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Musica

La vita dopo le major

Come si sopravvive dopo che la tua etichetta ti dà il benservito? Ce lo raccontano Azealia Banks, Oh Land, Little Boots e JMSN.

Nel 2002 la Virgin Records ha lasciato a casa Mariah Carey, recidendo il suo mega-contratto di quattro album dopo che la star ebbe una crisi di nervi abbastanza potente che la portò a fare un mezzo flop con il suo album Glitter—erano tempi in cui 500.000 copie vendute erano considerabili "un flop". Mariah fu liquidata con poco più di 26 milioni di euro, quasi subito dopo, fu pronta a firmare un altro contratto multimilionario, stavolta con la Island Records. Non si è mai visto un crollo di nervi così prolifico. D'altronde stiamo parlando dell'universo di Mariah, fatto di glitter e bollicine, ma la realtà per la grande maggioranza degli artisti che si trovano col culo a terra dopo essere stati mollati dalle loro label è ben più grigia.

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Nel 2015 la situazione è un po' diversa: firmare con una major tipo Universal, Sony, Warner o qualsiasi altra loro succursale è un po' come prendere il proprio stipendio, portarlo in ricevitoria scommesse e puntare tutto su un cavallo che quasi sicuramente perderà. E promettere a tutti che li porterai in crociera con i soldoni che sicuramente otterrai da questo affare.

Ultimamente, una schiera di artisti promettenti—Heavenly Beat, Bebe Black, Chloe Howl—sono stati mollati dalle loro label. L'artista, che fino a poco fa sembrava molto in voga, Eyedress mi racconta che è da poco stato lasciato a casa dalla XL Records proprio nel bel mezzo della stesura del suo nuovo album. Ma in che modo un artista viene cacciato o anche solo invitato ad andarsene dalla sua etichetta? Perché succede e come si fa a rialzarsi da questa caduta? Ho deciso di contattare un po' di artisti che sono stati sfanculati di recente per chiedere loro direttamente cosa si prova a ricevere il bacio della morte dell'industria musicale.

Quando un artista viene mollato è spesso, di conseguenza, stigmatizzato. Questo perché si crede che sia stato lasciato a casa per inettitudine. O perché uno è petulante, o perché non vendeva granché oppure, questa è la credenza più comune, perché non era bravo abbastanza. La verità, però, è che essere mollati da una label non è sempre così univoco come sembra, non è come quando ti licenziano. Molto spesso l'artista in questione si vede cacciato da un nuovo management, tagliato fuori da programmi che vedono altro come "prioritario", o semplicemente trascinato in una spirale talmente buia di "costi che si impennano" da vedere la sua uscita di scena come l'unica soluzione decente possibile.

"Il mio primo contratto probabilmente l'ho firmato in un ristorante mega figo, brindando con lo champagne, mi sentivo veramente ARRIVATA," mi racconta sorridendo Victoria Hesketh, in arte Little Boots. La cantante electro-pop, ora manager della propria label, si è separata dalla sua ex etichetta Atlantic Records a causa di disaccordi—"Volevano che io ripetessi esattamente quello che aveva funzionato la volta prima" ha raccontato a Fuse nel 2013—riguardo alla direzione che la sua carriera avrebbe preso dopo il debut album. "L'ultimo contratto, invece, l'ho firmato dopo i controlli di sicurezza all'aeroporto di Stanstead. Il mio primo contratto, a posteriori, era una roba terribile, e forse se avessi letto il testo scritto in minuscoli caratteri non avrei nemmeno firmato."

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Non è un segreto che il modo migliore per avere una lunga e florida carriera sotto una major è sensibilizzarsi all'ammontare dei soldi che vi vengono spesi. Solo che parecchi artisti non sentono che tutti quei soldi spesi sono sotto il loro controllo. "Per il mio primo disco probabilmente ho fatto più di un milione," afferma Little Boots, "ma il mio conto era ugualmente in rosso, perché hanno speso un sacco di soldi di marketing, e questo non era sotto il mio controllo. Quindi non sei un loro business partner, è più come se qualcun altro controllasse i tuoi affari e lo facesse pure male."

Hesketh si è trovata impigliata in un "accordo a 360", che era un concetto abbastanza fresco quando ha firmato, ma da allora è diventata la norma dell'industria musicale. I termini cambiano da contratto a contratto, ma in sostanza questi accordi danno una fetta di ogni cosa che fai come artista alla tua label, che si tratti di vendite, di rendita del tour, del merchandising o di qualsiasi forma di pubblicità in cui sei coinvolto. Visto superficialmente, questo accordo sembra anche non male, ma ad alcuni il coinvolgimento estremo della label in ogni passo che fanno sembra un po' troppo, come nel caso di Little Boots.

"Prendevano parte del profitto di ogni singolo lavoro nell'industria dell'intrattenimento che avesse il mio nome o potesse esservi coinvolto," ci spiega Little Boots. "Fai concerti del cazzo, marchette, per ripagare il debito infinito in cui qualcun altro ti ha infilato. I soldi guadagnati dal mio album venivano spesi per pagare hotel a cinque stelle per dirigenti o per fare regali a gente del marketing. Senza il mio permesso, spendevano i miei soldi per cose che nemmeno mi sarei mai sognata."

