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Musica

Un'ode a Frequency, il videogioco dimenticato dei creatori di Guitar Hero

Prima che una generazione si ammazzasse su "Through the Fire and Flames", Frequency offriva un'esperienza psichedelica fatta di drum and bass, IDM e trance.
frequency ps2 game
Uno screenshot di gameplay di Frequency

Quando comprai Frequency non avevo una chiara idea di quello che mi sarei trovato di fronte una volta infilato il DVD nella mia Playstation 2. I ricordi che ho di quel periodo non sono proprio limpidi, ma ne sono abbastanza sicuro. Era l'inizio del 2002, avevo undici anni e solo sei mesi dopo Grand Theft Auto: Vice City avrebbe cambiato profondamente la mia vita musicale esponendo le mie giovani orecchie alle note di "Raining Blood" degli Slayer.

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La mia esperienza di rhythm gaming, fino a quel punto, si era limitata a due incredibili demo: quella di PaRappa the Rapper e quella di Vib Ribbon. La prima ce l'avevo da quando avevo comprato la PS1, e ricordo di aver ripetuto l'incredibile livello di apertura nel dojo almeno due volte al giorno per un numero imprecisato di settimane. La seconda l'avevo trovata in allegato a qualche rivista che avevo comprato, e l'idea di poter giocare con la musica dei miei CD mi mandava fuori di testa—tra l'altro aprendo il coperchio della console mentre andava, la trasgressione definitiva per il ragazzino undicenne medio.

Morale, nonostante schiacciare tasti a ritmo di fronte a uno schermo fosse una delle mie attività preferite non avevo mai potuto giocare veramente a un rhythm game.

PaRappa

era troppo vecchio perché ne riuscissi a trovare facilmente una copia, e

Vib Ribbon

non era certo mai stato in alto nella lista dei giochi che l'unico negozio della mia città aveva intenzione di vendere a noi pischelli.

Frequency, invece, era una novità facilmente accessibile. Non ricordo quanto costavano i giochi allora ma credo di averci investito almeno 50.000 lire. All'epoca non ne avevo la minima idea, ma era la prima opera ufficiale di Harmonix—lo stesso studio che qualche anno dopo avrebbe fatto i soldi con Guitar Hero.

"I miei occhi venivano esposti a una sorta di serata cyberpunk uscita direttamente da un sogno bagnato congiunto dei fratelli Wachowski"

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Quello che mi trovai di fronte, quando ci giocai per la prima volta, mi colpì immediatamente. Innanzitutto, il video di introduzione non era fatto in un CGI pixellato come solo i peggiori videogiochi dell'epoca sapevano proporre ma era un filmato a tutti gli effetti. Quello che oggi riesco a riconoscere come una sorta di pezzo psytrance suonava dalle casse del mio televisore mentre i miei occhi venivano esposti a una sorta di serata cyberpunk uscita direttamente da un sogno bagnato congiunto dei fratelli Wachowski. Insomma, come la scena della festa in Matrix: Reloaded ma con un budget decisamente minore.

Il clip proseguiva poi entrando letteralmente nella testa di uno dei DJ, penetrando una delle due lenti verde mela dei suoi occhiali oversize e presentandomi di fronte una galleria ottagonale attraversata da onde colorate, su cui la telecamera viaggiava a velocità che neanche quelle a cui mi aveva abituato Wip3out (altro gioco con una colonna sonora della madonna, ma questa è un'altra storia). Ero esaltato come non lo sarei stato neanche qualche anno dopo, pochi secondi di far partire il tappo del mio primo Bacardi Breezer.

Ora, veniamo al gioco in sé. Nonostante il gameplay possa apparire caotico, l'idea di base era in realtà piuttosto intuitiva e intelligente. L'ottagono era una visualizzazione semi-fisica della canzone di turno, sospesa in una sorta di iperuranio animato da entità geometriche fluorescenti (qualcuno ha detto "trip da DMT"?). Ognuno dei suoi lati era una traccia: il beat, il sintetizzatore, la voce, i sample, la linea di basso, l'eventuale chitarra e così via. Il giocatore, premendo tre tasti da schiacciare a ritmo, "animava" ogni traccia andando effettivamente a comporre la canzone. Ma fate prima a guardare unodei video embeddati in questo articolo.

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In pratica il giocatore "suona" ogni traccia per un determinato tempo: se non sbaglia nessuna nota, questa si attiva e prosegue da sola. Il giocatore è quindi libero di potersi dedicare a un'altra, andando letteralmente a comporre il brano mano a mano. Ci sono poi dei divisori intermedi all'interno della canzone che resettano tutte le tracce, così da obbligare il giocatore a continuare a suonare il brano fino alla fine—quando il pezzo si "attiva" per intero.

Il fatto che i bottoni da premere fossero solo tre rendeva Frequency relativamente accessibile: non c'era bisogno della coordinazione tasti-plettro dietro a Guitar Hero.

