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Cibo

"Se dividi il piatto paghi il 20% in più". Mangeresti in questo ristorante?

Il caso di un ristorante nel comasco. Ma non è tutto come sembra...
Ali Inay via Unsplash

Il sonno della ragione genera mostri. E l’indignazione, quando corre sul filo dei social network, genera una vera e propria gogna mediatica. Specialmente quando è corroborata da testimonianze fotografiche.

Nel settore della ristorazione accade sempre più spesso. In un’epoca in cui ci sentiamo tutti critici gastronomici bastano l’immagine di uno scontrino, la pagina di un menu, un piatto dall’aspetto poco appetibile, per farci salire sullo scranno degli inquisitori e fronteggiare i ristoratori sul banco degli imputati. L’ultimo ad andarci, dietro quel banco, è stato il ristorante La Colombetta.

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Tutto nasce da un articolo del Corriere che “denuncia” (il virgolettato è d’uopo) come nel menu de La Colombetta, ristorante nel centro di Como, sia scritto a chiare lettere che “le pietanze da dividere costeranno il 20% in più”. Una maggiorazione che in effetti non si vede spesso - per non dire che non si vede mai - nei ristoranti. La motivazione? Ce lo siamo fatti dire direttamente dalla proprietaria Silvana Peddone. “Abbiamo provato a quantificare, a dare un valore al servizio di sala” dice la Peddone, raggiunta telefonicamente da MUNCHIES: “Quando le persone ordinano più piatti da dividere, specialmente gli antipasti, a noi costa. Per un tavolo da 40 persone normalmente servono 3 camerieri per sparecchiare, ma se si dividono tanti piatti non ne bastano 4. Quella di dividere è una richiesta che ci viene fatta spesso - noi ci limitiamo ad assecondare i nostri clienti. Quella dell’articolo è stata un’interpretazione capziosa”.

La giornalista del Corriere infatti elegge a protagonista dell’articolo un piatto vuoto dal costo di 8 euro. Un’interpretazione a dir poco forzata: la maggiorazione del 20% porterebbe a pagare 8 euro solo nel caso di un piatto da 40 euro - ovvero la portata più costosa del menu. “Abbiamo anche piatti da 16, in quel caso si paga poco più di un euro di maggiorazione. Lo facciamo da inizio stagione e nessuno si è mai lamentato. Non parlo dei clienti ‘virtuali’, parlo di quelli in carne e ossa, che tornano e ci ringraziano”. Sicuramente quella de La Colombetta è una clientela altospendente (nel sito si legge che il ristorante “rappresenta un vero e proprio punto di riferimento per moltissime persone che, da anni, vi fanno ritorno da ogni parte della Terra. Tra gli affezionati più noti, ci piace citare personaggi del calibro di Robert De Niro e The Edge degli U2, ma anche protagonisti assoluti del mondo della finanza e degli affari, principi e capi di stato”) e una maggiorazione del 20% non incide particolarmente sul prezzo finale di un pranzo o di una cena.

Nell’articolo la giornalista menziona un ‘malumore’ serpeggiante tra i comaschi, parla di una trovata che è ‘andata di traverso’ a molti, cita perfino il presidente di Confesercenti Como Claudio Casartelli che definisce il sovrapprezzo “un brutto biglietto da visita”. Ma se sospendiamo per un attimo l’indignazione e ci soffermiamo a riflettere sul significato di quel 20%, c’era davvero bisogno di scatenare una caccia alle streghe? Sul menu è tutto scritto chiaramente, con tanto di traduzione per gli stranieri ( “The dishes to be divided will cost 20% more”): ogni ristorante è libero di mettere i prezzi che vuole, così come ogni cliente è libero di sedersi o non sedersi a una determinata tavola. Davvero, in un territorio ipeturistico come quello comasco, è La Colombetta a essere disonesta? E i ristoranti che mettono coperti a più di 4 euro, o scongelano pesce del supermercato per spacciarlo come pescato nel lago, dove lo mettiamo?

“Per me il caso è chiuso” commenta la Peddone “Dopo la pubblicazione dell’articolo ho ricevuto vari insulti: ci hanno chiamato cialtroni, ladri. Ma ho ricevuto anche tanta solidarietà. E questo mi basta”.