La stessa "L’avvelenata" sembra chiara nel suo messaggio stile "Non rompetemi il cazzo”, sintetizzata negli immortali versi “Secondo voi ma a me cosa mi frega di assumermi la bega di star quassù a cantare? Godo molto di più nell'ubriacarmi oppure a masturbarmi o, al limite, a scopare. Se son d'umore nero allora scrivo frugando dentro alle nostre miserie, di solito ho da far cose più serie, costruire su macerie o mantenermi vivo." E poi via così, fino alla "voglia di bestemmiare".Nonostante l’impegno contenuto in certe canzoni, Guccini ha sempre dato l’idea di essere uno cui non fregava un cazzo di niente se non di scrivere.
Nelle sue recenti esternazioni, Francesco chiarisce invece dei concetti da un certo punto di vista scandalosi ma da altri innovativi e coraggiosi. Punto primo, non ascolta più musica; il che per un cantautore è assurdo, volendo offensivo per i colleghi. Punto secondo, afferma che le uniche cose sensate oggi giorno forse le dicono solo i rapper. Punto terzo, è contento che i giovani oggi ascoltino ancora la sua musica, perché pare la ascoltino davvero.Secondo questa ricostruzione Guccini sarebbe una specie di nonno dei trapper. Uno che in qualche modo vive il suo quotidiano in un eterno, noioso presente e che fa a meno di tutta una serie di sovrastrutture alle quali slaccia il bavaglio. Togliete gli psicofarmaci, metteteci il vino, una buona dose di rancore e insofferenza, e il risultato non cambia. E c’è un album in particolare che dimostra che Guccini era distante dalla sua generazione già mille anni fa, probabilmente profetizzando quello che viviamo ora: Stanze di vita quotidiana, probabilmente il più odiato della sua carriera.Guccini sarebbe una specie di nonno dei trapper. Togliete gli psicofarmaci, metteteci il vino, una buona dose di rancore e insofferenza, e il risultato non cambia.
Guccini ricorda Stanze come uno di quelli che non avrebbe mai rifatto, nato in circostanze irritanti e in una situazione psicologica difficile, sballottato a cazzo tra Roma e Milano dal suo produttore—che poi altro non era che Pier Fabbri dell'Equipe 84, all'epoca band in piena sbandata sperimental-progressive e probabilmente in piena emulazione post-barrettiana. Pare che Ares Tavolazzi, il bass hero ex Area, se ne sia andato dalle session sbattendo la porta quando il nostro Fabbri gli chiese di eseguire un suono giallo, il che non può che rimandare alle sinestesie deliranti di Syd.Giù la maschera: la vita è semplicemente una rottura di palle che si consuma giorno dopo giorno.
E se le osterie sono cimiteri, figurarsi la vita. Nella “Canzone della triste rinuncia” pare di sentir cantare Side Baby: “E forse sto morendo e non lo so capire / O l’ho capito e non lo voglio dire / Rimangono le cose senza falso o vero / E la rinuncia triste a quello che io ero.” Sono versi che mettono a nudo uno stato dell’essere che si frantuma contro lo spesso acciaio dei tempi moderni. L’organo che apre il pezzo è quasi un drone, nella sua piattezza. La ritmica ossessiva e spezzata potrebbe facilmente essere sostituita da una 808. Una marimba di inserisce nel flusso, e il suo scheggiarsi vitale serve solo a dare più importanza al nulla siderale, al pasticcio squagliato dell’esistenza che ti fa muovere sempre dentro a una prigione: “Non è il coraggio che ti far dir di no, è solo un’altra scusa”, canta Francesco, accompagnato da un siderale sintetizzatore Eminent e riccioli elettronici sublimi.Chissà se da Guccini si possa passare a Gucci? A giudicare dal tono di “Canzone della vita quotidiana” mi sembra di non straparlare. La base accenna a un funky evaporato, poi ammantato dall’onnipresente sintetizzatore ma anche da organi particolarmente gelidi. Mon si salva nulla: “Le usate confidenze di malattie o di sesso dove ciascuno ascolta sol se stesso / Finzioni naturali in cui ci adoperiamo per non sembrar di esser quel che siamo / Consolati pensando che inizia e già è finita / Questa che tutti i giorni è la tua vita” Sono parole che ricordano le prese a male del Wing Klan, mentre l’epico finale sembra catturato dalla musica di un videogioco digitale.E se le osterie sono cimiteri, figurarsi la vita. Nella “Canzone della triste rinuncia” pare di sentir cantare Side Baby.