A questo punto il giocatore è libero di cazzeggiare con i due lati più epici del triangolo, "Scratch" e "Axe", entrambi non legati a note specifiche ma semplicemente ricettacoli per la creatività e il senso del ritmo di chiunque tenesse in mano il joypad. Il fatto che i bottoni da premere fossero solo tre rendeva Frequency relativamente accessibile: non c'era bisogno della coordinazione tasti-plettro dietro a Guitar Hero, né dell'effettiva capacità di ballare dietro a esperienze da sala giochi come quella della serie Dance Dance Revolution e dei suoi emuli. Semplicemente, serviva un po' di puro senso del ritmo.

C'è da dire che quello che in retrospettiva rendeva Frequency una vera figata era la sua colonna sonora. Dall'uscita di Guitar Hero in poi, infatti, il concetto di rhythm game su console è perlopiù rimasto legato a un paradigma prettamente rock—RUOCK, direbbero alcuni. D'altro canto, la cosa può essere anche comprensibile. Se per anni e anni l'idea di poter usare dei controller che non fossero dei normalissimi joypad era rimasta troppo ardita, la possibilità di avere a un prezzo relativamente accessibile una chitarra di plastica su cui credersi i nuovi Angus Young, Slash o Tom Morello era un grandissimo selling point.

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Consideriamo oltretutto che allora 1) nel 2005 il gaming non era ancora considerato qualcosa-di-serio e quindi sfumato e complesso come lo è oggi e 2) canzoni come "Back in Black", "Sleep Now in the Fire" o "Symphony of Destruction" erano e sono perfette per attirare le finanze a disposizione di semi-adolescenti nel pieno delle loro personali crescite musicali. Sicuramente più di un pezzo di Paul Oakenfold. L'onda lunga del fenomeno Guitar Hero, però, sta nell'aver creato una generazione convinta che la cosa più bella che un rhythm game potesse offrire al videogiocatore fosse la possibilità di farsi esplodere i tendini per completare al 100% "Through the Fire and Flames" dei DragonForce in modalità esperto.

Non c'è niente di male di per sé nel mito del chitarrista-eroe, e questioni di gusto a parte non è che possiamo andare da Steve Vai, Joe Satriani o Yngwie Malmsteen a lamentarci di come la loro carriera non abbia fatto che convincere migliaia di giovani chitarristi maschi a imparare i loro brani a memoria piuttosto che cercare di trovare vie più innovative e inclusive basate sulle chitarre.Il successo di Guitar Hero ha però, almeno su console, limitato enormemente il potenziale del genere limitandone la sperimentazione ad una ricerca di ammenicoli da far usare al videogiocatore, come dimostra questo video, tratto da DJ Hero, in cui un tizio fa avanti e indietro con una levetta e "scratcha" premendo tre pulsanti.

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Guitar Hero dice "dai, prendi questa strada dritta e arriva fino in fondo!" Frequency, invece, ti metteva di fronte a otto vie parallele lasciandoti libero di percorrerle come ti pareva.

Frequency non tenta di emulare uno strumento reale—non è un simulatore ma un gioco, e lo riconosce. Riproduce la musica elettronica che lo anima come un processo cerebrale, palesando la sua struttura ordinata in una suddivisione in tracce interamente suonabili e assemblabili. In due parole: Guitar Hero dice "dai, prendi questa strada dritta e arriva fino in fondo!" Frequency, invece, ti metteva di fronte a otto vie parallele lasciandoti libero di percorrerle come ti pareva.

Ma anche di rilavorarle: era infatti presente una funzione remix, in cui il giocatore poteva prendere le singole tracce di ogni brano e riaggiustarle a piacere, per poi giocare le sue versioni dei brani, o semplicemente ascoltarle scegliendo i visual da accompagnarci (come dimostra questo video). L'obbiettivo non era quindi ricreare pedissequamente una figura irraggiungibile come quella del musicista professionista ma semplicemente quello di esplorare le frequenze del titolo e, semplicemente, sbizzarrirsi un po' senza dover imparare a usare un software di produzione. Un po' come Music 2000, ma in chiave spiccatamente più ludica.

Non essendo all'epoca ancora iniziato il processo di commercializzazione del clubbing in una progressiva logica di ammorbidimento dei suoi valori, oltretutto, la colonna sonora di Frequency era piena di brani strambi mezzi dimenticati e sconosciuti che, riascoltati oggi, sono una finestra aperta sulle stranezze dell'elettronica e del crossover di fine anni Novanta.