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Per altri artisti, la causa fondante del loro allontanamento dalle major si può far risalire alla natura effimera dei corpi dirigenti delle label. E in effetti una delle situazioni in cui ci si trova più frequentemente è vedere che coloro che avevano originariamente scritturato gli artisti, a un certo punto si vedono rimpiazzati da altri che non concordano con la loro linea.

"Questa è una storia che si ripete molto spesso," mi racconta Nanna Øland Fabricius, artista danese più conosciuta come Oh Land. "La gente con cui stavo lavorando è stata mandata via, tutto il sistema è stato resettato e ogni figura rimpiazzata—nuovo presidente, nuovo capo delle PR, nuovo reparto marketing, tutto nuovo. All'improvviso c'era tutta sta gente che nemmeno sapevo chi fosse. Mi vedevano e dicevano 'carina, però sarebbe meglio se facesse questo anziché questo', come se fossi una specie di capsula di cui loro potessero tranquillamente rimpiazzare il contenuto. Ero gli avanzi della dirigenza di prima e qualcuno, là dentro, è stato incaricato di buttare la spazzatura."

Oh Land dice che trasferirsi in America e firmare con la Epic Records/Sony Music all'inizio è stata una figata. "Non conoscevo nulla dell'industria musicale, era tutto come in una favola. Un sacco di gente attorno a me mi dimostrava scetticismo ma per me era tutto WOW! Avevo un team incredibile e per me era la giusta combinazione tra fortuna e fare cose che davvero mi facevano sentire bene." Dopo che quel dream-team è stato fatto fuori dall'etichetta, smettendo letteralmente di risponderle al telefono, Oh Land ha cercato di continuare a lavorare con le nuove regole della stessa label.

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"Ero volonterosa, volevo far funzionare le cose e giocare alle loro regole anche se non mi andavano certo bene. Magari abbassando la testa sarei giunta a compromessi validi per tutti. Mi facevano andare in giro per conoscere tutti sti producer di cui mi fregava poco. Ho provato a considerarla un'avventura, ma ho finito per mettere in dubbio anche me stessa. In pratica volevano farmi diventare un clone di Ke$ha.”

La frattura è avvenuta quando si è confrontata direttamente con il presidente della sua etichetta, la sua risposta, secondo il racconto di Oh Land, è stata: "Non me ne frega un cazzo del Coachella, voglio un pezzo in top 10." Dopo quella riunione, Oh Land afferma di essersi sentita "Un po' una prostituta." A quel punto chiese di poter finire il suo album con Dave Sitek, "il che è stato equivalente a licenziarmi—era chiaro che le acque si erano divise e che non avremmo potuto lavorare insieme."

All'inizio trovare una major che rispondesse alle mie domande, sembrava un'impresa impossibile. Un ragazzo che ci lavora mi ha detto, in sordina, che "Qui è un argomento taboo. Quando uno viene sbattuto fuori nessuno è autorizzato a nominarlo, mai più!" Quest'attitudine estremistica si traduce immediatamente nella percezione che la stampa e il pubblico hanno dell'artista che è stato scaricato, che viene etichettato quasi subito come materiale di scarto. Little Boots aveva timore ad recidere il contratto con la sua label, e le ci è voluto un po' per tirarsi di nuovo insieme e capire cosa avrebbe dovuto fare, "Ci vuole forza, determinazione e bisogna credere in se stessi, so che suona semplicistico, per tirarti su e trovare il modo per mettere a posto la situazione con le proprie energie e basta." La verità è che solo perché una persona ha visto incrinarsi le proprie relazioni con gli alti gradi dell'industria musicale non significa che non abbia una fanbase solida. Azealia Banks ha scazzato con la sua label, eppure è riuscita a tenere i diritti dei propri pezzi e ora ha fatto uscire un album da sola e a raggiungere posizioni soddisfacenti nelle classifiche.

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"Alcuni degli artisti più fighi con cui abbia mai lavorato sono stati, almeno una volta, sfanculati da un'altra label" mi racconta il Presidente del reparto musica di Virgin EMI, Mike Smith, uno dei pochi che si sono presi un attimo per parlare con me. Per lui è importante che dibattiti di questo tipo siano trasparenti. "Ho messo sotto contratto Mark Ronson dopo che era stato buttato fuori da Elektra. Lì vendeva sulle 40.000 copie, qui ne vende milioni. Posso capire che per alcuni artisti un rifiuto del genere sia totalmente negativo, capisco che si può entrare in una spirale depressiva. Credo che sia per questo che può diventare molto dura. La cosa importante da ricordare è che se sei riuscito a farti mettere sotto contratto una volta è molto probabile che ci riuscirai una seconda."

