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Musica

Come la Chill Out Zone ci ha resi tutti dei drogati

E ci ha insegnato un sacco di cose sul futuro. Un tributo non-nostalgico a uno dei migliori show di MTV Europe.
chillout zone mtv

Gli articoli di musica che si basano sulle memorie nostalgiche di chi li scrive sono quasi sempre un po’ una merda. Anzi, diciamo che in generale la nostalgia è un po’ una merda. È come ammettere a se stessi di non avere né la capacità di provare lo stesso interesse e la stessa passione per qualcosa che hai perso, o che non hai nemmeno mai vissuto. È anche come ammettere di non avere le capacità necessarie a farle risorgere nel tuo ambiente con nuovi presupposti, al limite come una patetica rivisitazione. Detto questo, ci sono comunque un sacco di lavori artistici che sono fighi proprio perché basati sulla nostalgia e sul sottile senso di colpa inconscio che questa si porta dietro nelle menti degli inconsapevoli romanticoni.

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In particolare ce ne sono alcuni che fanno riferimento a grandissimi momenti di euforia ed energia, e ai conseguenti traumatici ritorni sulla terra. Per dire: The Death Of Rave di Leyland Kirby, dedicata in più di un senso a tutto quello che c’è stato dopo l’energy flash dei primi anni Novanta, come se alla botta estatica dell’epoca fosse seguito un lunghissimo down storico, la depressione decennale dopo una festa durata più o meno cinque anni. Insomma, come se il “dopo” di ogni festa fosse stato posticipato generazionalmente. Ecco, appunto: considerato che ultimamente la nostalgia ha acquistato un suo significato culturale molto particolare, ne acquista di molti altri anche il tentativo farne a meno, per quanto si viva oramai innegabilmente in un epoca che è l’after di ogni grande narrazione. Il problema è che nessuno prova mai a scovare il potenziale liberatorio che ci sarebbe nella fine delle narrazioni (o fine della storia). Nessuno capisce che “tutto è stato fatto” è in realtà un nuovo livello di tabula rasa formale.

Con questo voglio parzialmente giustificare il fatto che sto per raccontare una mia remota esperienza d’infanzia ma cercherò di non essere nostalgico nel raccontarla. In realtà la storia in questione ha proprio a che fare con l’after e con lo stato mentale di after culturale più di quanto possa parzialmente pensare. Almeno credo. Io in realtà non c’ero, o meglio: non avevo gli strumenti per fare davvero parte della cosa. Trattasi della Chill Out Zone di MTV, che oggi voglio incolpare anzi ringraziare per averci trasformati tutti in dei drogati. O almeno per avere trasformato me in un drogato, e per avere gettato già allora le basi della post-hauntologia di oggi.

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La prima cosa di cui non voglio essere nostalgico è MTV, la MTV che ancora si occupava prevalentemente di musica: perché ho ancora dei (banali) sentimenti profondamente critici rispetto all’esistenza stessa di un mass media del genere (anche del genere di allora, intendo). Allo stesso tempo sarebbe idiota essere nostalgici di quello stesso odio radicale che un tempo era legittimo provare per MTV come macro-entità. Era una grossa merda, sì, ma comunque conteneva nel suo palinsesto delle gran figate. Chill Out Zone ne era sicuramente una, perché andava in onda di notte e su MTV le figate andavano di notte.

Notte fonda, appunto, perché la natura del programma stava tutta nel rivolgersi a un pubblico di clubber che dovevano farsela scendere. Di sabato, subito dopo un programma chiamato Party Zone e ovviamente con la musica più adatta allo scopo. Credo che MTV Italia abbia iniziato a trasmetterlo più o meno dalla sua nascita, dato che era uno di quei programmi che venivano importati pari pari dalla controparte UK, che tanto non contenevano neanche un minuto di parlato. Io suppongo di averlo incrociato per la prima volta nel ’97.

Il contenuto sonoro era assolutamente frutto della sua epoca, dell’attenzione maniacale per le interazioni tra gli input chimici e quelli sensoriali, prima che sorpassassimo la soglia di guardia della saturazione di informazioni e diventassimo davvero immuni agli sbalzi di emozione, anche quelli drogati. Prima che la fattanza e la relativa paranoia smarrita diventasse socialmediatica. Il piatto forte era quella che all’epoca ancora si chiamava ambient-house: musica che occupava le ambient room, che se in italia non erano particolarmente diffuse, certo lo erano nei club di Londra, Berlino e Amsterdam: sale in cui non affaticare il corpo mantenendo la mente stimolata in maniera differente, psichedelica in senso classicamente meditativo, su di un percorso segnato dagli arpeggi liquidi e dai droni ereditati dall’elettronica degli anni precedenti, rivisti alla luce della nuova scansione techno, house e jungle: non-binaria e urgente.

