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Musica

La rivoluzione nera dell'afrofuturismo

Da Sun Ra a Young Thug e Missy Elliott: come l'utopia fantascientifica ha permesso ai neri di liberarsi dall'alienazione diventando alieni.

John Boyega in Star Wars VII, Il Risveglio della forza.

Quando ero ragazzina, ogni volta che in TV passava un video di Missy Elliott mi sembrava un giorno di festa. Era come sognare ad occhi aperti un viaggio in uno spazio-tempo sconosciuto. I suoi video erano allo stesso tempo imprevedibili e potentissimi: da "Sock It 2Me" in cui faceva numeri nell'universo di Megaman in compagnia di De Brat, passando per "She's a Bitch" e molti altri. Più tardi il critico Touré parlerà su Vibe della musica di Missy Eliott e Timbaland come di "avanguardia sonora" e "hip-hop sci-fi". Non me ne rendevo conto, ma il mio incontro con Missy Elliott è stato anche il primo passo nel mondo dell'afrofuturismo, un termine definito in questa maniera da Mark Dery in un saggio intitolato Black to The Future che risale al 1994: «L’afrofuturismo è l'appropriazione della tecnologia e dell'immaginario science-fiction da parte degli afro-americani (…) quessta appropriazione equivale a fare uso di strumenti informatici freddi e ostili per trasformarli in armi utili alla resistenza di massa».

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Nonostante il termine "afrofuturismo" sia di conio recente, copre anche una visione che lo precede, fungendo principalmente da strumento critico e collettore di significato. L'immaginario afrofuturista mette in scena alieni e cyborg a rappresentazione, su un modello allegorico, della condizione esperienziale della diaspora nera. Un immaginario nutrito dall'opera di Octavia E Butler, senza dubbio la più importante esponente della letteratura afrofuturista.

Verso la fine dello scorso anno, la presenza dell'attore d'origine nigeriana John Boyega nel nuovo episodio di Star Wars ha provocato una polemica ridicola: il regista JJ Abrams è stato accusato di non riferirsi al "pubblico tradizionale dei giovani uomini bianchi". Questa polemica va inserita all'interno delle baruffe mediatiche che montano intorno ai casi di violenza della polizia sulle minoranze etniche negli Stati Uniti, amplificate dalle nuove tecnologie e dai nuovi mezzi di diffusione delle informazioni. In questo contesto è indispensabile completare il quadro dell'estetica e del significato di afrofuturismo. Non si tratta di una semplice storia di viaggiatori interstellari e creature fantastiche: l'afrofuturismo, lungi dall'essere una teoria estetica dai contorni vaghi, va concepito come una vera e propria visione politica e sociale.

Una figura emblematica dell'afrofuturismo è il musicista Sun Ra—definirlo semplicemente "musicista jazz" sarebbe riduttivo nei confronti della sua opera. Non si sa precisamente dove e quando sia nato, probabilmente in Alabama sotto le leggi Jim Crow. Sun Ra ha creato attorno a sé un personaggio mitologico basandosi sull'estetica del misticismo egizio. Il suo cosmo fantastico non è meno ricco e audace rispetto alla sua musica. Oltretutto, fingeva di essere realmente arrivato da un altro posto: "Non ho mai voluto far parte del Pianeta Terra ma mi trovo condannato a starci. Ogni cosa che faccio su questo Pianeta mi è stata ordinata direttamente dal Maestro-Creatore di questo Universo. Vengo da un'altra dimensione La mia presenza su questo Pianeta si spiega solamente pensando che gli umani hanno bisogno di me." Considerando la posizione sociale nella quale si trovavano gli afroamericani in quel momento storico, le violenze nei loro confronti non potevano che indurre un sentimento di alterità. Questa citazione di Sun Ra simbolizza a pieno la confusione e l'alienazione della comunità nera statunitense.

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Sessant'anni più tardi ritroviamo gli stessi argomenti nell'immaginario di artisti completamente diversi: Lil Wayne ("I am Not a Human Being") e in modo molto più accentuato in Young Thug. Mentre racconta della povertà in cui lui e la sua famiglia hanno vissuto, mentre risponde alle critiche sulla sua identità sessuale e le sue scelte d'abbigliamento, il rapper di Atlanta dice: "Non sono di questo Pianeta, sono stato mandato quaggiù, ma appartengo a un'altra dimensione." Potremmo fermarci qui e attribuire queste parole all'eccessivo consumo di codeina, ma la realtà è che la condizione umana è stata negata talmente tante volte a noi neri che in certe occasioni è più semplice prenderne le distanze in maniera fantastica. Se l'umanità di una persona è una qualità che può esserle tolta o assegnata in maniera arbitraria da parte di gente i cui comportamenti sono spesso disumani, allora perché non sottrarsi a questo gioco fingendo di essere extra-terrestri? Mi seguite?

Lo scopo dell'afrofuturismo non è mai stato semplicemente affrancare i neri dalla condizione umana trattandoli come extraterrestri, ma permette anche di affrontare la complessità dell'identità nera da un punto di vista che prenda in considerazione genere, sessualità e tutto il resto. Questa nuova consapevolezza si vede anche in artisti come Missy Eliott ma anche in Kelis, Janelle Monaé, Erykah Badu e nella stessa Nicki Minaj all'epoca di Pink Friday. Quest'ultima si riappropriava della sua stessa alterità passando per l'alter-ego «robot diva» o Roman Zolanski: era una maniera di liberarsi dei pregiudizi cui lei, come artista, oltre che come donna nera, è necessariamente sottoposta.