La convinzione delle major è che i manager dovrebbero far sì che grandi somme di denaro vengano spese per il disco, e che più soldi si ottengono da una label più grande è l'impegno di questa nei confronti dei suoi artisti, ma Mike dice che non è esattamente così. "L'etichetta," mi spiega, "si impegnerà nella misura in cui ci sia una forte convinzione che il disco possa avere successo, ma non perderanno la testa per qualcosa che non funziona. Un artista che ha un contratto di mezzo milione di dollari non riceve più attenzione, da parte della label, di uno che ha firmato per 50.000. La priorità viene data piuttosto a chi ha la maggiore chance di successo."

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Su una cosa Smith è molto chiaro, ossia che ogni artista deve stabilire il proprio grado di autonomia, in modo da non dipendere completamente dalla label. "Ora più che mai è compito del manager di un artista trovare il modo di tutelarlo al meglio. Più un artista può lavorare in autonomia, più forte sarà. Perché spesso succede che un artista riponga totale fiducia nelle possibilità che la label gli apre ma non abbia molte altre prospettive."

In pratica, ogni volta che un artista si impegna con una major, allo stesso tempo è necessario che rimanga con i piedi per terra e che abbiano sempre molto chiari i propri obiettivi. Firmare un contratto non è altro che una negoziazione, molto spesso invece si crede sia un biglietto di sola andata per il successo. Quest'attitudine viene richiamata da JMSN, l'artista di albanese-americano Christian Berishaj. Alle spalle ha due "divorzi" da etichette (sotto il moniker di Christian TV), prima di trovare il meritato successo con il nuovo alias e con la propria etichetta White Room Records. JMSN sostiene che le label stiano adottando oggi un nuovo modello di business, finalizzato a tagliare investimenti e costi da parte della label, e capitalizzando un successo autogenerato dall'artista stesso.

"Un artista arriva al punto che si potrebbe benissimo sostentare da solo, ed è in quel momento che arriva la label. Arriverà il giorno in cui gli artisti si renderanno conto che il motivo per cui una major si interessa così tanto a un artista semi-affermato è il potenziale di rendita che può ottenere, senza fare nulla, da un artista che otterrebbe per sé dieci volte tanto se rimanesse svincolato da contratti," ci racconta JMSN. "Prendi ad esempio Chance the Rapper, gli sono stati offerti milioni e lui li ha rifiutati perché ovviamente se ti offrono un milione di dollari le label sono consapevoli che possono ottenere dieci volte tanto da te. Quando parlo con le label chiedo sempre: 'Cosa potete darmi voi che io da solo non potrei darmi?' e spessissimo dall'altra parte la risposta è vaga, quasi volessero eluderla. Di solito rispondono che possono garantire la diffusione in radio. Chi cazzo ascolta la radio per scoprire nuova musica? Oggi i tempi sono cambiati."

Oggi i tempi sono davvero cambiati ed ecco perché label come la Kobalt (con cui lavorano oggi sia Oh Land che Little Boots) stanno prendendo piede, dato che i loro contratti molto più flessibili e i servizi maggiori che offrono (per distribuzione, coordinazione, pubblicità, management e altro) aiutano davvero gli artisti a crescere, pur rimanendo in controllo del profitto concreto del proprio lavoro.

Oh Land dice che ciò che ha imparato dalla sua esperienza con le major è molto importante per la sua carriera artistica di oggi, ma non ridarebbe mai indietro la libertà che ha acquisito. "Ora posso davvero fare ciò che voglio, non devo soddisfare altri se non me stessa e i miei ascoltatori. Le loro opinioni per me sono fondamentali, non devo mettere qualcosa in un album perché sono costretta da scelte politiche altrui o marchette che devo fare per forza a un producer X. Non è con questa mentalità che ho iniziato a fare musica, ho anzi sempre pensato che la musica fosse libertà e quando ti allontani dalla libertà perde di ogni valore."

In realtà, le storie di artisti che vengono mollati dalla propria major sono tante, sempre di più, per come va il mercato musicale ai giorni nostri, ma questo non significa che quell'artista debba essere sfanculato anche dal mondo della musica in generale. Grazie alla rivoluzione digitale c'è un intero mondo di opportunità e avventure là fuori per i musicisti contemporanei, una volta che ci si concentra su come sostentare la propria carriera artistica più che su come ottenere il più possibile il più velocemente possibile. Oltretutto magari la fuoriuscita violenta dall'utero della major in molti casi si trasforma in un passaggio in più della carriera di un artista, che lo porterà a crescere su più livelli.

In molti hanno accettato di parlare con me per questo articolo, ma all'ultimo hanno declinato. Non ce l'ho con loro, li capisco, a nessuno piace raccontare delle proprie sconfitte, ma condividere le proprie esperienze può essere un mezzo potente per cambiare le cose. Quindi se vi capita di pensare di non poter avere possibilità nel mondo della musica se non siete sotto contratto con una major o se avete paura dei giorni in cui a nessuno sembra importare un cazzo di voi, sappiate che non siete soli, anzi, che siete in compagnia dei più insospettabili, e che, se questa storia ha una morale, è che il rifiuto del grande mercato non deve buttare giù nessun artista volenteroso.