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Musica

Chi può essere il Justin Bieber italiano?

Justin Bieber non è più una teen star ma una forza del pop americano: chi, in Italia, può ambire a raggiungere le stesse vette?

Chance the Rapper con il Biebs e bucket hat annesso al Coachella del 2014

Il 2016 è ufficialmente l’anno in cui non ha davvero più senso odiare Justin Bieber. Quando, cinque anni fa, “Baby” iniziò ad infestare le radio era piuttosto facile convincersi che il prepubescente biondo canadese fosse solo l'ennesimo trigger ormonale per ragazzine e che avrebbe presto fatto il suo tempo. Poi, invece, le cose sono andate in modo molto, molto diverso. Insomma, Timberlake sembrava un generico membro di boyband ai tempi degli N*SYNC ed è diventato prima un grande interprete pop e poi un rispettato intrattenitore tout court. Allo stesso modo, Bieber è finora riuscito ad evitare scivoloni, dimenticatoi ed eccessivi guai con la legge evolvendosi da "ragazzino odioso #6738" in entità da prendere sul serio quando si tratta di descrivere il pop contemporaneo. In particolare Purpose, il suo ultimo album, è stato un punto di svolta in questo processo di affermazione. Dopo il blando teen pop dei suoi esordi e il misto tra EDM, hip-hop ed R&B che supportava i pezzi di Believe, i suoi produttori sono riusciti a costruirgli quello che sembra un suono, per la prima volta, totalmente "suo". Grande merito va a Diplo e Skrillex, che gli hanno aperto i cancelli dell'approvazione critica con "Where Are Ü Now", il pezzo perfetto per avere successo nella contemporaneità: un miscuglio tra le suggestioni etno-generiche dei Major Lazer, la brostep diluita dell'ultimo Sonny Moore e il pop da manuale alla Max Martin; e un video (per una volta) semi-artistico senza le solite scene in cui la popstar-protagonista si limona una modella mentre alcune moto da cross saltano in testa ai ballerini di breakdance.

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Altro fattore fondamentale in questo inaspettato successo di Biebs è il suo coinvolgimento nella scena hip-hop d'oltreoceano, che gli ha quindi fatto acquisire una progressiva aura di legittimazione in ambiti anche lontani da quelli che teoricamente dovrebbero essere "suoi". Se da un lato ci sono sue apparizioni su pezzi di Travis Scott assieme a Young Thug e collaborazioni con Future, Lil Wayne e Big Sean, dall'altro si è sviluppata quella che sembra essere un'amicizia a tutti gli effetti con un nome tutto tranne che riducibile al paradigma del rapper-ricco-e-criminale che è Chance the Rapper. I due si sono scambiati favori: Biebs sale sul palco con Chance introducendolo a un pubblico enorme, l'MC di Chicago gli dona un minimo di street cred apparendo sui suoi pezzi e contraccambiando l'invito. E i primi vagiti di questa affermazione erano già arrivati nel 2012, quando in "Believe" erano apparsi Drake (che aveva avuto pure un cameo nel video di "Baby") e Nicki Minaj, al tempo sotto i riflettori di Pink Friday: Roman Reloaded.

Inaspettatamente, Bieber è diventato una sorta di fulcro attorno a cui ruotano le teoriche future sorti del pop americano, in un ambiente in cui il rap e la sua estetica stanno diventando sempre più preponderanti rispetto alle chitarre e ai giubbotti di pelle e/o all'EDM ormai stanca che sopravvive, tenace, nelle canzoni di Guetta per l'Europeo. Il merito è, probabilmente, del suo manager Scooter Braun, che gli ha creato attorno un giro di produttori e collaboratori azzeccato a tal punto da renderlo non solo continuamente venerabile da quello che è stato il suo target originale, cioè la fetta teen del mercato, ma soprattutto digeribile da qualsiasi tipo di ascoltatore—noi compresi. Insomma: Biebs è, per adesso, la realizzazione del concetto di musica popolare nella contemporaneità.