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Iniziamo dai nomi più grossi: il big beat era rappresentato dai Crystal Method con "The Winner", un pezzone la cui linea di chitarra mi fa tornare in mente il periodo in cui le parole "nu" e "metal" mi facevano ancora esaltare, ma con un tiro e un approccio decisamente più danzereccio di quanto il genere di per sé sia mai riuscito a sembrare. C'erano gli Orbital, con una canzone che aveva la carica scritta in fronte: "Funny Break (One Is Enough) (Weekend Raver's Mix)". Paul Oakenfold, uno dei progenitori della trance, è presente con un inedito scritto apposta per il gioco, "See It", tirata avanti da un sample così arioso che sembra una piccola fessura nel un muro nero madido di sudore che è la strumentale.

Tutti gli angoli più brutti, sporchi, sudati, cerebrali e underground dell'elettronica hanno il loro posto. C'è la drum and bass di Roni Size e dei sui Reprazent con "Railing Pt. 2", il classico brano che potete immaginare mandare fuori di testa il dancefloor del Ministry of Sound alle tre del mattino un triste mercoledì sera londinese. C'è la proto-IDM dei Meat Beat Manifesto, che appaiono con gli arpeggi dissonanti di "Dynamite Fresh". C'è la psytrance nuda e cruda di "Higher Ground" dei Juno Reactor, cioè il collettivo che ha scritto la colonna sonora di Matrix—per restare coerenti all'immaginario distopico-cyberpunk di cui sopra.

Mastermind musicale dietro al gioco era tale Kasson Crooker, un produttore americano parte dei Freezepop—a cui va la palma di mia canzone preferita del gioco, "Science Genius Girl", che potete sentire qua sotto. È una sorta di pezzo pop futuribile che anticipa di una decina d'anni tutte le suggestioni sull'artificialità alla saccarina portate avanti da PC Music, Kero Kero Bonito e compagnia bella. Alternativamente, può essere considerata una rilettura in chiave acida della fascinazione per il mondo della robotica di fine anni Ottanta, una sorta di The Age of Plastic rivisitato per la cultura rave.

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Tutti gli angoli più brutti, sporchi, sudati, cerebrali e underground dell'elettronica hanno il loro posto in Frequency.

"Quando clonerò un essere umano / Diventerà un membro del mio gruppo" canta Liz Enthusiasm (aka la ragazza col nome più carico della storia), immaginandosi con un camice bianco addosso prima di lanciarsi in un intermezzo in cui recita i primi trentuno decimali della sezione aurea. Crooker, mica scemo, usò il gioco anche per sbizzarrirsi come produttore solista: tre brani della colonna sonora sono di suoi alias, cioè DJ HMX, Symbion Project e Komputer Kontroller.

Altri tre brani notevoli sono un remix di "Ex-Girlfriend" dei No Doubt, "Cosmic Assassins" di DJ Q-Bert e "End of Your World" di Robotkid e Inter:sect. Il primo è una versione bastarda, ballabile e infinitamente migliore dell'originale. Il secondo venne scritto apposta per il gioco da Q-Bert, un dio del turntablism, e il risultato è un mid-tempo monolitico che è un piacere cercare di mettere a posto nella propria mente mentre lo si ascolta. Il terzo era praticamente il boss finale del gioco: ricordo di aver bestemmiato non poco cercando di completarlo, e lo stesso deve avere fatto chiunque abbia caricato su YouTube il video di gameplay che potete vedere qua sotto. Caliamo invece il sipario sui pezzi di Powerman 5000 e Fear Factory, perché in fondo era sempre il 1999 e tutti credevano che il nu metal sarebbe andato a finire da qualche parte non imbarazzante.

Quando Harmonix propose Frequency a Microsoft, si vide rispondere che il gioco non sarebbe andato bene perché non era basato su una periferica. Sony fu invece più disposta all'ascolto e decise di dare allo studio i fondi necessari per lo sviluppo. La storia ci insegna due cose: innanzitutto, che Microsoft aveva ragione. Le vendite del gioco furono tutto tranne che alte, e fu proprio il consiglio ricevuto dalla compagnia di Gates a spingere Harmonix a dedicarsi allo sviluppo di Guitar Hero, e quindi alla creazione di quello che sarebbe diventato un franchise multimilionario. Ma al contempo, a ridere, è stata Sony—che si è comunque fidata di uno studio allora giovane e scalcagnato e del loro progetto altrettanto giovane e scalcagnato.

Sebbene probabilmente Frequency sopravviva oggi solo in qualche video di YouTube e in qualche ROM usata da nostalgici su emulatori, chiunque abbia mai giocato a un rhythm game di Harmonix gli deve tutto; e chi ebbe la fortuna di giocarlo allora ha oggi un ricettacolo di brani strambi da riascoltare per riprendersi bene come allora, con tutta la gioia aggiunta del tempo passato e di una maggiore consapevolezza dell'unicità di quell'artefatto che si era trovato, probabilmente a caso, tra le mani.

Elia si è fatto prestare una PS2 per scrivere questo articolo dato che aveva regalato la sua a suo zio per farlo giocare a Gran Turismo 4. Ed è su Instagram.

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