Ode a The O.C., dieci anni dopo

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Ode a The O.C., dieci anni dopo

Sì, sono già passati dieci anni dalla fine della serie TV che ha fatto la storia della televisione adolescenziale.

Ricordate quando ogni lucidalabbra degno di questo nome aveva lo stesso odore nauseabondo delle caramelle alla fragola? Quando tutti i ragazzi più carini si facevano i colpi di sole alla Justin Timberlake? Quando P!nk andava ancora in tour, e quando credevamo che mettersi una gonna sopra i jeans potesse essere considerato elegante? Erano altri tempi. Tempi in cui tutto era più facile, direbbe qualcuno. Erano i primi anni Duemila, e il mondo stava per cambiare: Seth Cohen stava per farci conoscere il significato della parola indie, Ryan Atwood quanto può essere sexy una canottiera bianca, Marissa Cooper come si divertono gli adolescenti californiani più benestanti. E sì, poi c'era anche Summer Roberts, certo.

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Sono passati dieci anni dal giorno in cui Josh Schwartz, il creatore di The O.C., ha deciso di cancellare la serie televisiva che ha fatto impazzire milioni di adolescenti. Anche se non è stata una serie particolarmente longeva, l'impatto che ha avuto sulla storia della televisione è stato enorme. Prima che gli sceneggiatori decidessero di uccidere Marissa infatti ne avevamo già viste delle belle: Oliver, Julie Cooper e Luke, Anna (quella di Pittsburgh), l'alcolismo latente di Kirsten, e di nuovo Marissa che spara a Trey con in sottofondo la canzone più strappalacrime di sempre, Hide and Seek, anche conosciuta come "mmmmuaciuseyyy."

Era il 2004. Instagram, Facebook, e MySpace non esistevano ancora. Ma, nonostante la mancanza di campagne pubblicitarie targettizzate, gli adolescenti americani erano comunque elettrizzati alla vigilia della puntata pilota di The O.C., che è stata un vero e proprio evento mediatico. L'eccitazione non è svanita dopo la prima puntata, anzi, i teenager di tutto il mondo hanno aspettato con trepidazione il martedì sera per molte, molte altre sere. Era appena nata la nuova serie cult per adolescenti.

In The O.C. c'era tutto. Era perfetto. C'erano il brivido del rischio, l'ansia adolescenziale, i bicipiti dell'eterno outsider aka Ryan Atwood aka il-cattivo-ragazzo-dal-cuore-tenero. C'erano Seth Cohen e il suo amore per videogiochi e fumetti che facevano sentire ogni sfigato un po' meno sfigato. C'era l'opulenza sfavillante dell'élite di Newport Beach, con feste a bordo piscina e fiumi di alcol. E soprattutto, c'era sempre, sempre, qualcuno che faceva una scenata (Jimmy Cooper vi dice niente?). I battibecchi, le battute e le risposte piccate di casa Cohen hanno reso The O.C. il primo programma nella storia della televisione che prendeva sul serio il pubblico adolescente.

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Per me, però, The O.C. ha rappresentato qualcosa in più: è stata la prima volta in cui mi sono davvero riconosciuta nei personaggi che vedevo sullo schermo. Avevo 14 anni, mettevo solo Converse, andavo sullo skate e ascoltavo i Queens of the Stone Age. Solo adesso capisco quanto poco interessante tutto ciò sembrasse agli occhi altrui, ma io al tempo mi sentivo una vera alternativa—specialmente considerato che nella mia scuola le ragazze si prendevano per il culo per aver scelto il paio di calze sbagliate. Insomma, Dr. Martens e t-shirt di band sconosciute ai più erano un abbigliamento inaccettabile per le mie compagne di scuola, che vedevano come unico outfit socialmente tollerabile l'accoppiata Havaianas + maglietta Von Dutch. Quindi, vedere Seth Cohen in TV ogni martedì sera mi faceva sentire meglio: avevo finalmente trovato un amico, qualcuno come me.

Forse è stato lo stesso per tanti altri adolescenti, indipendentemente dal loro status sociale o dalla loro situazione familiare. Ricchezza, povertà, divorzi, prigione, tradimenti, strani legami familiari, dipendenze da alcol e droghe: in The O.C. c'era davvero tutto.

Quattro anni dopo la messa in onda della puntata pilota, Seth ha sposato Summer, Ryan ha trovato un ragazzino impaurito a cui fare da mentore e i coniugi Cohen hanno avuto un altro figlio. In generale, dopo la morte di Marissa alle vite degli abitanti di Orange County è stato regalato un finale privo di particolari colpi di scena. Ma fuori da Newport Beach, nel mondo reale insomma, niente è più stato lo stesso: The O.C. era riuscito a rivoluzionare la cultura pop-mainstream.

The O.C. non ha solo ridato dignità a nerd e ragazzi problematici di tutto il mondo, ma, scegliendo i loro pezzi per un'indimenticabile colonna sonora, questa serie televisiva è anche stata il trampolino di lancio per molte band all'epoca sconosciute. Vi dicono niente gli Imogen Heap, The Subways, Rooney o i The Killers? E la cover di "Wonderwall" cantata da Ryan Adams? Credo sia l'unica che non faccia sanguinare le orecchie. Nel mio liceo, pochi giorni dopo la messa in onda del finale della prima stagione, il coro scolastico ha deciso di riproporre "Hallelujah" durante il saggio di fine anno. E non dimentichiamo "California" dei Phantom Planet, canzone che tutti conosciamo a memoria solo perché era la sigla di The O.C. La persona che dobbiamo ringraziare per averci fatto conoscere queste perle è Alexandra Patsavas, supervisore musicale che ha lavorato anche alle colonne sonore di Gossip Girl, Twilight e Grey's Anatomy.

Ma non credo che la colonna sonora sia stata l'elemento decisivo che ci ha fatto amare così tanto The O.C.. A differenza delle ambientazioni di Dawson's CreekUna Mamma per Amica, o One Tree Hill, Orange County non è una città inventata dagli sceneggiatori, dove per qualche strana ragione è sempre autunno, tutti conoscono tutti e tutti si salutano gioiosamente, magari anche chiamandosi per nome. Nonostante la sua melodrammatica teatralità, The O.C. era ambientata in un posto reale, in cui gli adolescenti potevano davvero rivedere la loro quotidianità. I personaggi parlavano come noi, non come uno sceneggiatore quarantenne che crede di parlare come un adolescente. In fondo, Josh Schwartz aveva 25 anni quando iniziò a lavorare alla sceneggiatura.

Ma The O.C. non è solo adolescenti in jeans e maglietta che fanno cose da adolescenti; è un programma che racconta e sviluppa la teen culture, un movimento in continua evoluzione di cui nessuno prima aveva mai parlato sul serio. Ryan, Marissa, Seth e Summer erano ragazzi alla ricerca di un'identità culturale. The O.C. parla di film, gruppi musicali e mode reali, trasformandole in una parte essenziale della struttura narrativa e rendendo interessante tutto quello che l'alta borghesia californiana fino ad allora aveva sempre schifato.