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La visione afrofuturista acquista infatti un senso ulteriore se rapportata al femminismo. Ytasha L. Womack, autrice del libro Afrofuturism: the World of Black Sci-Fi Fantasy and Fantasy Culture, spiega che l'afrofuturismo per lei è "altamente intersezionale", perché permette di valutare il campo dei futuri possibili o delle realtà alternative attraverso il prisma della cultura nera. Il femminismo d'ispirazione afrofuturista può ricordare per certi aspetti il cyberfemminismo, una corrente consacrata da Donna Haraway nel 1991 con il suo Cyborg Manifesto, in cu i cyborg non avevano genere, operavano ignorando ogni nozione di razza o di struttura familiare in un futuro votato unicamente al progresso e alle evoluzioni tecnologiche. Le femministe afrofuturiste, in ogni caso, rifiutano una visione utopica semplicistica: "Non vogliamo sradicare il corpo nero o il corpo della donna nera, nemmeno la storia di cui sono testimoni".

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Intellettuali d'avanguardia come Walter Benjamin, Frantz Fanon o W.E.B. Dubois si sono ribellati, in nome del futuro, contro le strutture di potere che controllavano le rappresentazioni e le narrazioni storiche. Oggi, come sottolinea giustamente il professor Kodwo Eshun in Further Considerations on Afrofuturism, «la situazione si è ribaltata. Chi detiene il potere tenta di trarre forza dal progresso, lasciando alla comunità nera l'obbligo di vivere nel passato.»

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Per reazione, Rasheedah Phillips, fondatrice dell’Afrofuturist Affair, crea racconti fantastici revisionisti che ribaltano la storia della comunità nera mettendo gli afroamericani al centro del proprio futuro.

Con lo stesso spirito, Ingrid Lafleur ha creato Afrotopia, un progetto lanciato a Detroit allo scopo di organizzare conferenze, mostre e DJ set sul tema afrofuturismo. Secondo lei quest'aspetto dell'eredità culturale afroamericana permetterà di rilanciare la crescita della sua città natale, ora devastata dalla bancarotta. Nel novembre del 2013, ha partecipato alla retrospettiva Mille ans d’histoire non linéaire presentata al Centre George Pompidou il cui tema era: "scenari alternativi presentati dagli artisti per ripensare il racconto storico". Per Lafleur, «l'influenza dell’afro-futurismo si sentiva anche solo nella scelta degli artisti di decostrure la storia del popolo nero».

L'interesse di Ingrid Lafleur per l’afrofuturismo non ci stupisce. Detroit, la sua città d'origine, è la città in cui è nata la techno, un genere sviluppatosi in rapporto stretto con la tecnologia. Fredda e ostile, Detroit ha tenuto sotto gli afroamericani per secoli, ma questi ultimi erano intenzionati a riappropriarsene per emanciparsi dalla miseria post-industriale della città. Informatica, tecnologia, anticapitalismo, colonizzazione e alienazione sono i temi ricorrenti del genere. Juan Atkins, il patrono della techno, dichiarava ai tempi che «in questo Paese è difficile per un'anima creativa scappare alle maglie del capitalismo».

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È proprio ai margini di questo sistema che è nato il collettivo Underground Resistance, sostenuto dal pensiero di Mad Mike: «Il messaggio è semplice: attraverso suoni e immagini si fa riferimento a coloro che controllano le masse. A chi suona per voi il genere di musica che vogliono che ascoltiate, a chi vi mostra solo i film che vogliono che guardiate—e voi agite di conseguenza (…) La nostra motivazione è la volontà di deprogrammare gli spiriti programmati (…) Juan Atkins mi ha dato la chiave per capire la techno, ed è una frase che il capitano Kirk pronuncia all'inizio di ogni episodio di Star Trek: "dirigiamoci senza paura là dove l'uomo non è mai arrivato". Esplorando insieme nuovi territori troveremo quello che cerchiamo, quel punto dell'evoluzione in cui avremo più rispetto gli uni verso gli altri di quanto oggi ne abbiamo nei confronti del denaro.»

Si passa attraverso questa visione fantasmagorica e pseudo-intellettuale per arrivare a soluzioni reali. L'esigenza di miglior definizione dell'afrofuturismo è stata discussa da Martine Syms nel suo Mundane Afrofuturist Manifesto pubblicato nel dicembre del 2013 sul sito Rhizome: «Non è la volontà di rappresentare spesso l'Altro a renderci alieni. Sono piuttosto le mutilazioni subite dai nostri avi a renderci mutanti». Syms rifiuta l'idea di viaggio nel tempo come soluzione per mettere fine al razzismo, rifiuta l'immaginario composto da universi paralleli e storie revisioniste. Al contrario, è intenzionata a edificare un'opera afrofuturista che non si affranchi dalla natura complessa del razzismo e del sessismo, che vanno destrutturati tenendo conto dell'approccio pseudo-scientifico su cui poggiano.

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Chanel Washington in Most Days di Martine Syms

All'inizio del 2014, è uscito Most Days, un film in cui Syms mette in scena «un giorno normale nella pelle di una donna nera che vive a Los Angeles nel 2050». I parametri del Mundane Afrofuturism concepiti da Syms saranno forse un po' troppo restrittivi per molti artisti, ma è proprio la capacità di comprendere ogni sfumatura e divergenza che rende così forte l'afrofuturismo.

Quando ero piccola, la musica d'ispirazione afrofuturista mi ha aiutato a comprendere meglio la mia complessità, mi ha permesso di intravvedere la ricchezza coimplicata dalla mia identità ibrida di donna nera africana e caraibica nata nella banlieue parigina. Ora che sono adulta, il contributo culturale degli artisti afrofuturisti ha superato la prova del tempo e ancora oggi mi ispiro a questo movimento per affrontare il futuro in maniera ottimista, anche in un momento così difficile. Come dice giustamente Jasmine Nelson, «Black Futures Matter».

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