L’ultimo brano, “Canzone delle situazioni differenti”, è un delirio. Ci sono una chitarra e un violino in delay. C’è il solito Eminent. Ci sono i fiati. Sembra di sentire un hypnagogic pop con pizzichi di Thaiboy Digital che finisce scassarsi come la qui citata “scatola meccanica per musica è esaurita” in un inutile massimalismo. Parole sante quelle di Guccini, in questo caso, che ci sentiamo di condividere: “O sera, scendi presto! O mondo nuovo, arriva! / Rivoluzione, cambia qualche cosa! Cancella il ghigno solito di questa ormai corrosa mia stanca civiltà che si trascina.”La visione di uno scontento Guccini che legge fumetti mentre la tipa lo prende in giro vale tutto il brano. Lo immaginiamo non solo immerso nelle pubblicazioni USA, e quindi a quel tempo simbolo del capitale, ma anche nei manga. Immerso in un buco spaziotemporale evocato dalle chitarre in reverse psicolabile, nel pianoforte honky tonky nervosissimo e squagliato come una droga in una boccetta. Insomma, siamo di fronte a una sintesi di tutti gli arrangiamenti folli di Stanze. Altro che “album in cui non esiste una sola nota irrazionale,” come dichiarò all’epoca uno stizzito Guccini.“O sera, scendi presto! O mondo nuovo, arriva! / Rivoluzione, cambia qualche cosa!"
Finisce qui un’opera che forse solo oggi possiamo comprendere in pieno, dato che all’epoca fu bersaglio di critiche e venne accolta da un generalizzato rifiuto. Anche i sassi conoscono la storia della recensione di Enrico Bertoncelli su Gong, che oggi possiamo ribaltare con stupore: sì, perché se il giornalista voleva buttare merda sul disco invece, rileggendola dopo anni, troviamo negli aspetti per lui negativi un aspetto positivo in un’ottica postmoderna e distopica.Non ci credete? Leggete qui: “La poesia è un pezzo di carta da consegnare al pubblico e non mai un esercizio di rabbia/purificazione intima, la musica è una vecchia stampa con cui tappezzare il salotto dell'acquirente e meno che mai la scintilla individuale del 'mi piace' o dell''io la penso così'. Francesco Guccini non appartiene più a se stesso: e finisce col ripetersi, regalando una ‘pianta topografica’ della propria anima tanto diffusa quanto vana. I suoi testi sono senza magia, nudi, freddi, con piccoli rami sfrondati dall'albero francese o dall'America anni Trenta-Cinquanta, che già sappiamo sino all'ebbrezza: noiosi, addirittura”Non è forse la recensione che tutti vorremmo per un disco uscito nel 2019? Certamente. E se qualcuno crede che il lunatico Guccini possa essere inserito in chissà quale categoria è lui stesso a rispondere nelle note del disco, che sembrano scritte per i posteri: “Non ci sono né trascendenze, né messaggi; le canzoni sono cose semplici anche se si possono fare ugualmente con molta serietà come ancora spero o mi illudo di fare". Amen, parola di San Francesco. Demented è su Instagram e su Twitter. Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.Finisce qui un’opera che forse solo oggi possiamo comprendere in pieno, dato che all’epoca fu bersaglio di critiche e venne accolta da un generalizzato rifiuto.