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A questo si è unita quella che potrebbe essere definita una riuscita operazione di pentimento mediatico atta a far dimenticare gli arresti, le pisciate ignoranti e i video leakati dalle tipe. Biebs ha fatto un Carpool Karaoke stupido con James Corden, si è messo a piangere dopo essersi esibito ai VMA, è andato da Ellen come ospite apparendo lucido e umano. "Se fossi arrivato in quest'industria da bambino senza poi mai fallire in niente", ha dichiarato l'anno scorso in un'intervista a Complex, "la gente si sarebbe detta: 'Ma chi è questo? Non è una persona in cui ci possiamo identificare.' Ora sono passato attraverso un po' di merda, ne sono uscito, e mostrerò a tutti quanto le cose potranno migliorare."

Though the heartaches remain / I'll do my crying in the rain

In tutto questo, ammetto che la mia conoscenza del pop italiano di oggi sia lacunosa—d'altro canto, non che prendere seriamente le proposte delle nostre major sia un prospetto allettante, dato l'ambiente generalmente derivativo, nepotista e tradizionalista in cui queste operano. Per le cose che abbiamo detto finora, Justin non ha certo bisogno di fare il tormentone estivo sponsorizzato dall'equivalente americano della Peroni. Mi sono quindi chiesto, senza particolari obiettivi, chi tra i giovani ragazzi fighi dalle belle voci che animano le nostre sessioni di shopping da Pull&Bear possa ambire, anche solo minimamente, al titolo di Bieber italiano, e se ascoltandoli potessi trarre qualche conclusione sullo stato del pop maschile italiano del 2016. Mi sono quindi armato di una bella sessione privata su Spotify, e mi sono messo ad ascoltare.

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Metodologia: Ho ascoltato le cinque canzoni più ascoltate degli artisti trattati su YouTube e Spotify per calcolare in seguito, in maniera assolutamente precisa e scientifica, la Bieberità di ognuno di loro—espressa in una scala da uno a dieci Bieber(s).

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STASH DEI KOLORS

Almeno Biebs non si fa davvero le foto coi fan, mica fa finta nei servizi fotografici

L'altro giorno ho conosciuto il tipo che fa ufficio stampa ai Kolors, che mi ha rivelato quanto Stash Fiordispino sia una persona che ne sa di musica e non un coglione: ascolta gli Art Brut e tutto il britpop dei 90s, ad esempio. È quindi perfettamente italiano,e non Bieberiano, nel suo avere ancora come paradigma il ROCK e non le cose un attimino più fresche che escono dal resto del mondo. Dalla sua, Stash ha comunque cercato di fare il ribelle per opporsi alla figura del bravo ragazzo perfetto per il TG delle 20: lo sputazzo in camera e il feudo con Mandelli sono già storia del trash, ma per ora non ci sono segnali che facciano presupporre una sua rivelazione in senso bieberiano.
Ulteriore freno ad una sua eventuale ascesa come popstar è il fatto che il nostro amico napoletano si accompagna ancora ad altre due persone, sempre per un discorso di supposta autenticità: "suonano dal vivo e quindi sono bravi". La cosa, in realtà, non sussiste: ma vaglielo a spiegare, a Stash, che i suoi compagni sono solo un fardello che gli impedisce di diventare la popstar che ha sempre voluto essere. O che la sua etichetta vuole che sia.

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Voto: 3 Bieber su 10 per il lato ribelle, e basta.

