni animati. Questa visione di una Terra vuota, di misteriosi viaggiatori che scavano il terreno, è naturalmente articolata al meglio in “Fire Coming Out of the Monkey’s Head”. La traccia è un monologo di Dennis Hopper letto sopra una strumentale strisciante, che racconta la favola di una piccola comunità montana che viene tenuta sotto assedio da degli stranieri "in mimetica". I viaggiatori scavano la montagna per le ricchezze delle sue grotte, e così facendo disturbano lo spirito onnipotente che risiede nel suo nucleo, una bestia semidivina che fino ad allora aveva convissuto in pace con la comunità locale. Il risultato finale è che cominciano a comparire dei buchi, la scimmia si risveglia e poi si verifica una "castrofonia" così immensa da essere udibile nello spazio. “Only fire, and then nothing”. I Gorillaz poi parleranno di ambiente in modo ancora più esplicito in Plastic Beach, ma in Demon Days la Terra è un'altra vittima della violenza. Una roccia che era onnipotente e che viene ridotta a un mucchio di detriti; un cranio da cui viene estratto il cervello.

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In altri punti il disco sembra preoccuparsi del posto che occupano i bambini in questo mondo. Naturalmente, "Kids With Guns" è l'esempio più esplicito—pare che sia stata ispirata da un compagno di classe della figlia di Albarn che aveva innocentemente portato a scuola un coltello—ma l'infantilizzazione della violenza permea ogni lato di questo album. Ripensiamo a "Dirty Harry", canzone che finisce con un coro di bambini che canta “I need a gun, to keep myself from harm”. Poi c'è il concept stesso: un cartone animato che comunica l'inesorabilità del terrore dell'azione militare.

“Last Living Souls” si chiede dove siano finite tutte le persone buone, "Feel Good Inc" evoca il prezzo da pagare in termini di depressione, e titoli come "Every Planet We Reach Is Dead" parlano da soli. La fine del mondo raccontata da Demon Days avviene per mano di finte divinità e infanti, portatori di corruzione e avidità.

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Certo, nulla di tutto ciò importerebbe se suonasse di merda. Se non ci fosse la musica. Ma la musica c'è. L'album conteneva tre singoli in top ten nel Regno Unito: “Feel Good Inc”, “DARE” e “Dirty Harry”—cosa in un certo senso sorprendente per un disco di canzoni che parlano di sommosse politiche e guerriglia ecologica. Ma è più che altro sorprendente trattandosi di un album che sta all'incrocio tra rap UK, rock alternativo, piano-pop, trip-hop, reggae e psichedelia alla Beach Boys.

Una delle conquiste più notevoli dei Gorillaz è stata quella di fare da piattaforma di lancio verso il successo mainstream per una pletora di artisti di enorme importanza. Roots Manuva, uno degli artisti più influenti della storia musicale inglese, conquistò il suo successo più grande nella classifica degli album grazie al suo featuring su "All Alone". Shaun Ryder ha ottenuto il suo primo singolo al numero uno in UK con "DARE". Lo stesso si può dire di artisti non-inglesi, visto che i De La Soul, Bootie Brown dei Pharcyde e Del Tha Funky Homosapien hanno tutti goduto del riconoscimento delle classifiche britanniche che ai tempi non lasciavano molto spazio all'hip-hop. Si può dire che dietro all'anonimato del progetto Gorillaz, artisti che altrimenti sarebbero stati giudicati inadatti al pubblico mainstream inglese siano stati in grado di raggiungere un pubblico altrimenti inarrivabile. Il successo, ovviamente, non si misura solo in base alle vendite, ma qui bisogna riconoscere un risultato monumentale. Con Demon Days, i Gorillaz si sono dimostrati pronti a rinunciare ai featuring imposti dalla major per portare in primo piano artisti le cui identità ben distinte illustrassero efficacemente il concetto alla base dell'album.

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"Per Demon Days, ogni persona è stata scelta per un particolare attributo o consistenza o aspetto della cultura che rappresentava", spiega il batterista Russel in un fumetto che accompagnava l'album. "Dennis Hopper, leggenda dell'anticonformismo; De la Soul, forza positiva dell'hip-hop; Roots Manuva e Martina Topley-Bird, fratello e sorella eterei… Ike Turner, forza oscura del soul; Shaun Ryder, il figliol prodigo, la voce del funk edonistico e antagonista da pantomima; Bootie Brown, obiettore di coscienza; Neneh Cherry, la B-girl che viene dalla strada. Questi agenti recitano l'uno contro l'altro negli atti di Demon Days".

Albarn inoltre mollò Dan the Automator e reclutò un allora relativamente sconosciuto Danger Mouse, che era appena salito agli onori delle cronache per il suo mash-up tra Jay Z e i Beatles The Grey Album. La decisione rifletteva il desiderio di Albarn di sovvertire la cultura popolare, e il producer trattò ogni elemento organico di Demon Days come un sample da manipolare come gli pareva. Mettere Dennis Hopper su un ritmo reggae, o il ruggito di Shaun Ryder sopra delle vellutate onde di synth… Demon Days, dal punto di vista tematico, parlava di un mondo in declino, reso udibile dal suono di Danger Mouse che metteva insieme mondi diversi.

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Non sorprende che l'eredità dell'album sia un po' confusa. Sembrava che i Gorillaz non dovessero mai essere nulla di più che il side project autoindulgente, strambo ed eroinomane di Damon Albarn e dell'illustratore Jamie Hewlett. Il successo che ne risultò—un album scritto da un'immaginaria scolaretta giapponese che parla di corruzione morale e guerra al numero uno nelle classifiche UK—è a dir poco sconcertante. Non sorprende quindi che sia stato compreso più facilmente come "più divertente di una maratona di Hong Kong Phooey". In effetti, proprio l'idea-Gorillaz che permise loro di oltrepassare i pregiudizi e di portare in cima alle classifica un suono così eclettico sembra essere stata il fattore che impedì loro di avere un album riconosciuto come classico—è difficile avere per dei cartoni animati la stessa stima che si ha per un gruppo di umani. È difficile affiancare i Gorillaz a, per dire, Pulp, Radiohead o anche i Blur. È difficile essere un fan sfegatato di un'entità immaginaria, il che fu confermato dalla risposta del pubblico quando diventarono i sostituti headliner di Glastonbury nel 2010.

Col senno di poi, è comprensibile che il pubblico non fosse totalmente pronto ad accettare che il mondo descritto in Demon Days fosse una rappresentazione giusta dello stato di cose. La guerra in Iraq durava soltanto da due anni e si diceva fosse "finita", la crisi finanziaria non c'era ancora stata e mancavano ancora cinque anni al governo conservatore che implementò l'austerity. Forse, a quei tempi, l'apocalisse qui rappresentata non sembrava molto più che una serie di "scemenze pretenziose".

Oggi, possiamo riconsiderarlo più chiaramente per quello che era. Una magica allegoria ambientata sull'orlo del precipizio di un periodo quantomai nero della storia contemporanea. Il disco, ascoltato oggi, è più attuale che mai. In “Kids With Guns” o in “O Green World” risuona un livello di preveggenza quasi compiaciuto. A pensarci bene, non c'è nulla di strano che, in un mondo in cui la terribile realtà delle cose supera la fantasia, ci siano voluti dei cartoni animati per dipingere un quadro realistico.