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Musica

Quella volta che una nave piena di synth è naufragata sulle coste di Capo Verde

Dopo lo stupore iniziale, è iniziata una rivoluzione nella musica africana.

Era una tranquilla mattina di marzo, nel 1968. Un cargo prendeva pigramente il largo, lasciandosi alle spalle il porto di Baltimora. Era diretto alla Exposição Mundial Do Son Eletrônico a Rio de Janeiro con un carico di diversi containers pieni zeppi di Korg, piani elettrici Fender Rhodes, organi Hammond e Farfisa, sintetizzatori ed effettistica Moog. Il mare era piatto e immobile e i container giacevano agganciati sul ponte come grandi animali morti. Nulla che potesse preannunciare l'inspiegabile.

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Ossia che dopo poche ore di navingazione la nave sarebbe sparita dai radar, come evaporata. Alcuni mesi dopo riapparve. La ritrovarono incastrata in un campo coltivato dai contadini di Cachaco, un villaggio minuscolo sulla costa dell'isola di San Nicolau, nell'arcipelago di Capo Verde. Un mucchietto di isolette gettate a caso in mezzo all'immensità dell’Oceano a 350 kilometri da Dakar, West Africa. A bordo nessuno, né vivo né morto. Nessuna traccia dell'equipaggio, soltanto lo sciabordare incessante delle onde e un enorme relitto che sembrava piovuto dal cielo.

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La polizia arrivò in forze e vide il cratere ma nessuno seppe dare spiegazioni. L’apprensione durò finchè i container non vennero aperti. Poche ore dopo Amilcar Cabral, leader dell'indipendencia Capoverdiana, forse non sapendo neppure bene di cosa si trattasse, ordinò che il carico di “strumenti elettronici” fosse equamente distribuito tra le scuole dell'arcipelago e messo a disposizione degli studenti. Dal giorno alla notte, un'intera generazione di giovani capoverdiani ebbe libero accesso alle più raffinate e misteriose macchine musicali dell’epoca senza sapere da dove fossero arrivate.

Secondo quei bizzarri personaggi della Analog Africa (l'etichetta di Francoforte che ha appena pubblicato Space Echo – The Mystery Behind The Cosmic Sound Of Cabo Verde, una compilation che raccoglie i grandi successi che sfornò senza sosta l’industria musicale dell’isola dopo il misterioso incidente) questo misterioso ritrovamento causò l'esplosione di un nuovo febbrile suono elettronico sugli assopiti ritmi folk locali, destinato ad espandersi poi anche sul continente. Tali diavolerie diedero il via ad una contaminazione forzata senza precedenti per intensità e rapidità di propagazione. A conforto di questa teoria vengono fatti i nomi di William Onyeabor e Mdou Moctar, tra i più accaniti utilizzatori di strumenti elettrici ed elettronici su un impianto di musica “tradizionale”.

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Grazie a quel misterioso relitto arrivato chissà come, il ferrinho (una specie di primitiva washboard) usato per la sensuale e vietatissima funanà, poteva benissimo convivere con assoli di chitarroni elettrici alla Neil Rodgers, beat elettronici di derivazione latina e suoni di sintesi fantascientifica (ascoltate "Quirino do Canto" di Mino di Mama e ditemi se non è kuduro registrato l’altro ieri).

Già, ma come era arrivata quella nave fino a lì? Il governo portoghese si affrettò a ricercare spiegazioni scientifiche che si dimostrarono quantomeno sparate a caso. D’altronde come avrebbero potuto i fisici e gli ingegneri inviati da Lisbona risolvere un mistero senza fondamenta a meno di non ricorrere anche loro a spiegazioni misterico-psichedeliche? La conclusione alla quale giunsero fu infatti che la nave fosse piovuta dal cielo, più precisamente da un velivolo da trasporto russo. Il cratere ritrovato sulla terraferma in prossimità della nave sembrava anche poter confermare quell'ipotesi, ma i capoverdiani non se la bevvero per niente, sfottendo pure il fatto che gli sforzi pseudoscientifici di Cabral avevano portato ad un risultato tragicomico, se non altro per le conclusioni. E poi non c'era niente da ridere visto che venivano bruciati soldi pubblici in ricerche inconcludenti su alieni e velivoli russi, mentre sull'isola si moriva letteralmente di fame e comunque moltissimi non se ne sarebbero fatti un beato niente di organi, synth e drum machine, per il semplice fatto che non avevano a disposizione la corrente elettrica.

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Solo un piccolo dettaglio restava a disposizione per chi avesse voluto comunque credere alla spiegazione extraterrestre. Ovvero che le tracce di esplosione all'interno del relitto contenevano particelle "cosmiche". Lo scafo della nave mostrava chiaramente i segni di un calore tremendo da esplosione, molto simile a quello che si propaga quando un asteroide penetra l'emisfera a velocità impressionanti. Gli scienziati certificarono anche la presenza di tali particelle di origine spaziale. Ma come credergli dopo tutte quelle stronzate? Come credere che la nave fosse stata un asteroide dal momento che fu ritrovata praticamente intatta, quando se fosse veramente piovuta dal cielo a velocità super soniche non ne sarebbero rimasti che inutili brandelli poco più grandi di un francobollo? Il mistero continuava.

Intanto gli strumenti recuperati vennero stoccati in chiesa, aspettando gli eventi. La musica che ne sarebbe uscita avrebbe in parte risposto a quelle domande. Per fortuna Cabral prese la decisione giusta. Mettere strumenti dalle potenzialità infinite nelle mani di bambini che avevano nei geni la propensione al ritmo ed alla musica (attività risalente a secoli prima e prevalente sull'isola) ma erano abituati a cavarsela con una strumentazione semi-primitiva e rigorosamente acustica (vuoi mettere un moog?) accese una miccia senza precedenti. Ragazzi e ragazze abituati a battere le mani al ritmo complesso della morna lo avrebbero potuto fare, all’improvviso con una drum machine ed un sintetizzatore precipitati da un velivolo russo, o da un’asteroide. Non ne avrebbero più fatto a meno.

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Americo Brito

Il disco prodotto da Analog Africa è un oggetto misterioso tanto quanto la storia che si porta con sè. Racconta di come cambiarono le coladeras una volta transitate per via di strumenti del futuro attraverso il lavoro di arrangiatori geniali come Paulino Vieira, Elisio Vieir, Tschiss Lopes. Una volta trattate con i nuovi macchinari quelle canzoni d’amore e malinconia avrebbero forse potuto fare ritorno sulla stella dalla quale piovvero, fino a quel punto remoto dell'oceano. Le musiche qui contenute sono un tesoro misto di funk tropicale, terzine ad alta ripetitività psichedelica e incastri che solo l'inspiegabile miscellanea di destino, circuiti stampati e ingegno africano possono spiegare, almeno in parte.

Musiche che tra l’altro sembrano registrate ieri, anzi oggi, ed invece hanno quasi 50 anni. Per il resto è una meraviglia pura da godersi fino allo sfinimento senza fare troppe domande, magari proprio guardando il mare, in attesa magari che un altro cargo piova dal cielo e salvi il nostro triste presente musicale.

Piero apre abitualmente le menti su Radio Blackout e Karaoke, 'zine di non-cultura e merda music.