MADH

A quanto pare Marco "Madh" Cappai, uscito da X Factor due anni fa, non ha una pagina sulla Wikipedia italiana—penso esistesse, ma è stata bloccata per qualche motivo. Il che rende il nostro automaticamente controverso, facendogli guadagnare qualche punticino. Altri ne prende per il suono che a tratti traspare dai suoi pezzi: "Powerlife" (che è probabilmente il nome della sua palestra e/o del suo energy drink prefe) e "Sayonara" suonano decisamente poco italiane e hanno un minimo di influenza dancehall nel cantato, il che è una cosa molto 2k16. Sfortunatamente la qualità dei produttori non è certo paragonabile a quella della gente che lavora con Biebs, e l'effetto è quindi "EDM noiosa e brutta con il drop che hai già sentito 731289 volte dopo il ritornello". "River" ha un pezzo con la vocina campionata alla "Where Are Ü Now", ma risulta il 78% più fastidiosa per il modo in cui questo viene ripetuto senza ritegno per quasi tutta la canzone.
Inoltre, la barbetta tamarra, l'artificialità della sua comunicazione, i testi word salad e il palese lavoro di Photoshop che circonda le foto promozionali del nostro gli tolgono punti. Insomma, Biebs è diventato quello che è cercando di sembrare umano, non facendosi mettere il trucco con la CS6.

Voto: 5 Bieber su 10, per le buone intenzioni.

MORENO

Nonostante la sua etichetta continui a sostenere che Moreno è un rapper ribelle è palese che stia venendo commercializzato e promosso come una popstar ibrida, anello di congiunzione tra il mondo dell'hip-hop e quello delle grandi hit. Ma fermatevi un attimo a pensare: Justin si farebbe mai scattare una foto come quella qua sopra? No. Perché Justin non è un babbo.

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Voto: 0 Bieber su 10 per troppa babbaggine.

LORENZO FRAGOLA

Nonostante Lorenzo Fragola si faccia scrivere le canzoni da gente che lavora per Ellie Goulding, il risultato è dannatamente provinciale e poco aperto alla contemporaneità. Non che il vincitore di X Factor 8 abbia mai fatto auspicare, chessò, una collaborazione con un rapper: ma è inquietante rendersi conto come Fragola sia espressione pura della figura "cantante italiano vecchio travestito da giovane".
"# fuori c'è il sole" innanzitutto non è un hashtag perché ha gli spazi, e pecca di quelle sonorità passatiste che alle orecchie di un discografico significano subito "estate". "Siamo uguali", il suo brano più famoso, ha uno di quei video narrativi mega-scontati che Biebs girava quando era un quindicenne e paga una brutale eredità alla nostra musica leggera, tanto attenta al testo quanto disattenta alla musica e a tutto quello che la circonda—e difatti il suo pezzo per Sanremo, "Infinite volte", potrebbe essere di Baglioni come di Ruggeri come degli Stadio.

Voto: 0 Bieber su 10 per la puzza di muffa.

FEDE DI BENJI & FEDE

Ooooh, qua ci siamo. Un pischello tutto giovane coi tatuaggini e i capelli ciuffati e sparaflashati. La maglietta con i coni gelato fa un po' tamarro ironico, ma allo stile si può sempre lavorare. La voce perfetta e il seguito di ragazzine ce l'ha. Ce l'abbiamo fatta? No, certo che no: perché Fede doveva avere anche Benji, che suona la chitarra, dato che chi da noi decide cosa passa in radio e cosa vende è convinto che, se sei giovane e bello, o devi diventare la versione giovane di un interprete storico della musica leggera o devi usare le chitarre—perché la musica vera si fa con le chitarre, no raga? Magari Fede aveva anche la possibilità di essere un po' Bieber: i testi romanticoni e l'estetica ci sono tutti: ma 'sta chitarrina del cazzo ti fa subito venire in testa le parole "Zero Assoluto". Il che non è affatto un bene, nell'ottica di questa ricerca.

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Voto: 4 Bieber su 10 in potenza, sarebbero stati di più senza Jimmy Chitarra lì accanto.