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In questo modo veniva un po’ tradita la funzione originale dell’ambient, soprattutto andava a puttane l’idea originale di Brian Eno di collocare le ambient room in luoghi pubblici della vita quotidiana. Per molti critici questo tradimento è stato un bene: l’ambient avrebbe altrimenti rischiato di trasformarsi in una forma ipocrita di new muzak. I club erano, invece, ancora spazi liberati dalla quotidianità, piccole eterotopie, e la programmazione notturna di MTV aveva la pretesa di essere la stessa cosa per la televisione: un’incursione di contenuti psichedelici legati indissolubilmente a una visione ottimistica e libertaria del consumo di droghe, dentro un media assolutamente mainstream. Impossibile da spettacolarizzare proprio a causa del suo orario di messa in onda.

In effetti, a ripensarci, è sbalorditivo il candore controculturale con cui si affrontava l’argomento droga—o quantomeno l’argomento “alterazione della percezione”—ai tempi, roba che oggi sembra essere diventata quasi taboo, quasi a volere distanziare il più possibile il mondo del clubbing dal linguaggio dello sballo, specie quello positivista fricchettone. Questo per vari motivi: anzitutto garantire la sopravvivenza dei club stessi, ma anche perché l’ansia sociale contemporanea non lascia spazi temporali alla psichedelia, in qualche modo sostituendosi essa stessa come psichedelia negativa. La chiave starebbe, come detto prima, nel rovesciarla dal suo interno e riprendere in mano il proprio no future. Ma torniamo al programma.

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La heavy rotation del programma di solito presentava tre nomi più di tutti gli altri: Orb, Future Sound Of London e Biosphere, con attorno un cast variabile di selezioni che poteva comprendere tanto Aphex Twin quanto svarioni molto più sperimentali: i Coil di Love’s Secret Domain erano di casa, così come i Pan Sonic (ancora noti come Panasonic), Alec Empire e addirittura Scanner. Ma passava anche roba presa bene tipo Transglobal Underground e così altra assai più random tipo sottoprodotti pop della trance più becera (Enigma… urgh); per rendere il tutto più fruibile, ci mettevano anche cose che all’epoca spopolavano alla grande, come la generazione trip hop classica, i Moloko o perfino Björk.

Qualche folle ha fatto un sito dalla bellissima grafica anni Novanta in cui raccoglie playlist di praticamente tutte le puntate in tutti i paesi d’Europa. Eccovi un esempio di playlist che io infante mi posso sicuramente essere beccato, un sabato sera alle 4 di notte, mentre i miei pensavano stessi dormendo:

THE ORB - "Asylum" - (Orblivion)
HEADPHONES - "Words"
MOLOKO - "Where Is The What If The What Is In The Why?" - (Do You Like My Tight Sweater?)
ROCKERS HI-FI - "Going Under (Kruder & Dorfmeister Solid Version)" - (The K&D Sessions)
DREADZONE - "Captain Dread" - (Second Light)
THE BUBBLEMEN - "The Bubblemen Are Coming!" - (The Bubblemen Are Coming! EP)
MOUSE ON MARS - "Cache Coeur Naïf" - (Rost Pocks - The EP Collection)
DEAD CAN DANCE - "The Host Of Seraphim" - (Taken From The Film "Baraka" / The Serpent's Egg)
SNEAKER PIMPS - "6 Underground" - (Becoming X)
ETHER REAL - "Zap"
BARNES & BARNES - "Fish Heads" - (Voobaha)
DUB PISTOLS - "Westway" - (Point Blank)
NATURAL ESSENCE - "Injury" - (Injury / Overthrow EP)
KRAFTWERK - "Telephone Call"
EINSTÜRZENDE NEUBAUTEN - "Blume" - (Tabula Rasa)
HELGE SCHNEIDER - "Fitze Fitze Fatze" - (Da Humm!)
BETH ORTON - "She Cries Your Name" - (Trailer Park)
CESARIA EVORA - "Petit Pays"
HEX - "Global Chaos" - (From The Longform Video "Global Chaos" / Soundtrack To Global Chaos)
COIL & ROSE McDOWALL - "Windowpane" - (Love's Secret Domain)
FUTURE SOUND OF LONDON - "Cascade" - (Lifeforms)
THE JUNGLE BROTHERS - "Straight Out Of The Jungle" - (Straight Out Of The Jungle)
THE ALOOF - "Favelas" - (Cover The Crime)

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Come si può ben vedere, c’era della merda random e pure cose che ascoltate oggi sono parecchio cheesy, ma soprattutto roba che già allora appariva impensabile beccare in televisione, con un discreto eclettismo che appariva comunque molto coerente. Addirittura passava roba tratta da Global Chaos degli Hex, che non erano assolutamente dei videoclip canonici, bensì un mediometraggio di esperimenti elettronici psicoattivi, dichiaratamente imbevuto di LSD e MDMA. Il seguito radicale di quanto già fatto dagli Stakker. Rappresentava un po' il versante estremista dell'immaginario che veniva costruito in quasi tutto questi video: tra i primi splendidi accenni di computer graphic, granulosi e goffamente intenzionati a ridurre l'universo a una combinazione di poligoni.