ALESSIO BERNABEI

Alessio Bernabei, ex cantante dei Dear Jack, ha potenziale: a livello di voce ci siamo pienamente, così come per quanto riguarda il feeling generale dei suoi pezzi. "Noi siamo infinito", la sua hit, ha dei momenti in cui ti viene anche facile immaginartela con una base un po' più internazionale. Poi, certo, dato che dobbiamo tenerlo buono per Sanremo ci hanno messo gli archi e il pianoforte: ma insomma, in mani diverse sarebbe potuto essere un pezzo più accettabile. Peccato che "Io e te = la soluzione" abbassa decisamente l'asticella, essendo una genericissima ballata d'amore d'autore italiana.
Un ascolto veloce dei pezzi del suo album d'esordio non fa che confermare come, per le major italiane, "pop" significhi necessariamente anche "canzone d'autore tradizionale": "L'amore cos'è" ha una musicalità che funziona, alla Tom Odell remixato, ed è stata fatta dal vivo con Fred de Palma—ma ha un'interpretazione vocale sotto naftalina. "Due giganti" ha le terribili, terribili sirene alla Avicii. Peccato, perché i post sulla pagina Facebook di Bernabei non sembrano tutti scritti da un social media manager e contengono frasi come "Molte volte ho paura, mi sento fragile e impotente".

Voto: 5 Bieber su 10 sulla fiducia.

MICHELE BRAVI

Se non cantasse in inglese con l'accento italiano e non se la tirasse con titoli idioti tipo "I Hate Music", Michele Bravi potrebbe probabilmente sembrare adatto ad ambire al ruolo di Bieber de noantri: visino pulito, bella voce, un seguito decisamente ampio e, adesso, un album apparentemente moderno e ben prodotto dopo un paio di dischi che gridavano "Hey, ho vinto un talent show!" Peccato che, in realtà, Bravi sia praticamente uno di quei YouTuber italiani estremamente famosi con video tipo "La mia fidanzata ideale" che dovrebbero far venire un embolo e/o un colpo di sonno ad uno spettatore minimamente dotato di capacità critica. Nei suoi tentativi di apparire genuino e vicino ai suoi fan, Bravi appare brutalmente artificioso. E si merita una sberla.

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Voto: 2 Bieber su 10 per le aspettative disattese.

CONCLUSIONI

Ammetto che, nonostante le premesse non fossero delle migliori, mi sarei aspettato qualcosa di più dai nostri cantanti pop. Magari non nella pratica, dato il sistema immobile e immobilistico che li fa lavorare. L'impressione che ho è che chi scrive, produce e vende i loro pezzi è probabilmente abituato a lavorare secondo logiche prettamente "italiane", quindi atte alla promozione del prodotto-canzone su strutture tendenzialmente anti-progressiste come i festival istituzionali e le radio/televisioni generaliste. La necessità non è quindi quella di innovare o stupire, dato il rischio economico che questo comporta: è più semplice restare nel caldo ventre materno della musica leggera o scimmiottare tendenze ormai affermate oltreoceano semplificandole in formule comprensibili al nostro pubblico.

Per fare un esempio di come funziona il pop moderno nelle altre parti del mondo: Danny L Harle, per dirne uno, potrebbe benissimo scrivere un pezzo per uno dei nomi che appaiono qua sopra: ma non potrebbe certo farlo intavolando un discorso di evoluzione del pop in senso iperrealista, né parlare di artificialità come cifra stilistica e/o nominare parole strane come "J-Pop". Cose che, invece, dove si parla inglese vengono accettate come tendenze positive per l'industria musicale tutta, e vengono quindi incorporate in strutture dove possono, magari, cambiare il corso del pop. Magari no, eh: però un tentativo c'è.

Non abbiamo certo scoperto niente di nuovo, nel dire tutto questo. Ma possiamo anche continuare a spararci in cuffia Biebs e Bey e Riri e Grimes e Taylor Swift e i Major Lazer senza mai esporci a ciò che il nostro paese produce per soddisfare il bisogno di pop della sua popolazione. Lo possiamo continuare ad evitare, o subire passivamente. O possiamo ascoltarlo criticamente, sviscerarlo per tirare fuori la sua dannosissima staticità. Non che qualche articolo possa da solo cambiare le cose—per quello ci vuole qualche alta sfera illuminata, qualche cambio di gusto imprevedibile, o magari solo un po' di tempo e la fine del modello-talent. Nel frattempo, godiamoci quello che succede al di là dell'Atlantico.

Tutto quello che serve a Elia sono a beauty and a beat that can make his life complete. Seguilo su Twitter.