Chill Out Zone sembrava predire il futuro, e in gran parte lo fece: o la visione anni Novanta—che nessuno voleva decidersi a dichiarare utopia o distopia—si è in gran parte consumata, e il mondo di oggi si conforma in una maniera a un tempo imprevedibilmente simile e terribilmente diversa dagli spauracchi cyberpunk. C’è però voluto più del previsto, siamo dovuti passare prima per un decennio reazionario di paura del futuro, di fuga dallo shock tecnologico. E infatti, verso il 2005 la maggior parte delle filiali europee l’accannarono completamente, tranne alcune che iniziarono a trattarlo come una roba (appunto) per nostalgici e a fare playlist identiche a quelle che nel ‘93 erano zeppe di roba nuova. Nei Balcani dura ancora oggi, mentre in Italia, quando fu la redazione locale a prendere in mano la programmazione, fu il disastro completo. Non a caso, già verso il 2001 la versione madre (quella Inglese) dello show aveva iniziato a ripiegarsi su se stessa: ammucchiando roba a caso che stava già nella programmazione diurna, e spostandosi più su generi che insistevano col ritorno alla forma canzone. Era l’epoca dell'affermazione della nostalgia, della new sincerity e della guerra al terrore, paradossalmente affiancate da una costante ironia vigliacca, l'epoca delle neo-chitarrine e del ritorno all'analogico a tutti i costi, nonché l’epoca in cui il divario tra club e sperimentazione si stava facendo bello netto.

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Il fatto è che, come dicevamo in apertura, nel decennio post-9/11 si è dovuto iniziare a fare davvero i conti con la fine della storia, con l’after e il down dell’infinito presente. E soprattutto col fatto che questa non rappresentasse affatto una risoluzione dei conflitti umani. Stiamo mostrando solo ora i primi segni di adattamento, e la musica elettronica sta in qualche modo facendo da cartina al tornasole. Quella musica che nel decennio Novanta nasceva con l’idea di essere già altro dell’altro, perennemente fuori da sé e fuori dal posto assegnato, si è infatti infiltrata in praticamente ogni lembo del suono da club: è come se ogni genere di dance, oggi, abbia in qualche modo consapevolezza della sua fine e ci si confronti con un senso di spaesamento malinconico ma non del tutto triste, paradossalmente anticipandola dentro la sua stessa natura, in modo da non farla mai arrivare davvero. Con il rimbalzo da irrealtà a iperrealtà del proprio mondo. Non importa quanto si picchi duro, è un modo di relazionarsi con lo spazio dei suoni che oggi è reso possibile dalla tecnologia, e dai nuovi standard di definizione del suono. Ascoltare musica oggi vuol dire avere a che fare con un suono che è contemporaneamente tangibile con tutto il corpo, quanto digitalmente finto, materialmente impossibile.

A mio parere stava già tutto lì: ci veniva offerto da un canale televisivo internazionale qualcosa che faceva da intersezione tra l’eterotopia e la realtà, che riusciva a sovrapporre le estremità di mondi che invece si scontravano tra loro. Per chi lo guardava di nascosto durante l’infanzia erano ancora entrambe una specie di sogno: la consapevolezza di una routine vera e concreta, quella di cui si vivono davvero le conseguenze, doveva ancora arrivare, e così anche ogni tentativo di evasione. L’idea di psichedelia era ancora più bella: un gioco interminabile e sempre nuovo, ancora da venire. Non ho idea di quanti fossero quelli come me che sgranavano gli occhi davanti a quella musica incomprensibile e a quelle immagini incomprensibili, ma sono sicuro che abbia ampiamente nutrito i loro cervelli. La generazione di artisti che faceva capolino in quei video aveva già, senza saperlo, in testa una serie di spunti che possono essere importantissimi da applicare oggi. Niente è vero, tutto è permesso.

Già che c’ero, comunque, ho messo su la playlist (video) di un’ipotetica Chill Out Zone del 2015. Provate a guardarla e ascoltarle con i sensi critici della psichedelia raver che non c’è più, insieme allo spirito da “club che non c'è” che conosciamo oggi.

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